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MU6 Anno 9 Numero 31 aprile-giugno 2014



Scoprendo Michelangelo Pistoletto

Francesco Saverio Teruzzi

Conversazione tra Michelangelo Pistoletto e Francesco Saverio Teruzzi



arte – cultura – impresa – paesaggio – territorio


SOMMARIO MU6 N. 31
Numero speciale Terzo Paradiso – Re_Place 4


Terzo Paradiso - Re_Place 4 ,di Antonella Muzi

Scoprendo Michelangelo Pistoletto, Una conversazione tra Michelangelo Pistoletto e Francesco Saverio Teruzzi

Cittadell’arte è

Perché occuparsi d’arte? , di Paolo Naldini

Ram Artemobile: collegamento diretto col Terzo Paradiso, di Marika Rizzo

Carlo Crivelli, Intervista, di Marika Rizzo

La bellezza sostenibile, cosè e come la vede un non vedente, di Filippo Tenaglia

La bellezza senza barriere, di Filippo Tronca

Il paradiso dei corpi ,di Luigi Cataldi Madonna

La presenza di ANCE L’AQUILA sul territorio, Intervista a Gianni Frattale, Presidente degli Imprenditori Edili, a cura di Germana Galli
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Il poster di Michelangelo Pistoletto per la rivista MU6
Realizzato da Michelangelo Pistoletto su fotografia di Claudio Di Francesco

Guardandomi intorno e ripercorrendo tutte le persone che ho incontrato nella mia vita, nessuno come Michelangelo Pistoletto ti fa venir la voglia di avere un registratore sempre pronto, da accendere al momento giusto se non da tenere sempre acceso, pur di non omettere nemmeno una battuta, di non lasciare a un concetto la possibilità di perdersi.

Francesco Saverio Teruzzi: Michelangelo Pistoletto, Biella, 25 giugno 1933, pittore, scultore, animatore e protagonista della corrente dell’Arte Povera, un anticipatore delle pratiche artistiche di partecipazione, da sempre si è sentito un artigiano, è comunemente riconosciuto come un’artista.
Marzo 2011 – dicembre 2013, dal Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, il Maxxi, a Roma Michelangelo Pistoletto: da uno a molti, 1956 -1974 alla seconda edizione del Rebirth-day; nel mezzo EVENTO a Bordeaux, il Louvre da protagonista a Parigi Année 1 – Le Paradis sur Terre, il 21 dicembre 2012 prima edizione del Rebirth-day e il conferimento del Praemium Imperiale a Tokyo.


Michelangelo Pistoletto: Inizio a dire che ho ritenuto la Mostra del Maxxi del 2011 un riconoscimento importante, infatti è stata la prima personale di un’artista vivente che il museo ha organizzato. La mostra veniva dal Philadelphia Museum of Art, che ha in collezione opere dei maggiori artisti americani ed europei moderni e contemporanei. Anche lì la mia mostra era la prima dedicata, dopo vent’anni, a un artista vivente. E questo ha portato da subito un museo di recente costruzione come il Maxxi, a misurarsi in una dimensione internazionale. Da artista italiano mi sono ritrovato, così, proiettato su un piano internazionale praticamente in casa.
Di certo il Praemium Imperiale conferitomi a Tokyo lo scorso ottobre è stato un onore. Ho avuto il compito, in quanto più anziano tra i premiati, di pronunziare il discorso di ringraziamento ai Principi Imperiali. Una grande emozione, anche perché questo premio è considerato il Nobel delle arti.
EVENTO 2011 a Bordeaux è stato la realizzazione dell’incontro con la gente e la connessione tra i diversi settori della vita cittadina.
Abbiamo lavorato coinvolgendo artisti di ogni dove e 250 associazioni del territorio.
Le associazioni, variavano dalla cultura, all’artigianato, allo sport, al sociale; cosa che ci ha permesso di creare vari luoghi di incontro e varie iniziative con il fine di produrre tra loro un contatto attivo fatto di scambio di opinioni ed esperienze. Il nome di questa iniziativa è: Cantieri dei Saperi Condivisi.
L’attività era dedicata allo sviluppo delle capacità critiche e riflessive dei cittadini, per arrivare a proposte e soluzioni condivise di carattere sociale e politico attraverso la mediazione dell’arte.
Abbiamo seminato per un prosieguo nel rapporto comunitario tra i cittadini.
L’arte può attivare una trasformazione nella società. Lo stesso Sindaco Alain Juppé ha compreso come l’arte possa interagire con la politica.
L’arte è stata chiamata in causa non per portare prodotti predefiniti, ma azioni coinvolgenti la cittadinanza nel senso della “sostenibilità” che in francese si traduce in “durabilité” (durata). Un EVENTO dunque inteso non come fuoco di paglia ma come un percorso paragonabile a quello che porta alla produzione del pane, nel quale la paglia è soltanto una risultante del percorso (che dalla semina procede fino alla farina impastata e infornata).
A questo proposito, mi permetto una divagazione per aggiungere che la paglia a sua volta può, anziché essere bruciata, essere usata come materiale edilizio.
A Cittadellarte stiamo sfruttando la paglia di riso, che si coltiva nel territorio per costruire case a bassissimo consumo energetico.
L’idea della paglia, utilizzata e non bruciata, diventa quindi una seconda fonte di reddito, come materiale che può essere utilizzato direttamente in edilizia. Esempio concreto di sostenibilità che porta l’architettura a fornire un concreto aiuto all’economia agricola.
Quindi per questo è fondamentale che anche l’azione dell’artista non sia un mero fuoco di paglia.
Année 1 – Le Paradis sur Terre al Louvre.
Sono stato invitato a realizzare una personale in quello che certamente è il museo più conosciuto al Mondo e questo è coinciso con un momento di straordinaria rilevanza, proprio a dimensione mondiale, in quanto la società umana si trova nel bel mezzo di un passaggio epocale.
È il momento in cui si stanno tirando le somme della storia umana e il Louvre è lo specchio della storia attraverso le arti e i miti, quindi realizzare questa mia retrospettiva nei diversi settori del museo, mi ha permesso di rispecchiare il Louvre che a sua volta rispecchia la Storia. Mi si è offerta l’opportunità di fare i conti non solo con la mia attività, ma con l’intero passato e capire a che punto siamo.
Principali protagonisti sono stati i Quadri specchianti, in quanto essi rispecchiano direttamente le opere del passato e contemporaneamente l’umanità del nostro tempo, cioè i visitatori. Avviene quindi la rivisitazione, sia del mio lavoro, che del Louvre stesso includendo i visitatori delle mie opere e di quelle del Louvre.
Poi c’è stata la parte prospettica, che dall’attuale ci proietta verso il futuro, e questa è dedicata al Terzo Paradiso, una nuova dimensione che connette due epoche: quella del paradiso terrestre ancestrale, in cui l’essere umano era totalmente integrato nella natura e quella dell’era artificiale che ci ha portato all’attualità.
Il Paradiso Artificiale ha prodotto l’allontanamento dell’umanità dal Paradiso Naturale.
Abbiamo creato un secondo mondo che si distanzia dal nostro pianeta e rischia di ricadere come un enorme meteorite, come ormai scientificamente annunciato, sulla terra stessa.
Sulla Piramide d’entrata al Louvre è stato posto il simbolo del Terzo Paradiso così come è stato sospeso intorno a un grande obelisco specchiante nella Court Marly tra le antiche sculture monumentali.
Il simbolo è la riformulazione del segno matematico dell’infinito. I due cerchi opposti significano natura e artificio. L’anello centrale è la connessione dei due e rappresenta il grembo della nuova società umana.
Il paradiso, in questo simbolo, non è identificato con l’inafferrabilità dell’infinito, ma nella concretezza del finito, cioè di quella realtà pratica di cui noi stessi siamo autori.
Il pervasivo sfruttamento delle risorse naturali unito alle smisurate speculazioni sui mezzi economico finanziari produce un’insostenibilità complessiva della moderna società. La scienza unita a una generale consapevolezza può attivare un nuovo rapporto tra natura e cultura.
Il Terzo Paradiso deve essere la capacità di usare quella grande forza che abbiamo messo in campo che è la scienza. Una scienza che rivolge l’artificio verso l’impegno di ridare vita alla natura.
Due teorie si confrontano negli ultimi decenni, quella della crescita senza limite e quella della decrescita. In un momento di crisi economica e politica il concetto di decrescita può esser visto come deprecabile, ma non è questo il fine a cui tende. La decrescita segnala la non illimitatezza delle risorse e quindi la necessità di un’amministrazione equilibrata delle stesse. La teoria della decrescita è il calcolo responsabile del fenomeno della produzione e delle attività in generale che riguardano giustamente anche l’economia. Diventa un fatto culturale capire come gestire il grande sistema consumistico arrivando a una visione essenziale di fondo che riguarda proprio il termine “consumo”.
Francesco Bernabei, collaboratore di Cittadellarte, ha scritto del consumo come del primo diritto di tutti gli esseri umani. La capacità di utilizzare l’artificio come migliorativo del prodotto naturale concepito anche come una possibilità di equità nel consumo nel mondo, cioè tutti devono avere il diritto di produrre quello di cui sono capaci e poi di poterlo liberamente scambiare con altri.
Lo scambio viene così inteso come mezzo equo per offrire a tutti la stessa possibilità di consumare, non serve un ritorno al baratto poiché abbiamo il tramite dei quattrini, ed è su questi che si deve trovare un nuovo senso di equilibrio socio-economico.
Il Terzo Paradiso è nato dal desiderio di intervenire praticamente nella trasformazione responsabile della società, la stessa Cittadellarte si adopera nella ricerca di tutti i mezzi atti a operare in questo senso. Nel mondo esistono numerose iniziative locali, nazionali e internazionali a dirci che non siamo soli a voler portare sul piano pratico quella che che era nata come un’utopia.
Ancor oggi bisogna vedere se questo movimento spontaneo trasformativo avrà la meglio, ma di sicuro dobbiamo continuare a ispirare questo passaggio verso le più vaste dimensioni, è ovvio che per raggiungere questi obbiettivi non bastano né la proposta individuale né quella generale, le due devono assolutamente funzionare insieme.
Si parla sempre di crescita, ma “crescita” come parola è connessa all’attività propria della vita e lì ha un senso ben preciso; se invece la si usa come movimento mondiale di irragionevolezza allora non bisogna utilizzare la parola “crescita” ma cercare altri termini.
Se si parla di ripresa delle attività produttive e dei mercati “crescita” non mette a fuoco i problemi. Parole come “sviluppo”, “riciclo”, “trasformazione” possono meglio interpretare la relatività delle situazioni. Prendiamo un albero, è ovvio che fin dalla nascita tenderà a crescere, ma comunque avrà un rallentamento e poi una fine, è il suo ciclo vitale, non cresce per sempre. Non possiamo pensare a un albero con una crescita senza limite.
La foresta pare sempre uguale, ma in essa la vita e la morte si intrecciano costantemente, vi è un riciclo continuo ed è questa capacità di riciclare che dobbiamo utilizzare per mettere in equilibrio natura e artificio.
Il Terzo Paradiso è ricerca e scuola di equilibrio vitale.

FST: Abbiamo parlato di crescita, decrescita e sviluppo, ti cito un passo di un’intervista al sociologo e filosofo Zygmunt Bauman: «[...] se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il Pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo.»

MP: Nel mio testo Omniteismo e Democrazia scrivo di come nella speculazione economica la distruzione renda in quanto c’è una ricostruzione che rende, vi è quindi un duplice profitto connesso ai due momenti: distruzione e ricostruzione. Basta pensare alla grande crescita economica europea, americana e poi mondiale susseguente alla seconda grande guerra per vedere come quel concetto di distruzione / ricostruzione sia stato applicato. Il fatto è che l’economia consumistica è basata su questo fenomeno di speculazione insostenibile. Distruggo la foresta però trasformo il tutto in un deserto; è la logica del profitto estremo applicata alla natura. Purtroppo tagliamo il ramo su cui siamo seduti. Dobbiamo interrompere questo pensiero distruttivo dominante e sviluppare un profitto basato sulla sostenibilità..

FST: Tornando indietro nel tempo,sei stato professore di Scultura all’Accademia delle Belle Arti di Vienna dal 1991 fino al 1999. La Fondazione, fin dalla sua nascita, ha sempre avuto una caratteristica di proposizione educativa effettuata alla Pistoletto maniera, ovvero con molta libertà espressiva e di coinvolgimento e tutt’oggi Cittadellarte ospita artisti di tutto il mondo con delle borse di studio. Ora,se l’insegnamento e, soprattutto, l’idea d’insegnare in maniera trasversale, sia interdisciplinare che in collaborazione con gli allievi, ha avuto per i tuo allievi un impatto importante si può dire che lo stesso ha avuto un’influenza sulla tua opera? E in che modo?

MP: Quando nel 1990 ho iniziato a insegnare all’Accademia di Vienna mi sentivo solo, mentre adesso sono tantissime le persone che stanno lavorando nel senso della trasformazione sociale responsabile.
Già nel passato si è cercato questo rapporto arte / società, attraverso esperimenti nell’arte, nel design e nell’architettura, si era però ancora in una fase intuitiva, distante da una realtà attuativa della trasformazione, cosa che invece oggi inevitabilmente attira e coinvolge sempre più artisti che pensano meno alla carriera in senso tradizionale (collezionista, gallerista, museo) ma a formule innovative, anche per sopravvivere, che permettano comunque di realizzare un’arte socialmente utile. Ecco perché l’idea del Rebirth-day diventa realizzabile, perché siamo nello svolgimento di una realtà effettiva: un’opera mondiale in cui le persone si identificano con una creatività comunemente utile.
Nella scelta della data del 21 dicembre una delle motivazioni è sicuramente legata alla ricorrenza del mito popolare della fine del mondo, una vera e propria giustificazione del “tanto peggio tanto meglio” una specie di roulette russa con cui l’umanità “gioca” nei momenti di crisi per augurarsi il peggio, mentre, però, c’è un gruppo ristretto di persone che usano il peggio per avere il meglio, ma qui bisognerebbe fermarsi a pensare ed è quello che voglio fare io. Non lavoro per la critica, ma per le proposte.
Cerco di proporre soluzioni con altre persone che, anche nella disperazione, non cercano la rivolta, ma che vogliono lavorare attivamente sulla proposta.

FST: Però noi viviamo in un momento nel quale si cerca a tutti i costi l’appiattimento del livello culturale, dove Unidee risulta una piacevole e quasi unica esperienza. Tempo fa ho letto un romanzo avveniristico dello scrittore americano Aldous Huxley, La scimmia e l’essenza pubblicato nel 1948, e leggendo mi ha particolarmente colpito la definizione di cultura come ignoranza organizzata. Ambientava parte del libro nel 2018, direi che ci siamo.

MP: Riguardo ai Cantieri dei saperi condivisi parlo di ricerca organizzata, di conoscenza, di condivisione. Una parola porta sempre a decidere da che parte stai, nel senso costruttivo o distruttivo di quella parola, perché per esempio la parola creatività implica lo stesso impegno sia per creare che per distruggere, ma tu devi sapere da che parte stai di quella parola. Ogni parola ti chiede da che parte stai e questo è molto importante perché devi fare un esame di tutte le altre parole che le stanno intorno rientrando in una dinamica della complessità per un riesame intorno alla parola.

FST: La parola artista è inflazionata?

MP: Come ogni altra parola, è difficile trovare una parola che non sia inflazionata. Dipende anche lì da che parte stai di questa parola. Se stai dalla parte del significato catastrofico della “crescita” o se invece la proponi come creazione di un’alternativa alla catastrofe.
L’arte porta, secondo me, alle scelte migliori.
Essa ha in sé un valore che la propone come uno dei fenomeni che ha il maggior potere. L’arte vive di una complessità che va dalle cose più banali a quelle più profonde e acute, l’arte è velocità della luce, è l’elemento che va più lontano con capacità di illuminazione sia visiva che fisica. La velocità della luce è la massima aspirazione dalla quale partire per poi tornare al sociale senza scottarsi, consapevolmente e responsabilmente, e questa è civiltà. La “bruciatura” è il rischio di ogni rivolta, l’attenzione nell’usare l’energia senza bruciarsi vuol dire proporre in senso produttivo. Cambiare le cose senza bruciarsi.

FST: Arte e Cultura, sono due facce della stessa medaglia o c’è una netta dicotomia?

MP: In senso estremistico dovrei dire che tutto dipende dall’arte, perché l’arte è la quintessenza del pensiero, questo pensiero ha creato la società. L’umanità ci ha portati, nel nostro secolo, a un punto di conoscenza che però, purtroppo, sovente è utilizzata in maniera aberrante, penso alle colonizzazioni e alla schiavitù, che non possono definirsi una conquista. Dobbiamo virare al corretto funzionamento del concetto, per cui ogni singola scoperta è una conquista umana e quindi un bene comune. Se ogni scoperta attraverso l’egoismo accentratore esclude la maggior parte delle persone, allora gran parte degli esseri umani viene spinta verso l’inferiorità, mentre quei mezzi potrebbero essere condivisi da tutti. Tutte le persone dovrebbero poter oggi avere pari possibilità, la Scienza è ormai arrivata a questo. Viviamo il grande esperimento della nuova umanità! Conclusione: arte e cultura sono facce intercambiabili della stessa medaglia.

FST: Il grande esperimento potrebbe essere il rompere l’oligarchia che da sopra impedisce la distribuzione generale?

MP: Se tocchiamo i punti che permettono il mantenimento dell’oligarchia ebbene uno di questi è sicuramente il monoteismo, che produce il sistema oligarchico, retto da un potere verticale e assoluto. È assoluto e oligarchico il primato che ha stabilito la necessità di avere dei pastori e delle pecore. La vita pastorale prevede delle pecore, le persone comuni sono pecore e vanno gestite e dirette. Bisogna cambiare la mentalità, di fondo.
Ci chiediamo dove nasca e finisca l’universo, cosa ci sia prima e dopo la vita. Abbiamo dei sistemi che utilizzano questo bisogno umano di spiritualità e lo trasformano nella fede in un “Altro” che ti pacifica con poteri tranquillizzanti che ti drogano e intontiscono, alla fine ti fanno accontentare, e questa è la scuola dell’ignoranza. La religione monoteista è ignoranza organizzata, che influisce sul tuo cervello e qualsiasi attività tu faccia, qualsiasi livello di vita tu abbia raggiunto hai una tua parte inevitabilmente condizionata, una parte del tuo cervello che non puoi utilizzare autonomamente perché influenzato da un pensiero predeterminato e una parte di te non può che fare bèè ...
Poi c’è qualcuno che però pensa a tutto tondo, l’élite degli illuminati, cioè gli organizzatori delle religioni, quelle del Libro, che hanno scritto la teoria dell’ignoranza organizzata, propinata come sapienza. Sapienza dell’Ignoranza organizzata per la mente ignara.
Gran bei libri di parole ma, ma attenzione, bisogna crescere e ragionare.

FST: All’artista si riconosce una responsabilità sociale, in questo senso qual è il ruolo del critico d’arte?

MP: Il critico d’arte non agisce in prima battuta, è influente, ma non agisce in prima battuta. Guarda l’avvenimento, osserva un fenomeno in atto, può constatare un cambiamento e adeguare culturalmente il suo agire.
Sappiamo che c’è stata una critica distante dalle prime istanze dell’arte moderna, non possiamo però negare che c’è una critica molto più veloce e più vicina alle problematiche e alle soluzioni avanzate dall’arte. Certamente i critici hanno un padrone, lavorano per un’azienda, l’azienda economica che li sostiene. Non è mai stato il vero artista a pagare direttamente il critico, ma sempre i sistemi dell’arte legati alla politica o all’economia che l’ha fatto. Quindi la maggior parte dei critici ha un padrone che è il mercato. Ci sono però i critici che sono riusciti a modificare la loro posizione in maniera tale di esser più vicini agli artisti e questo rapporto è auspicabile si intensifichi nel futuro, producendo una interazione tra arte e società.

FST: Prendendo Un metrocubo d’infinito, più passa il tempo e più identifico l’ultimo degli Oggetti in meno nel ventre del Terzo Paradiso. Gli specchi che simboleggiano l’infinito e il meno uno che dal nulla, gli specchi uniti, creando distanza genera spazio, ossia l’uomo, la civiltà, la società. In tutto questo è il pensiero il vero protagonista?

MP: Il pensiero è un “muscolo”, come dice appunto il critico Achille Bonito Oliva, che va esercitato e quindi sviluppato. Però anche il pensiero è soggetto a una fenomenologia che possiamo definire scientifica. Il tutto si basa sull’invenzione, sulla scoperta, perché l’invenzione è una scoperta, nel senso di una cosa che esisteva, ma che era coperta, coperta dall’ignoranza, dalla non conoscenza. Ad un certo momento avviene la scoperta, ma non è pensabile che avvenga prima di quel momento perché ci si avvicina man mano, poi istantaneamente c’è lo svelamento. E questo avviene perché molti fattori hanno contribuito alla scoperta.
Pensiero e creatività, come interagiscono? Il momento creativo non è sempre pensabile, anzi più la cosa è pensata e meno sorprende, perché poi la dinamica della ricerca porta alla sorpresa. Magari sul tavolo del ricercatore sono presenti tutti i fattori che porteranno alla scoperta, ma questa non è ancora avvenuta, perché questi fattori non hanno ancora trovato la loro giusta combinazione. Il pensiero in questo senso è un’organizzazione della mente che fa mettere sul tavolo del laboratorio quel numero di elementi che a un certo punto si combineranno. Il pensiero non è istantaneamente connesso all’avvenimento, ma è il processo che può portare all’avvenimento. Negli Oggetti in meno c’è una fenomenologia che prevede il passaggio dal possibile al reale, dal possibile intangibile al reale fisico e tangibile, perché il nostro cervello contiene una massa di possibilità incalcolabile, così come c’è una massa di possibilità incalcolabili nell’Universo. Non so fino a quale misura il nostro cervello sarà in grado di raggiungere lo stesso numero di possibilità dell’Universo intero; non so, ma può anche essere che la ricerca del pensiero e l’azione unite creino il passaggio dal possibile all’esistente.

FST: Victor Hugo disse che “la fantasticheria è il vapore del pensiero”. Esiste l’uomo senza l’immaginazione?

MP: Dall’immaginare al realizzare il passo può essere breve, se tu sai cogliere il tuo immaginare. L’artista ha questa rapidità del cogliere, la velocità del passaggio, che trasforma in fisico qualcosa che ancora non lo è, ma che è possibile, l’artista svela il possibile realizzando fisicamente l’opera. Per me la rappresentazione di tutto il possibile è lo specchio, perché tutto ciò che può accadere davanti allo specchio è già possibile in esso, lo specchio svela la realtà nel suo inverarsi.
Rivelare, no, è una parola che non mi piace, essa viene appositamente usata nel sistema religioso come rivelazione, che vuol dire occultamento, perché una cosa era velata e io la rivelo, una doppia copertura per dire che la verità è solo la mia. In scienza, infatti, si adopera giustamente la parola s-velare perché equivale a scoprire, realizzare una scoperta.

FST: Tu però hai realizzato un luogo di raccoglimento e di preghiera.

MP: Ho realizzato un luogo di raccoglimento, il termine preghiera è stato aggiunto dal committente. Raccoglimento significa trovarsi con se stessi e gli altri, accogliendo anche il concetto di diversità. Anche per “preghiera” bisogna ben vedere da quale parte si sta di questa parola. Pregare normalmente vuol dire affidarsi a qualcun altro per ottenere un aiuto, ma non posso non pensare a una interpretazione di preghiera diversa, rivolta al pensarsi e al concentrarsi.

FST: Sull’argomento, tempo fa sono stato a Gerusalemme, un’esperienza impressionante in un’atmosfera che vive su di un equilibrio sottilissimo. Questa esperienza è stato anche un momento di riflessione per il quale vorrei chiedere due cose. Perché con internet che oramai riduce al nulla le distanze il Confessionale Multireligioso è un’opera d’arte e non la quotidianità? E poi, la pace, è solo un prodotto o l’intervallo di una guerra?

MP: Qui entra in gioco un altro fattore, quello dell’incontro dei poli opposti. Una cosa certa è che fin nel profondo della dinamica e dell’esistente c’è il positivo e negativo.
La dinamica dei termini opposti.
In ogni momento questa dinamica è presente, vedi gli almeno due significati di ogni parola. Perché è vero che il giorno e la notte sono due momenti distinti e opposti, ma la loro continua alternanza serve alla nostra vita e del pianeta. Questa può sembrare un’osservazione piuttosto grossolana, ma rientra nel concetto degli elementi opposti come vita e morte, bene e male, assoluto e relativo, distante e vicino, presente e assente, sono tutti fattori che troviamo nel quadro specchiante e che in esso convivono perfettamente. Ecco dopo questa esperienza io devo imparare a far convivere questi opposti anche nella pratica. Se il fenomeno della guerra è necessario per la pace potrei dire altrettanto grossolanamente che c’è bisogno del giorno per avere la notte, ma non è corretto, perché il rapporto guerra e pace non è un fenomeno di alternanza rispetto alla luce e al buio di una sfera che ruota intorno al sole. Il fenomeno guerra e pace si deve risolvere direttamente nella polarizzazione degli opposti. Si tratta di trovare un equilibrio tra i due termini che consiste nella loro istantanea interazione e non nello distanziamento dell’alternanza.
Pace quindi non come annullamento della tensione ma come equilibrio di tensioni.
Quindi l’allontanamento di ciò che appare fortemente negativo da ciò che appare perfettamente positivo provoca conflitto, se avvicinati equilibratamente negativo e positivo trovano un equilibrio e questa è l’energia civile prodotta dall’equilibrata connessione dei due poli.

FST: In tal senso e seguendo un filo logico che ammetto soltanto mio, seppure sei un uomo di “altri tempi”, hai una visione prettamente femminile del mondo (vedasi sia Segno d’Arte che il Nuovo Segno d’Infinito), però sei decisamente contrario a una società matriarcale in quanto si commetterebbero gli stessi errori di quella patriarcale. Dov’è l’equilibrio?

MP: Il rapporto maschile e femminile è decisamente un rapporto significativo, esistendo un polo “penetrante” e un polo “penetrabile” il sesso potrebbe esser preso come esempio d’equilibrio e creatore d’energia. Quello che viene a verificarsi, è la giusta attrazione, il rapporto amoroso anche fisico, crea la necessità dell’avvicinamento ed evidenzia un bisogno che culturalmente diventa la necessità dell’altro e della congiunzione. Ogni persona ha bisogno dell’altra o dell’altro, si può parlare di bisogno bipolare, riuscire a combinare il positivo e il negativo che quando coincidono creano una terza entità distinta e inedita. Per il Terzo Paradiso è una missione, una grande ricerca che accomuna al piano scientifico al piano morale, il piano spirituale, al piano artistico e il piano politico al piano educativo per ricreare la società.

FST: Il simbolo del Terzo paradiso è un simbolo di vita, cosa pensi possa esserci dopo la morte?

MP: Prima della nascita e dopo la morte io non dico quello che penso ci sia, dico quello che c’è: l’Universo rappresentato nel simbolo dall’infinito al centro del quale ho tracciato il cerchio del finito, cioè della vita fisica.
L’Universo è l’infinito, che c’è prima di me e dopo di me.
Ecco perché ho scelto il segno d’infinito, perché non finisce mai. E io vedo questo infinito nei quadri specchianti, perché nello specchio l’immagine ad ogni istante nasce e muore. Come nel simbolo matematico dell’infinito, nello specchio tutto nasce e tutto muore continuamente nell’istante presente, ma in realtà io continuo a vivere, perché mi riformo in una serie di passaggi che producono una certa durata, quella della mia vita. L’infinito si manifesta nell’istante che unisce la pre-nascita alla post-morte. La vita dice che sì c’è il prima e c’è il dopo, ma che tra questi c’è la durata cioè che esistono dei processi che formano l’esistenza di una mosca, di un elefante, di una persona, così come la durata di una civiltà, di un’era (come può essere quella del secondo paradiso). Durata che può iniziare oggi e identificarsi, con il Terzo Paradiso per procedere fino a un altro punto nel futuro.
Mi hai chiesto cosa può esserci dopo la morte, c’è l’Universo, che è la chimica e la fisica, c’è il verme che diventa uomo e c’è l’uomo che diventa verme, e così tutto il mutare dell’esistente. Per esempio non capisco questa voglia di farsi tumulare nel box di cemento, tanto all’interno si marcisce ugualmente. Sì, serve ai parenti, ma io non so nemmeno dove sono sepolti i miei genitori perché per me è importante sapere che sono passati a un’altra fase, come quella che c’era prima e quella che ci sarà dopo, e anche per me sarà lo stesso.
Noi acquistiamo nel passaggio tra i due cerchi dell’infinito una memoria dell’esistenza, una memoria di noi stessi acquisita giorno per giorno. Ogni bambino nasce senza memoria propria, però poi accumula coscienza di sé e sviluppa capacità di rapportarsi con l’esistente, e la paura della morte è quella di perdere questa memoria, semplicemente questo. Cosa succede dunque quando muori? Perdi la memoria di te, nient’altro. Usa la memoria mentre ti serve. Ma la Natura ha la sua memoria, ha una memoria molto complessa, che ci comprende come una parte dell’Universo. Tu e l’Universo siete la stessa cosa, perché tu sei un frammento dell’Universo, avete le stesse qualità. Così come un frammento dello specchio ha le stesse qualità del grande specchio, tu hai le stesse qualità dell’Universo, in esso vivi e muori sempre. Il problema sta solo nella memoria di sé.

FST: Se il segno infinito è infinito, anche i paradisi possono essere infiniti? E ognuno di noi potrebbe avere il suo paradiso?

MP: Ho usato il termine “paradiso” come durata temporale e come luogo umanamente coltivato. In antico Persiano paradiso significa giardino protetto. Ogni individuo ha la sua durata e partecipa alla coltura-cultura del giardino civile che è di tutti se coltivato da tutti. La persona è un prodotto animale, botanico, naturale, ma anche intellettuale.

FST: Parlando di nascita e rinascita, qual è stato il momento in cui ti sei sentito di poter dire sono un artista e che poteva essere la tua vita?

MP: Il momento in cui ho potuto dire questo è quando ho conosciuto direttamente l’arte moderna e contemporanea. Negli anni 50 già esisteva un percorso storico dell’arte moderna, dagli impressionisti in poi, ma nel 1955 io vivevo l’arte contemporanea. Il termine contemporaneo serve a indicare l’esistenza nel tempo attuale,
Io ho sentito la libertà offerta dall’arte “attuale” come qualche cosa di meraviglioso che non solo mi permetteva di esser me stesso, ma mi obbligava a scoprire me stesso, il che voleva dire scoprire come io stesso fossi posizionato nel mondo circostante. E ho visto un mondo inaccettabile. Io sono stato culturalmente prodotto dall’inaccettabile. A scuola insegnavano che il bene era una cosa e uscendo capivo che era tutto il contrario. La società era in totale controsenso. Gli americani bombardavano Torino e colpivano i civili, la gente moriva in quantità e tu dovevi essere contento perché erano le bombe dei nostri salvatori. Ho vissuto dall’infanzia il controsenso. La gente viveva nel bisogno di superare la miseria e l’oppressione e il socialismo diventava fascismo e il socialnazionalismo diventava nazismo. Nasceva il comunismo che poi diventava dittatura marxista. Capisci come sono stato formato? Vivendo tutto questo mi rendevo conto che la Società era un grande tradimento e io soluzioni non ne vedevo. Per fortuna l’arte mi ha detto: trovala tu la soluzione. L’Arte mi ha detto questo: tu sei libero e responsabile, tu hai la libertà di cercare e la responsabilità di trovare. Ecco perché sono qui, e parlo di Terzo Paradiso, ecco perché ho aperto la strada a Cittadellarte, perché il mondo deve cambiare, perché quella era una società insopportabile e purtroppo sotto diverse forme lo è ancora.

FST: Ad oggi senti che il peso specifico delle tue parole è aumentato?

MP: Credo di sì.

FST: Se è aumentata la tua popolarità lo è anche quella delle tue opere, anzi alcune di esse sembrano avere una vita propria. Credi che si possa dire che ormai la Venere degli Stracci, i Quadri Specchianti, Segno d’Arte, il Nuovo Segno d’Infinito e molte altre ti precedano?

MP: Potrei dire che le opere d’arte producano loro stesse delle situazioni. Per esempio se prendiamo la Monna Lisa, chi va al Louvre vede il dipinto, lo apprezza, non lo apprezza, comunque rimane attratto dal mito che essa concentra e non pensa a Leonardo da Vinci. Ma se pensiamo alle grandi figure del passato, da Cristo a Ghandi a Luther King, il loro divenire icona è dovuto direttamente a un concetto di sacrificio che ne ha creato il mito. Con il disegno del Terzo Paradiso io lavoro direttamente sul concetto di mito, in quanto l’ho pensato e disegnato proprio con l’idea di realizzare un nuovo mito. Non legato all’idea del sacrificio, con l’atto di donarsi attraverso la morte, ma legato alla vita. Un mito attraverso il quale tutti quanti possono riconoscersi come autori. Un mito che porta la coscienza individuale, e la moltiplica tra le persone. Non solo una vibrazione condivisa, ma una coscienza condivisa. Per me è fondamentale mettere insieme l’emozione e la ragione. L’emozione da sola non basta, la ragione da sola non basta, devono essere combinate. Il Terzo Paradiso indica questa dualità che può essere descritta con l’emozione in uno dei cerchi laterali, e con la ragione nell’altro, per raggiungere l’equilibrio nel cerchio centrale.

FST: In “La Filosofia di Andy Warhol” l’artista americano parlando dello specchio dice che a guardarsi nello specchio non vedrà nulla, perché non vedrà come lo vedono gli altri, ma come lui vorrà vedersi. Pistoletto invece ci ha trovato il suo mondo.

MP: Questo è vero perché c’è la soggettività. Quando ci si trova davanti a se stessi bisogna farsi una ragione su se stessi! Ma più tu riesci a farti una ragione più tu entri nella dinamica complessiva della riflessione mentale. Lo specchio obbliga alla riflessione mentale, di fatto la persona si riconosce davanti allo specchio, l’animale no. Lo specchio ha posto la domanda e io proprio nel luogo della domanda ho cercato la risposta. La fenomenologia della domanda riverbera il tuo pensiero, è la tua necessità di conoscere, che ti porta a osservarti e sai che lo specchio dice la verità, non può mentire. Il quadro specchiante ti fa superare la “paura della verità”.

FST: Come sei arrivato dallo specchio alla necessità di esprimerti con la performance?

MP: La performance ovviamente non l’ho inventata io, ho conosciuto Kaprow che è stato un po’ l’artista inventore di questo agire performatico. Ma in inglese qualsiasi azione sia teatrale che espressiva si chiama performance, noi non abbiamo mai avuto un termine così essenzializzato, è stato utilizzato quando si è arrivati all’azione diretta. We go to perform è un’espressione tipica inglese, ma si è arrivati alla performance come l’agire il più vicino possibile al momento dell’ispirazione. Quando Kaprow ha visto i Quadri Specchianti mi ha detto che erano una performance continuata, perché c’è il divenire continuo delle immagini in azione. Quindi, senza conoscere quella parola, la performance era già implicita nei miei quadri specchianti. E con gli Oggetti in meno ho capito che potevo mettere in mostra il fenomeno delle differenze, in quanto ogni momento poteva diventare autonomo. Nello specchio ogni momento autonomo aveva uno spazio per poi lasciar spazio al momento successivo. Negli Oggetti in meno davo durata fisica a quel momento per poi dar durata fisica a un altro momento che si realizzava distaccato da quello precedente, ma anche da quello seguente. A quel punto ho anche visto gli Oggetti in meno come una mostra collettiva. Io ero diventato collettivo, non erano vari artisti che presentavano un proprio lavoro, ma ero io che mostravo momenti differenti di me stesso. Allora se potevano essere diversi i lavori potevo anche sostituirli con persone diverse, ecco che i lavori sono diventati persone. La diversità non solo nel mio prodotto, ma la diversità nel prodotto collettivo, arrivando così alla diversificazione attraverso gli individui, i linguaggi, i modi di espressione, i settori della vita.

FST: Marina Abramovich ha definito in un’intervista la performance come artistica solo se espressa in un contesto artistico. Tu hai portato le tue performances ovunque, spesso in strada. Rientra nel tuo concetto di coinvolgimento?

MP: La sua è un idea duchampiana di consacrazione legata al tempio artistico. Il mio lavoro intende il concetto di partecipazione come passaggio da luogo dedicato all’arte al mondo. Il mondo diventa opera d’arte portando l’arte nel mondo. Per me non si tratta di portare l’arte al tempio, ma “performare” l’arte nella società attraverso la partecipazione di tutti coloro che vogliono interagire.

FST: Un mio amico, o senza esagerare ottimo conoscente, giornalista, scrittore e regista, che con te condivide l’assonanza nel cognome, Stefano Pistolini, un giorno mi parlò di alcuni tuoi film che aveva trovato geniali, erano un’esigenza performativa o il documento che testimoniava le avvenute performances?

MP: I film furono la conseguenza di una ricerca di rapporto mio con le altre forme di arte, attraverso l’incontro con altre persone. Avevo aperto nel 1967 il mio studio a tutti coloro che volevano fare arte, arrivarono dei film-makers che mostrarono il loro lavoro. Ho chiesto loro di collaborare con me proponendo delle idee. Sono nati dieci film, tra i 10 e i 20 minuti ciascuno completamente diversi l’uno dall’altro. Di questi 10 film ne sono rimasti soltanto cinque a testimonianza della creatività sprigionata in quel mese passato insieme dal giorno del nostro incontro all’inaugurazione di una mia mostra da Sargentini a Roma. Vivendo quei momenti abbiamo creato due ore di cinema straordinario per come si è realizzato questo connubio di creatività basato sulle persone, sulla loro diversità interpretativa, sulla domanda e risposta e sulla suddivisione e moltiplicazione. Infatti ho moltiplicato il lavoro suddividendolo con 10 artisti.

FST: Pierluigi Di Pietro una volta mi ha spiegato un trucchetto che utilizzava per esser sicuro della resa dei colori quando fotografava dei dipinti: allargava il campo e inseriva in un angolo un pacchetto di sigarette rosso. Fermo restando che per me è la cosa più utile che contribuisce a fare il fumo, questo serviva ad esser sicuri delle tonalità di tutto il quadro, bastava riprendere il punto di rosso. Qual è il rapporto di Pistoletto con i colori?

MP: Non è la mia base, non è la mia partenza. Il colore subentra successivamente. Io ho sentito fortissimo il fascino della fotografia in bianco e nero che ho usato perché mi offriva l’immagine essenziale, il contrasto tra luci e ombre, secondariamente è venuto il colore. I colori nascono dall’irradiazione del rapporto tra sole e atmosfera come risultante della composizione chimica degli oggetti, come ricercatore della fenomenologia, però, sono stato più attratto dal rapporto tra la figura e lo sfondo. Lo sfondo per me nasce culturalmente come dall’icona, cioè dal color oro e l’oro ancor prima di essere pittura è un metallo che raccoglie e riflette la luce. Poi ho usato l’argento e il rame fino a quando non sono arrivato a utilizzare il pigmento nero, che nella sua versione più lucida ha una capacità di riflettere e rendere possibile il rispecchiarsi del movimento nell’opera così come avviene nella vita. E a me interessava la fenomenologia del rapporto staticità e movimento. Poi ovviamente anche il colore è entrato nelle mie opere e lo fa ogni volta che ci si guarda in uno dei miei Quadri Specchianti.
Racconto un aneddoto. Una scrittrice-critica d’arte francese, France Hauser, mi ha scritto dicendomi che non aveva mai comprato un’opera d’arte perché le bastava guardarle nei musei. Poi di fronte a uno dei miei Quadri Specchianti non ha potuto fare a meno di acquistarlo, divenendo collezionista di un’opera sola. Mettendola in casa però si è trovata, con un certo imbarazzo a dover dire alla figlia, amante del colore, che aveva acquistato un quadro, ma che l’opera era in bianco e nero. La figlia, che ovviamente portava vestiti colorati, ponendosi di fronte all’opera stupita esclamò “ma Mamma, questo quadro è pieno di colori!”. Ecco come entrano i colori nella mia opera.

FST: Una costante della tua Opera è il discorso del Tempo e della Durata esplicitati in Continenti di Tempo che ricordo sono Le Stanze, Anno Bianco e Tartaruga Felice, quest’ultimo sviluppato nei Documenta di Kassel.

MP: Anche il Terzo Paradiso può identificarsi con un Continente di Tempo, che però ha un inizio e non ha un termine prefissato mentre gli altri erano ben definiti nel trascorrere di un anno.
Tartaruga Felice fu quasi una scommessa fatta alla IX Documenta di Kassel. Io volevo un posto non museale, ma direttamente in rapporto con la strada, e il direttore mi propose un negozio proprio di fronte al museo Fredericianum. Sono entrato e ho detto: qui faccio 31 stanze. Jan Hoet il direttore di Documenta mi disse che non era possibile, che non c’era lo spazio per farlo. Io ho risposto dicendo che non avrei fatto 31 stanze nello spazio, ma che da quel giorno, eravamo a un anno esatto dall’inaugurazione dei Documenta, avrei realizzato 31 stanze nel tempo, collegando a quello spazio qualsiasi avvenimento realizzato in quell’anno ovunque io fossi stato. Non sapevo però come chiamare quell’opera, ci pensavo, ma non mi veniva un’idea. Poi però mi sono trovato con Maria in un ristorante a Tarquinia, vicino a dove è stato ritrovato l’Oratore etrusco, che avevo utilizzato nell’opera “L’Etrusco” anch’essa esposta alla Documenta di Kassel. Mentre pranzavamo si sono avvicinate tre tartarughine, e io ho dato loro qualcosa da mangiare, della lattuga, del pane, dei pezzetti di salame, loro mangiavano con evidente piacere, insomma abbiamo mangiato insieme. Ho pensato guarda come sono felici queste tartarughe. Idea, il titolo sarà: Tartaruga Felice.
E poi subito capii quanto fosse esatta quell’idea, perché io quell’anno portavo idealmente con me la mia casa, che in quel momento era a Kassel. Io ero la Tartaruga Felice che si recava in tanti posti diversi.

FST: Nel 1982 Joseph Beuys “creava” il Bosco di Kassel, nel 2011 Pistoletto terminava un’opera di land-art disegnando il Nuovo Simbolo dell’Infinito ai piedi di Assisi, nel riaperto al pubblico Bosco di San Francesco, 150 ulivi donati dai sostenitori del FAI. Un’opera dai significati potenti.

MP: Ho conosciuto Beuys a Kassel nella Documenta del 1968, ambedue avevano degli spazi autonomi a disposizione.
Il Terzo Paradiso nella radura del Bosco di San Francesco ad Assisi segue il simbolo inciso con l’aratro sull’isola di San Servolo, un simbolo che assume un carattere fondatore così come Romolo fece per Roma. Anche il simbolo tracciato ad Assisi è paragonabile per significato a un tatuaggio fatto sulla Terra, che un giorno fai su di te con l’intenzione di mantenerlo per sempre. Gli ulivi sono la volontà di mantenerne vivo lo spirito attraverso la crescita e la cura degli stessi e quindi del simbolo. Ovviamente non rimarrà per sempre, sicuramente però nel frattempo si potrà fare l’olio del Terzo Paradiso.
A questo va inoltre aggiunta la possibilità che avrà ognuno di ripercorrere il simbolo, con le proprie gambe e il proprio pensiero, vivendolo in maniera effettiva.

FST: Il simbolo del Terzo Paradiso ha una sorella: Woollen - la Mela Reintegrata, un’opera del 2007.

MP: Esatto. L’ho realizzata per l’inaugurazione di uno spazio a Trivero dell’azienda Zegna, che collabora con Cittadellarte in diverse iniziative. Ho pensato fosse una buona opportunità per realizzare un’opera con la lana, che da sempre identifico come simbolo di riciclo: la pecora si sveste per vestirci e si riveste nuovamente a sua volta. È una mela di lana che mette in rilievo la funzione del Terzo Paradiso. Il morso della mela, quale origine del peccato, ha per me un senso, non nello specifico religioso ma nella tentazione umana di staccarsi dalla natura. Lasciamo perdere Adamo, il Serpente, Eva, il Diavolo, ecc., rimangono comunque tutti gli ingredienti di una storia immaginata del peccato originale, il morso rappresenta il distacco degli umani dalla natura. Oggi possiamo capire che esiste questo peccato originale: staccandoci dalla natura abbiamo creato un processo che nel tempo è diventato distruttivo nei confronti della natura stessa. Oggi sappiamo che il mondo artificiale nato da quel morso è entrato in conflitto con quello naturale e siamo giunti a una situazione che giustifica l’idea di un’origine che prevede conseguenze catastrofiche. Quindi dobbiamo necessariamente intervenire per reintegrare la mela come proposto, simbolicamente, nella “Mela Reintegrata”.

FST: Cittadellarte è a Biella, dove sei anche nato, qual è il rapporto con la città?

MP: Sono nato a Biella, ma potrei essere nato in qualsiasi altra città. Il luogo ha un’importanza relativa, in quanto i problemi del nostro tempo si trovano ovunque, sono però felice di essere tornato nella mia città natale. A Cittadellarte gli studenti di Unidee hanno sempre interagito con i cittadini, sono andati nelle strade e nei diversi contesti proponendosi, stringendo rapporti diretti con le persone, scoprendo la città e creando situazioni partecipative che poi sono confluite nelle mostre svolte di anno in anno in Fondazione. Molto interessante potrebbe essere un resoconto di quanto fatto in tutti questi anni tra Unidee e Biella. Molte altre iniziative si stanno creando a Cittadellarte, come ad esempio LET EAT BI (lascia mangiare biella) che raccoglie associazioni biellesi nello sviluppo di un’economia che unisce le arti e l’agricoltura, l’artigianato e l’industria.

FST: Parlando di città natale, mi viene in mente di chiederti del rapporto con tuo padre, pittore classico di maniera, con te che rompi con il già predefinito anche se poi lo recuperi concettualmente tutto successivamente.

MP: Il rapporto con mio padre è stato prima di tutto di grande affetto, rispetto e stima. Una delle persone che ho stimato di più è stato mio padre. Stima dovuta al fatto che era una persona di grande intelligenza, di grande sensibilità e di grande volontà. Tieni presente che mio padre era sordo, sordità sopravvenuta da ragazzo, ma cresciuto con una tale volontà che gli ha permesso di eccellere in quello che lui voleva. Una volontà che io credo mi abbia comunicato, insieme a tutto ciò che mi ha insegnato dato che io ero suo allievo per poi diventare per parecchi anni suo collaboratore nel campo del restauro. Ma un collaboratore di famiglia, cresciuto e legato a tutte quelle immagini che nel tempo mio padre aveva portato a casa, non solo le sue opere, ma l’arte antica fino alla scoperta dell’arte moderna e contemporanea, tutte cose che poi ho recuperato con il ritrattino che mi fece quando avevo tre mesi che è diventato Autoritratto attraverso mio padre. C’è un DNA fisico e un DNA artistico che si sommano, la persona fisica e la persona culturale che si uniscono e da questo punto di vista posso dire: io sono mio padre.
Mio padre, pur non amando l’arte moderna, ha poi capito bene il mio lavoro, aderendo con grande interesse, all’idea del rispecchiamento. Ovviamente a modo suo, e io l’ho spinto a realizzare opere nelle quali lui si ritraeva nel rispecchiamento di oggetti inseriti nelle sue nature morte avvicinandosi così al mio lavoro come io in alcune opere ho avvicinato il suo, in una continuazione artistica del rapporto di stima che c’era tra noi.
Tornando a parlare di cosa c’è prima e cosa c’è dopo, noi ci ritroviamo con un corpo risultante da evoluzioni millenarie ma la cosa straordinaria della natura è che essa ha inventato i computer, perché noi esseri naturali abbiamo creato i computer che rispecchiano la natura. Un bambino è un computer progredito mentre un dinosauro è un computer ormai superato. Gli esseri umani sono dei computer avanzatissimi che sono anche riusciti a comprendere il proprio funzionamento. Quando nasciamo noi abbiamo già tutti i programmi installati, con il tempo inseriamo tutti i dati che l’esperienza ci permette di accumulare ed ecco che i programmi iniziano a funzionare, con la particolarità che noi siamo allo stesso momento il computer e i fruitori stessi del computer. Mio padre ha messo alcuni dati nel computer naturale, io ne ho aggiunti altri – i nostri giovani sono già entrati in rete: sarà la rete del Terzo Paradiso?

FST: Ho chiesto di tuo padre, non posso non chiederti del ruolo della donne nella tua vita, con riferimento a tua madre e a Maria.

MP: Mia madre nasceva nel contesto imprenditoriale biellese, se mio padre mi ha comunicato il concetto raffigurativo in tutte le potenzialità provenienti dal passato, mia madre è stata colei che vedeva la pubblicità come futuro nel quale investire le energie. Aveva ragione perché lo sviluppo dell’immagine attraverso i media e i prodotti è stato il futuro, però per me la pubblicità ha significato soprattutto la possibilità di conoscere l’arte moderna, poiché a questa si guardava per sviluppare la nuova estetica pubblicitaria. Mia madre mi ha aperto la porta della modernità.
Maria sicuramente è la parte pratica e il sostegno psicologico, che mi ha aiutato a liberare la mia creatività, ma che ha contribuito anche, attraverso una continua partecipazione quotidiana alla realizzazione dei progetti nati nel susseguirsi degli anni. Maria è stata la congiunzione, il rapporto continuo con le persone che venivano a casa, che poi non era solo la casa ma era lo studio, aperto agli artisti che portavano linguaggi diversi, che si coniugavano in un’attività che continuava scendendo nella strada. Il rapporto a due è un rapporto essenziale, gli esseri umani cercano sempre l’altro o l’altra, perché sono fatti per creare questa dualità che poi si moltiplica, si realizza nella famiglia, che non è solo di sangue e che nel nostro caso è una famiglia dell’arte, ma che è anche famiglia della società, da due nasce la Società.

FST: Chi ha influenzato maggiormente la tua attività artistica?

MP: Di sicuro oltre a mio padre una gran parte l’ha avuta Armando Testa, che non era inquadrato nel settore arte, ma nel settore pubblicità. Però era disegno, era immagine e la sua capacità di sintetizzare è stata fondamentale per me, perché mi ha insegnato a concentrare l’immagine per ottenere il massimo della resa. Una qualità propria del suo essere un grande pubblicitario. Un suo manifesto era indimenticabile, perché dava un segnale fortissimo, unico, preciso. Era essenziale e questo per me è stato un grande insegnamento. Credo che nel mio lavoro l’essenzializzazione sia presente.

FST: Ho una domanda ispirata da mia moglie che ti faccio in maniera colloquiale, ma che poi edulcorerò nell’intervista in ti sei mai annoiato: ci sono stati casi, una cena, un evento, una mostra, dove hai pensato mamma mia che rottura di “cojoni”?

MP: Certo che sì e non è da edulcorare! Premetto che come persona stimo molto tua moglie. La “prima” rottura di “ ” è stata la scuola, quel nozionismo ottuso e giudicatorio da o ci stai o sei scemo e io, che volevo capire, ero costretto a stare in mezzo a gente ottusa e reprimente. Non c’era spirito, non c’era luce, e ancora oggi mi ritrovo queste persone ai pranzi, agli incontri, persone ricche, benestanti, in posizioni di potere, ma di una limitatezza e assenza di humour che le rende deprimenti. Ogni tanto trovo delle persone veramente interessanti, con le quali c’è anche possibilità di scambiare idee anche battute, ecco lì io mi trovo bene. Per esempio mi ricordo un professore, credo di terza media, che mi ha fatto amare la scuola perché parlava anche delle cose di tutti i giorni, del come non farsi fregare nella vita con esempi concreti.
Da Armando Testa c’era un ragazzo, Renato Rinaldi, che ogni tanto aveva il coraggio, tutti gli altri zitti, di chiedere il perché di una cosa,ho iniziato a stimarlo perché aveva il coraggio di chiedere il perché. Ed è la persona che io ho sostituito a me stesso quando ho iniziato a realizzare i Quadri Specchianti. Avere il coraggio di chiedere il perché e avere il coraggio davanti agli studenti di parlare delle cose semplici, della vita, sono le situazioni che in quegli anni mi hanno più colpito.

FST: Mi viene in mente il motto di Eataly “la vita è troppo breve per mangiare e bere male”, oltre che per la buona cucina, però, la tavola nella vita di Pistoletto è stata spesso luogo d’incontro e sviluppo di idee.

MP: La tavola è il mio debole, la mia pancia lo dimostra. Il cibo è fantastico, perché è arte. Tu gioisci con la gola, con l’olfatto; è una delle esperienze più importanti della vita. Ogni cultura ha i suoi sapori e questa differenza diventa anche un modo per avvicinarsi agli altri.
Ho imparato dalle persone che mi stanno intorno a viaggiare per il mondo attraverso il cibo.
I tuoi gusti cambiano, si affinano, si allargano, conosci la cultura degli altri, ma fondamentalmente scopri che ancor più della vista è il palato a portarci a condividere le sensazioni. Il cibo è empatia, è relazione, è percezione, è cultura, è socialità e in questo l’Italia è maestra.

FST: Parlando dell’Abruzzo, ma anche in senso più generale, per un territorio vittima di una catastrofe naturale, da dove occorre partire per realizzare una ri-nascita che sia individuale e comunitaria?

MP: Bisogna partire dall’onestà, dal concetto di onestà, dal rapporto inter-individuale basato sulla dignità. Bisogna ripartire da capo fabbricando o rifabbricando la Società partendo dal concetto di autorevolezza. L’organizzazione speculativa che approfitta del disastro in maniera vorace è tanto più efficace quanto più è disumana. Il disastro naturale viene sfruttato senza pudore e fin da subito c’è chi brinda la perdita di vite umane, delle cose più care. Purtroppo la natura è anche tragica, ma la speculazione sulla tragedia è devastante. Se mi interesso e ci interessiamo al Terzo Paradiso a L’Aquila è chiaro che non siamo mossi dallo spirito degli ultimi sciacalli, ma perché si vuole fare qualcosa per mettere insieme un pensiero di fondo che permetta a tutti di partecipare collettivamente alla ricostruzione e rigenerazione. In questo senso funziona il concetto di mito, di mito creativo per la vita portato in un contesto che purtroppo ha visto la morte.
Riuscire a creare tutti insieme un mito, questo è importantissimo. Perché se oggi, dopo cinque anni, il tessuto sociale e il morale degli Aquilani è ancora minato nel profondo è perché nessuno li ha aiutati a unirsi e capire che loro stessi erano e dovevano essere i protagonisti della rinascita.
Si sono trovati nella condizione di dover accettare passivamente le cosiddette soluzioni che venivano dall’alto. Noi dobbiamo cercare di portare il mito della cooperazione partendo da qualcosa che possa unire, partendo dal centro de L’Aquila, da qualcosa che possa rappresentare l’essenza della città in cui ritrovare e ricomporre la comunità, dove avveniva l’incontro, lo scambio, la festa, come per esempio i portici de L’Aquila. Un punto per ripartire, una cattedrale laica che rappresenta L’Aquila e gli Aquilani in uno spirito nel quale la spinta creativa dell’arte porterà a L’Aquila il fermento della rinascita, con il contributo dei giovani di tutto mondo riuniti nelle Università e nelle Accademie come prima del terremoto. Inoltre sarà necessario ridiscutere i concetti e i modi della ricostruzione del centro.

FST: Nel messaggio del Terzo Paradiso è insito il principio per il quale ognuno di noi può essere protagonista del cambiamento. In una società in cui diminuiscono le ore di storia dell’arte nelle scuole e il nostro patrimonio culturale cade letteralmente a pezzi, in che modo possiamo far tornare protagonista l’arte e i suoi messaggi?

MP: È sopratutto una questione italiana, ma anche europea e mondiale. L’arte è stata nel tempo a servizio dell’arte sacra e dei poteri sovrani, non avendo così un’autonomia intellettuale e di responsabilità sociale, era a servizio dei religiosi e dei regnanti. Nel ventesimo secolo l’arte si rende libera e autonoma e l’artista produce il proprio pensiero e lo attua, in completa indipendenza. L’artista diventa intellettualmente indipendente, realizzando il proprio segno soggettivo distinto da ogni altro segno o simbolo esistente; sarà il mercato poi a riappropriarsene come emblema di liberalismo capitalista. L’arte, in Europa, si era propagata come grande rivoluzione pacifica in tutti i suoi paesi, dalla Norvegia all’Italia, dalla Spagna alla Russia, tutti i grandi artisti dell’arte moderna avevano creato una rete di libertà complessa e autonoma, trovando in Parigi quella che potremmo definire la propria capitale. L’arte è l’elemento sul quale ripartire attraverso un coinvolgimento sociale. Il critico Achille Bonito Oliva recentemente ha detto che l’arte è la domenica dell’umanità, è vero, ma deve diventare la settimana dell’umanità, perché deve essere presente tutti i giorni e la domenica si può fare la festa dell’arte quale nuovo esempio di spiritualità sociale. Spiritualità connessa con la pratica quotidiana e che connette l’estetica con l’etica ed etica vuol dire morale. Creiamo nuova morale attraverso i rapporti inter-umani nella società.

FST: Qual è il tuo rapporto con la musica? E che ruolo ha la musica nel Terzo Paradiso?

MP: La musica per me è uno degli elementi più coesivi che ci ha tramandato il passato. La musica interagisce direttamente senza la necessità di essere rappresentata attraverso l’immagine. L’immagine ha avuto sicuramente un grande impatto nella rappresentazione sociale, ma la musica è quell’elemento astratto che permea tutta la Società e che fa vibrare i rapporti umani in maniera diretta. La musica è poi determinante nel collegare culture diverse, incrociando, combinando le diverse civiltà, che volendo poi si mischiano e si integrano tra loro creando generi nuovi e diversi.
Anche la musica è stata sottoposta al gioco dei potenti, ma con la sua forza è riuscita a travalicarne i vincoli inondando il mondo con la sua forza, diventando momento essenziale nella ritualità della vita. La musica è un fenomeno di comunicazione per un’intesa e un riconoscimento interpersonale vastissimo, ecco perché mi interessa di intervenire nei concerti rock, come a Treviso all’Home Festival, per portare il messaggio del Terzo Paradiso che rimane nel pensare comune anche nei giorni successivi al concerto.

FST: Con Carlo Crivelli negli anni novanta hai creato Sinfonia Specchiante, come nacque l’idea?

MP: L’idea è nata dall’incontro con l’architetto torinese Dardano che mi proponeva di pensare al progetto di un auditorium. La mia mente mi portò a immaginare la volta dell’auditorium come la volta celeste. C’era tutto un mondo intorno a noi, bastava collegarlo per avere un auditorium globale. Eravamo ancora lontani dall’attuale livello di connessione tecnologica, ma tentammo l’esperimento. Mi trovavo in Germania al teatro Marstall di Monaco dove si realizzavano performances nate dal mio insegnamento all’Accademia di Vienna quando con Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni che, mentre io creavo Cittadellarte a Biella, avevano inaugurato Zerynthia a Paliano, ci siamo detti perché non facciamo un concerto collegato contemporaneamente in diversi luoghi d’Europa? I luoghi furono Monaco di Baviera, Londra, Pescara e Paliano e fu tramite la fortunata conoscenza di Carlo Crivelli, autore aperto alla collaborazione, che decidemmo di imbarcarci in questa avventura straordinaria perché non c’erano i mezzi tecnici per realizzarla, eravamo alla pre-avanguardia.
Abbiamo connesso le quattro orchestre con il telefono a filo, con quattro direttori ai quali avevamo legato con lo scotch la cornetta alla testa, con il concetto che simbolicamente doveva essere collegato tutto il mondo e nonostante la difficoltà dei ritardi che le comunicazioni telefoniche portavano. Difficoltà che Crivelli è stato bravissimo a risolvere artisticamente attraverso la partitura. E abbiamo realizzato la cupola celeste della “Sinfonia Specchiante”.

FST: Usando le tue parole: l’arte è un’avventura straordinaria?

MP: La parola straordinaria riporta all’idea di unicità e incomparabilità, io penso che l’arte debba essere tanto straordinaria quanto ordinaria, o meglio deve essere ordinaria senza perdere la sua straordinarietà. L’arte è la dinamica essenziale del pensiero. Quando parlo dell’artificialità parlo d’arte, artificiale significa fare le cose ad arte, tutto il mondo è stato fatto ad arte. C’è il mondo naturale e poi ce il mondo artificiale, c’è la natura e c’è l’arte, l’arte è il principio di tutto ciò che gli esseri umani hanno saputo sviluppare. Quindi se nel ventesimo secolo l’arte è riuscita a raggiungere una sua autonomia così precisa, oggi nel ventunesimo secolo, deve assumere la responsabilità di una società umana totalmente costruita attraverso l’invenzione e la capacità creativa calibrandone gli aspetti positivi e quelli negativi. L’arte deve assumere questa responsabilità.

FST: Per concludere: sei l’artista che ha sostituito la tela con lo specchio, hai realizzato quadri pesanti e sculture leggere, hai tolto oggetti dalla mente e racchiuso le stelle in un uomo, hai sostituito l’Uomo Vitruviano con la donna di Segno d’Arte, hai tolto uno all’infinito per poi aggiungere un terzo cerchio al simbolo d’infinito, hai guardato indietro per avere una prospettiva avanti. Ma a te non andava bene niente?

MP: Non è vero che non mi andava bene niente, perché tutto quello che ho fatto l’ho preso dall’esistente. Il mio è stato un impegno a svelare per capire; penso: quanto sarebbe importante per tutta la gente capire.