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AI MAGAZINE Anno 8 Numero 65 primavera 2014



Metamorfosi della maschera

Debora Ricciardi

Intervista a Annaclara Di Biase



a photography and CONTEMPORARY cultures’ mag.


SOMMARIO N.65
spring 2014 - Purple Lilac_The Possibilities


Part 1

10
Possibilities
about photography and law | by Cristina Manasse
11
Why collect CONTEMPORARY ART?
think | by Alessia Zorloni
12
Look at me, YOU’LL SEE
exhibit | by Luca Magnanelli Weitensfelder
16
I confess I am Billie Holiday! (Faraway , so close .)
profile | by Roberto Palumbo
21
The last Dadaists
profile | by Brian Midnight
24
Power and expressi ve possibilities
profile | by Ivan Burroni
26
I was born a whore. I was born a painter
exhibit | by Laura Migliano
28
Photographic mouvements
about photo | by Pio Tarantini
29
Object and en vironment
exhibit | by Giacomo Croci
30
Metamorphosis of the mask
interview | by Debora Ricciardi
34
Postumous pin k
profile | by Salvatore Mortilla
36
PORTFOLIO
Yoshikazu Sakamoto

Part 2

51
Seasteading
think | by Benedetta Alessi
52
The Talented Mr. Dixon
profile | by Alessandra Baldassari
53
Art in Dubai
about | by Giacomo Belloni
55
Art, commerce, culture? Yes , we can !
profile | by Michael Sägerbrecht
56
Max Huber , that genius
profile | by Luca Magnanelli Weitensfelder
59
Possibly maybe
profile | by Brian Midnight
64
Do Androids Dream of Electric Sheep ?
profile | by Roberto Palumbo
68
The AGENDA must-see art shows
by Adele Rossi
69
Manzoni at the palazzo Reale
exhibit | by Adele Rossi
70
Genesis of S. Sebasti ão
exhibit | by Alberto Bevilacqua
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1. Annaclara Di Biase, Fat on meagre 2, 2014, mixed media, 30x30 cm.
Cristiano Corte, Collezione Personal - Landscape & Skies

2. Annaclara Di Biase, Daisy bread 1, 2013, acrilico su carta, 30x40 cm.

3. Annaclara Di Biase, Daisy bread 2, 2013, acrilico su carta, 30x40 cm.

La maschera è un’analogia di significati tra i quali emerge una vera e propria antitesi: la rivelazione. E se la realtà è mutevole, l’apparenza non può restare fissa per non rendere asfittico quell’Io che scalcia e si dimena sotto la seconda pelle. Ma d’altronde la nostra essenza non si trova forse nel velo sottile che divide quella maschera dalla nostra materia?
L’operazione artistica compiuta da Annaclara Di Biase, che vive e tra Ancona e Berlino, è tutta concentrata sulla necessità di scoprire quel velo sottile che plasma la percezione del sé femminile al di là di ogni possibile stereotipo sociale. Già durante i primi anni di studio all’Accademia di Macerata Annaclara orienta la sua ricerca sul rapporto tra soggetto femminile, abito ed ambiente. La sua attività espositiva ha inizio nel 1998, partecipa a premi, concorsi, mostre personali e collettive ottenendo riconoscimenti e menzioni.

Un elemento caro alla tua poetica è la maschera. Mi vengono in mente le parole di Schopenhauer «Intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà». Sei d’accordo con questa affermazione o il tuo concetto di maschera è diverso?
«Il mio concetto di maschera è molto vicino a quello teorizzato da Schopenhauer. Il camuffamento è per me qualcosa che, paradossalmente, scava più a fondo nelle cose; un artificio che non inganna ma rivela offrendo, al tempo stesso, un nascondiglio soffice e impenetrabile. Nella mia poetica la maschera dà corpo a un indicibile, a qualcosa che solo l’apparenza, con le sue ambiguità, collocandosi fuori da ogni categoria usuale, permette di cogliere o almeno intuire».

Spesso nelle tue opere utilizzi cibi visivamente attraenti ed abiti di seconda mano. Che relazione c’è tra il corpo femminile rivestito e gli alimenti?
«Esiste una relazione di interdipendenza tra “il corpo rivestito” e “il corpo alimentare”: la forma regolata che il vestito conferisce al corpo può essere pregiudicata dall’introduzione eccessiva o carente di nutrimento. Il corpo delle donne è sempre stato sottoposto a vere e proprie torture per corrispondere ai canoni di bellezza e i disturbi alimentari sono spesso una ribellione nei confronti delle identità imposte. Impiego nei miei lavori i vestiti e il cibo perché sono i principali artefici della creazione e alterazione dell’immagine femminile e popolano, quasi come appendici del corpo e manifestazioni dell’universo interiore, il mondo quotidiano femminile».

Il tuo lavoro mi ha evocato il modus operandi di Cindy Sherman, che da sempre ragiona sul corpo partendo dall’immagine di sé attraverso l’uso della fotografia, concentrandosi sugli stereotipi sociali e culturali. Anche le tue opere possono essere considerate autoritratti dei diversi e possibili Io che vivono nella personalità di ciascuno?
«Il mio lavoro nasce dall’interesse per l’immagine femminile in quanto materia malleabile e oggetto privilegiato di consumo estetico. Con la mia pratica artistica do origine ad identità effimere che mettono in crisi l’immaginario femminile tradizionale, aspetto comune a molte artiste dell’Avanguardia Femminista degli anni Settanta, come appunto Cindy Sherman. La mutevolezza, che potrebbe far riferimento a una disgregazione dell’Io, diviene l’unica possibilità di preservare qualcosa che è sfuggito all’omologazione stereotipata. In questo senso i miei lavori sono autoritratti ovvero sono un giocare con la propria identità per creare uno spazio oltre i limiti imposti dai modelli. Nel mio lavoro non c’è lo spiccato elemento caricaturale dei camuffamenti delle artiste degli anni Settanta, bensì esiste spesso un rapporto affettivo con i miei vestiti, ai quali invio quasi una richiesta di asilo».

La tua indagine attraversa performance, fotografia, video, pittura e mixed media. Come sei riuscita a far convivere tutti questi linguaggi e soprattutto qual è il ruolo di ognuno nel tuo lavoro?
«L’impiego di diversi linguaggi contraddistingue fin dagli esordi la mia indagine artistica. Opero la scelta del mezzo espressivo in funzione del contenuto del lavoro ponendomi meno limiti possibili. Le mie serie hanno inizio quasi tutte dalla documentazione video di un’azione performativa e i dipinti nascono prevalentemente da progetti fotografici elaborati a partire dalle performance. L’impiego dei mixed media rende possibile la convivenza della pittura documentaristica o astratta con la fotografia e le stoffe in un caleidoscopio di visioni mutevoli peculiari del mio modo di vedere».

Ci sono artisti che hanno avuto una certa influenza nel tuo percorso di crescita professionale?
«Jana Sterbak, Cindy Sherman e Martha Wilson».

Quali sono le urgenze che senti di dover affrontare come artista in futuro?
«Sono mossa dalla volontà di continuare ad investigare, attraverso la mia pratica artistica, come i modelli di pensiero e comportamento, presenti nella società in cui vivo, influenzano la percezione che i soggetti femminili hanno del proprio sé».