L'occhio dell'anima. Lucini dipinge per fare in modo che il suo io giunga a non esserci, pervenga a uno stato di sospensione virtuosa. Echi (forse inconsapevoli) degli esperimenti compiuti in area astratta negli ultimi decenni.
Siamo abituati a pensare l’opera d’arte come l’espressione di un io. Nella tradizione occidentale
l’artista crea innanzi tutto allo scopo di manifestare la sua peculiare individualità, di comunicarci il
suo punto di vista sulle cose, di rendere percettibile il suo stato d’animo.
Ora invece Giovanni Lucini ci invita a guardare i dipinti che ha realizzato negli ultimi 5 anni con
l’avvertenza che il suo io in quelle opere non c’è.
Semplice provocazione? Tentativo di andare contro corrente? Escamotage per suscitare stupore
capovolgendo i termini del discorso? Macchè. Il titolo di questa mostra va preso sul serio. Ma va
forse inteso più come un obiettivo che come un dato di fatto. Diciamo quindi che Gianni dipinge
per fare in modo che il suo io giunga a non esserci, pervenga a uno stato di sospensione virtuosa.
«La mia indagine pittorica – racconta Giovanni Lucini – riflette il lavoro che faccio su me stesso, la mia ricerca della libertà, della parte più profonda dell’anima umana e della comprensione della verità. Per capire ciò che è vero, nella sua totalità, deve esserci libertà dalle paure, dalle illusioni, dagli attaccamenti, dalla nostra sofferenza, dai pregiudizi, dal conformismo e dall’insensibilità».
Si tratta in fondo della meta a cui tendono tutte le forme di spiritualità e le forme d’arte della
tradizione orientale. Con una sostanziale differenza: che questo proposito viene declinato in
un linguaggio espressivo tipicamente e quasi riassuntivamente occidentale. Ci sono insomma
nella pittura di Gianni echi (forse inconsapevoli) degli esperimenti compiuti in area astratta negli ultimi decenni.
L'opzione per il campo aniconico è però attenuata da reminiscenze figurative che affiorano sulla supoerficie come se fossero impronte recenti, tracce di presenze non del tutto sedimentate. Nei dipinti realizzati nel 2010 la figura tende infine a ricomporsi in una struttura
organica, in una forma che allude a un principio vitale, a una sorta di biologia primaria universale,
in cui sembra dissolversi e ricapitolarsi qualsiasi entità individuale.
Sono proprio questi lavori a intitolarsi “Io non ci sono”.
Probabilmente per suggerire che l’io è venuto meno lasciando spazio a qualcosa di più vasto e
fecondo. E forse per ribadire che l’obiettivo è stato raggiunto.
Roberto Borghi
Vernissage > 30 Maggio 2013 alle ore 19.00
Accademia di Belle Arti "Aldo Galli"
Via Petrarca, 9 22100, Como
Tel: +39.031.30.14.30 +39.031.30.24.18
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Ingresso libero