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Angel Leon Ibarra
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Angel Leon Ibarra



 
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6/7/2005

Angel Leon Ibarra

Associazione Culturale Yaonde, Milano

Precolombina ''... abbandonato il disegno di ispirazione surrealista, realizzato a matite e gessetti e spesso in monocromia, il pittore punta la prua verso olii e tele, scegliendo di tuffarsi in colori puri, dagli accostamenti vividi, stesi in fretta con colpi decisi di spatola e solo di rado rifiniti a pennello.'' Piermarco Mariani


comunicato stampa

Precolombina

La pittura di Angel Leòn Ibarra.

Angel Leòn Ibarra, peruviano, nato e cresciuto a Lima, dalla sua permanenza in Italia, ormai più di due anni, trae occasione per guardare con decisione alle sue origini, a quelle del suo popolo, e a ciò che gli è toccato in sorte. Il suo sguardo non è nostalgico, debole frutto amaro della lontananza, ma contemplativo e complesso nella personale immaginazione simbolica. Una riflessione matura, alimentata dall’esperienza e definita da credenze e convinzioni personali, gli frutta un lavoro compiuto, mai statico nella ricerca espressiva e svincolato dalla paura dell’improvvisazione.

Per l’occasione infatti il pittore compie un giro di boa, abbandonato il disegno di ispirazione surrealista, realizzato a matite e gessetti e spesso in monocromia, punta la prua verso olii e tele, scegliendo di tuffarsi in colori puri, dagli accostamenti vividi, stesi in fretta con colpi decisi di spatola e solo di rado rifiniti a pennello. Una pittura non raffinata, a priva vista naif, nasconde a stento la valenza magico - simbolica d’un immagine tanto semplice quanto misteriosa, subito assimilabile dagli occhi nella sua completezza, solo per potersi riversare nel fruitore senza incontrare resistenze e giungere ad effetto. Il mistero lineare d’un complesso tentativo di comunicazione palese. Diretta e disponibile di primo acchito a farsi scandagliare, l’immagine, non è però disposta a cedere nulla che l’autore non gli abbia già concesso di fare: ci rilassa, incuriosisce e poi d’un tratto proclama senza lasciarci scelta.

L’autore di fatto non tradisce la sua fede surrealista, ma vincola l’effetto con salde briglie al messaggio di cui ci vuol far partecipi. Ciò che gli preme è sottoporci alla presunta verità della realtà che sente di aver scoperto sulla situazione esistentiva e sulle prospettive esistenziali del suo popolo, la parola spetterà a noi quando ci sarà silenzio, solo dopo l’immagine, non prima.
La tematica è fissa, per così dire stringente, si annoda infatti interamente alla riflessione sulla condizione di un popolo la cui dimensione storica – culturale più genuina è stata quasi completamente annientata dalla conquista e successiva dominazione spagnola di stampo repressivo cattolico licenzioso.

I frutti di quel lontano black-out sono la tristezza d’animo di un popolo incrinato dall’occidente, minato dalle tragedie susseguitesi costantemente, privo di giustificazioni esplicative tali da poter motivare l’eccesso di dolore.

Ciò che è perso irrimediabilmente non tornerà, certo, ma si necessita una presa di coscienza che permetta di cogliere il futuro, i suoi eventuali frutti, evitando il distruttivo spreco. Il rapporto con la natura è debole, si è perso, e di naturale vi è sempre e solo la tristezza delle donne, raffigurate immobili, senza sguardo né parola, prive di ogni gestualità e perennemente a mani conserte. Solo la componente femminile viene rappresentata dall’autore, bambine, vecchie e donne popolano paesaggi variopinti ma piatti e desertici, sconosciute lande affatto tradizionali, simbolo delle distese che l’animo umano ha ora dà attraversare per essere libero dalla contingenza d’una tristezza endemica.

Non serve maledire il cristianesimo degli spagnoli, atteggiamento in cui l’autore ritrae una vecchia sciamana che pratica il rito antico, ciò che spetta a ciascuna donna, simbolo incarnato della natura fertile e procreatrice, è di esser madre di un’evoluzione personale, ciascuna secondo i propri limiti giungerà al risultato possibile, sotto la protezione dell’antica divinità di natura. Le interminabili strade che il pittore raffigura sormontate all’ orizzonte da una porta sacra intrisa di lacrime, simboleggiano i percorsi che portano all’ingresso in una nuova dimensione spirituale, una realizzazione faticosa che depura ed eleva. Sussiste quindi una sola possibilità, praticamente obbligata, per raggiungere una libertà vitale ed espressiva, che si è dispersa, simboleggiata dal colibrì, che unisce alla natura rendendo integri al di là della realtà contingente. Le donne dedicandosi al movimento interno dell’animo nella ricerca dell’occasione di un’elevazione, simboleggiata dalla scala divina che conduce oltre lo sguardo, garantiranno al popolo intero una speranza di felicità, un futuro in progresso, simboleggiato a sua volta dai bambini che osservano le madri nella marcia immobile della conoscenza spirituale.

Se l’evoluzione individuale di una persona singola non può garantire il futuro di felicità di un popolo, un’evoluzione intrapresa collettivamente ne è in qualche modo una garanzia, e allora Angel Leòn Ibarra ci dona l’immagine di code di donne, come in processione, intente nel loro percorso, immaginiamo a ridosso della porta sacra della realizzazione di una nuova dimensione vitale.

Piermarco Mariani

Inaugurazione giovedì 7 luglio 2005 dalle h.19

YAONDE SPAZIO d'ARTE
Via Gaudenzio Ferrari 12
20123 Milano
dalle h.18 alle h.22
Ingresso libero

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