Contemporanea Galleria d'Arte
Foggia
Viale Michelangelo, 65

Maurizio Cariati vs Mario Loprete
dal 5/5/2006 al 5/6/2006

Segnalato da

Mario Lo Prete




 
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5/5/2006

Maurizio Cariati vs Mario Loprete

Contemporanea Galleria d'Arte, Foggia

Le opere di Maurizio Cariati e Mario Loprete ci mostrano l’effige dell’identita' umana con ricerche meditate e stratificate, come del resto ci arriva sempre la verita' quando apriamo gli occhi per vederla.


comunicato stampa

Faccia a faccia

Volti sempre rivolti ad altri volti, i nostri, svolti dall’ esistenza, avvolti dal mistero della coscienza, co'lti nell’ attimo in cui si mostra l’ interiorita', senza girarci troppo intorno, per una volta, almeno una. Le opere di Maurizio Cariati e Mario Loprete ci mostrano l’ effige dell’ identita' umana con ricerche meditate e stratificate, come del resto ci arriva sempre la verita' quando apriamo gli occhi per vederla. In questo caso l’ incontro tra due pittori si instaura con un tema di eccellenza: il ritratto, le loro opposte peregrinazioni trovano il punto di contatto nella raffinatezza dell’ indagine, non nei contenuti, indice questo di positiva autonomia, ma la cosa piu' importante e' che comprendono entrambi i reciproci idiomi, li apprezzano vicendevolmente, dal loro confronto nasce quindi un solare dialogo tra superamento e attualita' della pittura.

In Cariati la radicalita' monotematica del volto e' infatti fondante per lo studio di una geografia tridimensionale dell’ evento pittorico. I suoi ritratti, spesso immaginari, comunque sempre interpretati, sono pretesto per una stringatezza di termini che non lascia permeare il compiacimento della forma, una voluta liberazione dai dati di tradizione appare il centro delle sue riflessioni. L’ affiorare di un omaggiante movimento memore delle de-figurazioni di Francis Bacon prende sempre piu' le distanze da un fare pittura convenzionale, il cenno del suo sofferto esistenzialismo non sarebbe realizzato con fermezza altrimenti, ed ecco nelle sue opere l’ apparire delle protuberanze, le masse in tensione, dall’ interno all’ esterno, appunto un esprimere, mai un imprimere. I suoi ritratti ci ricordano il reale vissuto di un uomo chiamato tragicamente The Elephant Man, i suoi dipinti chiedono di vivere nell’esilio di una pittura che e' ancora il mezzo piu' ineffabile di rappresentazione delle immagini.

Ma i tratti sciabolati da pennellate rapsodiche, l’ urlo ricorrente divenuto ormai un solo segno, la sintesi crescente del suo magma coloristico, la presenza austera della iuta non nascosta, ci conducono ad una pittura in cui la rappresentazione lascia sempre piu' il posto alla presentazione di un assunto tecnico-poetico, morale nel suo agire in re-invenzione dell’essere e apparire. Se di figure possiamo ancora parlare, esse sono sempre colpite da dentro nell’ istante in cui la maschera interiore prende il sopravvento su quella esteriore, le inquietudini divengono nelle sue soluzioni affascinanti; Edvard Munch e' molto lontano oggi, ma si potrebbe ipotizzare che udirebbe bene la voce di questi dipinti. Le stesure opache di queste tele acide, dipinte con tempere, acrilici, scorrono veloci, devono essere risultato dell’ inesprimibile, un indugio di troppo e le opere perderebbero immediatamente freschezza, in tale contesto anche le forme abbozzate, plastiche, non devono avere rigori geometrici, emergono come dune di fango da una terra madre, o da sabbie mobili. Ecco perche' nella sua sintesi la pittura diviene sempre piu' traccia e non campitura, animo veritiero e non suadenza di superficie.

Specularmente, emozionato dagli iperrealisti americani Chuck Close, Don Eddy, Richard Estes etc., in Loprete nasce una rinnovata meditazione sul ritratto inteso non solo nella fredda stupefacente tecnica allusiva ad una falsa realta' vissuta dalla modernita', proprio perche' mimetica, imitativa, sgombra di psicologismi emotivi, in lui al contrario affiora un disagio sociale, un sibilo dell’ animo, un silenzio immobile proprio in quei rappers che hanno trovato nell’ orror vacui delle parole l’unico moto di sfogo, di sperata liberazione allato di una aperta condanna. Gli effigiati da Loprete sono appunto i fautori di quella contemporanea e riconosciuta cultura suburbana statunitense, in omaggio ai suoi propri referenti lontani mezzo secolo, si, ma forse veicoli di un disagio globale, interrazziale, generazionale, video-audio-foto trasmesso in tempo reale, immanente, in un flusso privo di pause. In quel suo bloccare l’immagine, mediata dalla pittura, si propaga un’onda carica di grida soffocate, di fisionomie tirate come corde, per una breve eternita' mute.

Lo spirito dei ritratti di Loprete e' appunto caricato nella pausa di una declamazione febbrile, l’immagine e' spesso presa dalla carta patinata delle riviste musicali, rielaborata e contraddetta nella selezione, laddove i soggetti non si innamorano della propria immagine divenendo percio' essi stessi vittime narcisiste di cio' che contestano, bensi' laddove ci ricordano, con le loro espressioni disturbate, radici di schiavitu' e un ruolo che va appunto proprio contro la cristallizzazione dei sistemi schiaccianti, visi quasi sempre accecati da una luce estranea che li porta a raggrinzire e storcere i lineamenti. Questi temi pero', nel profondo, ci fanno piu' propriamente apprezzare il suo bel mestiere di pittore. Gli impasti morbidi e ben torniti, l’ ombra velata di una rete di recinzione proiettata sulla pelle, i piani di campiture a raggiera delle dita di una mano che coprono interamente i connotati della faccia, i passaggi sapienti delle Terre di Siena bruciata stese fino a struggersi sugli incarnati trasfigurati dalle cromie accese di abbigliamenti forzatamente giovanilistici, tutto questo e' sempre in lui non secondariamente pretesto per una sinfonia cromatica, tra gli equilibri del pieno e del vuoto, quest’ ultimo spesso parallelo, preponderante e non casuale protagonista. (Gianluca Murasecchi)

Inaugurazione: 6 maggio 2006 , ore 18,30

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