Le opere di Maurizio Cariati e Mario Loprete ci mostrano l’effige dell’identita' umana con ricerche meditate e stratificate, come del resto ci arriva sempre la verita' quando apriamo gli occhi per vederla.
Faccia a faccia
Volti sempre rivolti ad altri volti, i nostri, svolti dall’ esistenza, avvolti dal
mistero della coscienza, co'lti nell’ attimo in cui si mostra l’ interiorita', senza
girarci troppo intorno, per una volta, almeno una. Le opere di Maurizio Cariati e
Mario Loprete ci mostrano l’ effige dell’ identita' umana con ricerche meditate e
stratificate, come del resto ci arriva sempre la verita' quando apriamo gli occhi per
vederla. In questo caso l’ incontro tra due pittori si instaura con un tema di
eccellenza: il ritratto, le loro opposte peregrinazioni trovano il punto di contatto
nella raffinatezza dell’ indagine, non nei contenuti, indice questo di positiva
autonomia, ma la cosa piu' importante e' che comprendono entrambi i reciproci idiomi,
li apprezzano vicendevolmente, dal loro confronto nasce quindi un solare dialogo
tra superamento e attualita' della pittura.
In Cariati la radicalita' monotematica del volto e' infatti fondante per lo studio di
una geografia tridimensionale dell’ evento pittorico. I suoi ritratti, spesso
immaginari, comunque sempre interpretati, sono pretesto per una stringatezza di
termini che non lascia permeare il compiacimento della forma, una voluta
liberazione dai dati di tradizione appare il centro delle sue riflessioni. L’
affiorare di un omaggiante movimento memore delle de-figurazioni di Francis Bacon
prende sempre piu' le distanze da un fare pittura convenzionale, il cenno del suo
sofferto esistenzialismo non sarebbe realizzato con fermezza altrimenti, ed ecco
nelle sue opere l’ apparire delle protuberanze, le masse in tensione, dall’ interno
all’ esterno, appunto un esprimere, mai un imprimere. I suoi ritratti ci ricordano
il reale vissuto di un uomo chiamato tragicamente The Elephant Man, i suoi dipinti
chiedono di vivere nell’esilio di una pittura che e' ancora il mezzo piu' ineffabile
di rappresentazione delle immagini.
Ma i tratti sciabolati da pennellate
rapsodiche, l’ urlo ricorrente divenuto ormai un solo segno, la sintesi crescente
del suo magma coloristico, la presenza austera della iuta non nascosta, ci
conducono ad una pittura in cui la rappresentazione lascia sempre piu' il posto alla
presentazione di un assunto tecnico-poetico, morale nel suo agire in re-invenzione
dell’essere e apparire. Se di figure possiamo ancora parlare, esse sono sempre
colpite da dentro nell’ istante in cui la maschera interiore prende il sopravvento
su quella esteriore, le inquietudini divengono nelle sue soluzioni affascinanti;
Edvard Munch e' molto lontano oggi, ma si potrebbe ipotizzare che udirebbe bene la
voce di questi dipinti. Le stesure opache di queste tele acide, dipinte con
tempere, acrilici, scorrono veloci, devono essere risultato dell’ inesprimibile, un
indugio di troppo e le opere perderebbero immediatamente freschezza, in tale
contesto anche le forme abbozzate, plastiche, non devono avere rigori geometrici,
emergono come dune di fango da una terra madre, o da sabbie mobili. Ecco perche'
nella sua sintesi la pittura diviene sempre piu' traccia e non campitura, animo
veritiero e non suadenza di superficie.
Specularmente, emozionato dagli iperrealisti americani Chuck Close, Don Eddy,
Richard Estes etc., in Loprete nasce una rinnovata meditazione sul ritratto inteso
non solo nella fredda stupefacente tecnica allusiva ad una falsa realta' vissuta
dalla modernita', proprio perche' mimetica, imitativa, sgombra di psicologismi
emotivi, in lui al contrario affiora un disagio sociale, un sibilo dell’ animo, un
silenzio immobile proprio in quei rappers che hanno trovato nell’ orror vacui delle
parole l’unico moto di sfogo, di sperata liberazione allato di una aperta condanna.
Gli effigiati da Loprete sono appunto i fautori di quella contemporanea e
riconosciuta cultura suburbana statunitense, in omaggio ai suoi propri referenti
lontani mezzo secolo, si, ma forse veicoli di un disagio globale, interrazziale,
generazionale, video-audio-foto trasmesso in tempo reale, immanente, in un flusso
privo di pause. In quel suo bloccare l’immagine, mediata dalla pittura, si propaga
un’onda carica di grida soffocate, di fisionomie tirate come corde, per una breve
eternita' mute.
Lo spirito dei ritratti di Loprete e' appunto caricato nella pausa di
una declamazione febbrile, l’immagine e' spesso presa dalla carta patinata delle
riviste musicali, rielaborata e contraddetta nella selezione, laddove i soggetti non
si innamorano della propria immagine divenendo percio' essi stessi vittime narcisiste
di cio' che contestano, bensi' laddove ci ricordano, con le loro espressioni
disturbate, radici di schiavitu' e un ruolo che va appunto proprio contro la
cristallizzazione dei sistemi schiaccianti, visi quasi sempre accecati da una luce
estranea che li porta a raggrinzire e storcere i lineamenti. Questi temi pero', nel
profondo, ci fanno piu' propriamente apprezzare il suo bel mestiere di pittore. Gli
impasti morbidi e ben torniti, l’ ombra velata di una rete di recinzione proiettata
sulla pelle, i piani di campiture a raggiera delle dita di una mano che coprono
interamente i connotati della faccia, i passaggi sapienti delle Terre di Siena
bruciata stese fino a struggersi sugli incarnati trasfigurati dalle cromie accese di
abbigliamenti forzatamente giovanilistici, tutto questo e' sempre in lui non
secondariamente pretesto per una sinfonia cromatica, tra gli equilibri del pieno e
del vuoto, quest’ ultimo spesso parallelo, preponderante e non casuale protagonista.
(Gianluca Murasecchi)
Inaugurazione: 6 maggio 2006 , ore 18,30
Contemporanea Galleria d'Arte
Viale Michelangelo - Foggia