Tre secoli di scoperte. La mostra e' dedicata alle straordinarie opere (sculture, affreschi e iscrizioni) che in quasi tre secoli di scavi archeologici sono emerse nella cittadina campana. Le altissime temperature sviluppate dall'eruzione del Vesuvio hanno permesso la conservazione delle testimonianze piu' ricche del mondo antico, riferite anche ad aspetti e temi della vita quotidiana e della societa' romana (religione, ambito domestico, abbigliamento, arredi). A cura di Piero Guzzo e di Maria Paola Guidobaldi.
a cura di Piero Guzzo e di Maria Paola Guidobaldi
Dal prossimo 16 ottobre il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ospita per la prima volta una grande mostra dedicata alle straordinarie opere (scultore, affreschi iscrizioni) che in quasi tre secoli di scoperte sono state restituite da quel miracolo archeologico che è l’antica Ercolano.
Se Ercolano, insieme a Pompei e alle ville di Oplontis, è stata dichiarata dall’Unesco nel 1997 “Patrimonio dell’Umanità” è perché con i suoi stupefacenti resti offre una testimonianza della vita e della società romana con tanta abbondanza di particolari e con l’immediatezza della conservazione da potersi ritenere unica al mondo. Le altissime temperature sviluppate dall’eruzione del Vesuvio hanno infatti determinato a Ercolano un fenomeno di conservazione assolutamente originale e in larga misura privo di confronti anche nella stessa Pompei, al di là degli affreschi e delle sculture. Ercolano ha restituito le testimonianze più ricche e complete del mondo antico, riferite anche ad aspetti e temi della vita quotidiana e della società romana (religione, ambito domestico, abbigliamento, arredi): materiali organici, carbonizzati, di ogni genere, quali tessuti, papiri, legni, commestibili, tavolette cerate, tutte preziosissime fonti di informazione per quegli aspetti “minori” e quotidiani della civiltà romana.
La terribile eruzione del 79 d.C., che in una notte cancellò uomini e cose, ha fatto sì che a noi giungesse una città intera, ancora pullulante di vita, sia pure nelle forme proprie impresse da una catastrofe appena compiuta: tetti scoperchiati, muri abbattuti, porte scardinate, statue travolte, suppellettile disseminata ovunque, tutto però in larga misura recuperabile o ricomponibile e, quel che più conta, fresco e vivido come mai accade negli scavi condotti in altre zone archeologiche del mondo, ove il tempo ha avuto modo di sgretolare gradualmente le strutture e le opere originarie, o in altri casi di trasformarle, di inglobarle, spesso di distruggerle completamente. Per tutto quello che invece è venuto alla luce a Ercolano, da un punto di vista conservativo, il tempo non è trascorso dalla notte del 79 fino al momento della scoperta. In questa mostra sono per la prima volta materialmente ricongiunte e presentate al pubblico quasi tutte le opere della grande statuaria restituite dalla città, che appartengono a stagioni diverse della storia degli scavi e che ne hanno determinato il diverso destino quanto a luogo di conservazione e quindi anche di potenziale fruizione.
La plurisecolare storia degli scavi di Ercolano, iniziata per caso nei primi anni del 1700, visse infatti una prima stagione per impulso del re Carlo di Borbone che nel 1738 diede ufficialmente inizio alle esplorazioni per cunicoli sotterranei. Le opere di particolare pregio venivano trasportate nell’Herculanense Museum, ricavato nell’ala del Palazzo Caramanico della Reggia di Portici che frattanto Carlo di Borbone aveva fatto costruire, affinché visitatori di rango e studiosi, previo permesso regio, potessero ammirarli. Alla stagione delle esplorazioni borboniche, appartengono principalmente il Teatro, la Villa dei Papiri, la Basilica Noniana e l’Augusteum (cd. Basilica), gli imponenti cicli scultorei dei quali, trasferiti nel 1822 dall’Herculanense Museum al Palazzo degli Studi a Napoli, che sarebbe diventato il Real Museo Borbonico e quindi, con l’Unità d’Italia, il Museo Archeologico Nazionale di proprietà dello Stato, vengono ora per la prima volta con questa mostra riuniti e presentati al pubblico in tutta la loro magnificenza.
Artefice della grandiosa e sistematica operazione di scavo a cielo aperto e di contestuale restauro è stato invece Amedeo Maiuri, che fra il 1927 e il 1958, ha messo in luce la massima parte dell’attuale parco archeologico. Nello scavo dell’antica Ercolano Amedeo Maiuri concretizzò la sua idea di offrire ai visitatori un suggestivo esempio di città-museo e per far ciò allestì un piccolo Antiquarium nella Casa del Bel Cortile e ricollocò molti oggetti in sito, anche a prezzo di qualche tradimento rispetto ai reali contesti di rinvenimento. Tutte le opere provenienti da questi scavi sono rimaste convenientemente a Ercolano e, insieme a quelle scaturite dagli scavi eseguiti negli ultimi venti anni, fra cui la statua loricata di Nono Balbo, gli splendidi rilievi arcaistici e la peplophoros e l’Amazzone dall’area della Villa dei Papiri. Queste sculture saranno tutte in mostra e verranno poi esposte nell’Antiquarium di sito, la cui apertura al pubblico è prevista per la fine del 2009, offrendo un utile e non comune complemento alla visita. In occasione della mostra, l’atrio monumentale del Museo ritorna al suo antico decoro, rivivendo come spazio espositivo. Il percorso della mostra, che comprende oltre 150 opere, è articolato in sezioni opportunamente definite da uno scenografico gioco di luci, che simboleggia la distanza tra la vita immortale degli dei e la caducità della vita umana.
L’esposizione ha infatti inizio con la viva luce, che illumina le figure di dei, eroi e delle dinastie imperiali, così come ci appaiono nelle sculture di Ercolano (in particolare quelle provenienti dall’Augusteum), come non è certo frequente trovare con tanta abbondanza e varietà in altri contesti archeologici.
Prosegue con una luce in graduale attenuazione nelle successive sezioni, dedicate rispettivamente alle illustri famiglie ercolanesi che con atti di munificenza privata contribuirono al rinnovamento edilizio della città nella prima metà del I secolo d.C. (Marco Nonio Balbo e la sua famiglia, Lucio Mammio Massimo) e alle numerose sculture della Villa dei Papiri, che hanno fatto di questa villa un caso eccezionale nel panorama dell’archeologia italiana, osservatorio privilegiato per la comprensione del ruolo svolto dalla cultura greca presso le classi dominanti della tarda repubblica romana.
Una luce più soffusa si diffonde sui ritratti della gente comune, significativamente accostati alle liste dei cittadini incise su marmo (cd. Albi degli Augustali), mentre le tenebre avvolgono gli scheletri dei fuggiaschi, una delle più straordinarie scoperte archeologiche degli ultimi decenni. Uomini, donne e bambini avevano cercato rifugio sull’antica spiaggia e negli ambienti voltati prospicienti il mare quando con improvvisa, immediata brutalità, il primo surge si abbatté su di essi, catturando per sempre, come in una macabra istantanea, il loro ultimo istante di vita. Anche nell’archeologia della morte Ercolano ha rivelato la sua eccezionalità, offrendo allo studio di antropologi, vulcanologi e archeologi un campione di popolazione ben diverso e ben più ricco e promettente di quello che di norma proviene dalle necropoli.
L’ultima sezione, dedicata ai tessuti da Ercolano, prende spunto da un recente ritrovamento effettuato dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei. Nell’ambito dello scavo della Villa dei Papiri e dell’Insula Occidentalis, e precisamente sulla terrazza del porticato adiacente al grande complesso termale dotato di piscina calida, è stata rinvenuta, nel luglio 2007, una massa informe di materiale organico, nei pressi di una borsa di cuoio, di legni carbonizzati pertinenti ad imbarcazioni e di una rete con pesi di piombo. Il microscavo certosino della massa informe ha consentito di recuperare un esteso frammento di tessuto, forse canapa, che nel suo aspetto consolidato verrà presentato per la prima volta al pubblico.
Per l’occasione si esporrà anche una ridotta, ma significativa, selezione di tessuti provenienti da Ercolano e da Pompei, che fanno parte di una raccolta del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rimasta ad oggi sconosciuta al grande pubblico: la più grande collezione del mondo romano, costituita da 180 reperti tessili. Accanto a sacchi, sacchetti e piccoli borsellini, sono conservati pezzi in tela di cui sembra lecita l’attribuzione ad indumenti personali, quali tuniche e mantelli. L’esposizione di reperti tessili sarà integrata da un repertorio iconografico costituito da sculture e affreschi vesuviani, che consentiranno di inquadrare meglio i tessuti nel loro originario contesto d’uso: l’abbigliamento.
Enti promotori: Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Campania - Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei
Comitato promotore: Sandro Bondi Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Antonio Bassolino Presidente della Regione Campania, Claudio Velardi Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania, Pietro Giovanni Guzzo Soprintendente per i Beni Archeologici di Napoli e PompeiCuratori: Pietro Giovanni Guzzo, Maria Paola Guidobaldi, Maria Rosaria Borriello
Organizzazione e comunicazione: Electa
Allestimento: Studio Associato Annunziata & Terzi
Progetto grafico: Tassinari/Vetta
Catalogo: Electa
Ufficio Stampa
Electa
Enrica Steffenini tel. +39 02 21563433 elestamp@mondadori.it
Carolina Perreca tel. +39 081 4297435 comunicazione.napoli.electa@mondadori.it
Soprintendenza archeologica di Pompei
Francesca De Lucia e Raffaella Levèque
tel. +39 081 2486112, delev@iol.it
Museo Archeologico
Piazza Museo Nazionale, 19 - Napoli
Orari: dalle 9 alle 19.30. Chiuso martedì
Biglietto: intero eueo 10 ridotto euro 6,75
La mostra è inserita nel circuito Campania Artecard
Prenotazione obbligatoria per gruppi, scuole e visite didattiche
tel. 848800288 - + 39 081 4422149