Appunti di lavoro


A d e l i n a   v o n   F ü r s t e n b e r g
L'Arte non ha bisogno dell'Audience

Go back

Si ha l’impressione che chi non frequenta le mostre sia del tutto ignaro della complessità che comporta la messa in opera di una installazione di arte contemporanea e creda ancora che si tratti di appendere qualche tela alla parete o di corrispondere alle stravaganze immaginate sul momento dall'artista di turno. In un certo senso l'allestimento di una mostra in uno spazio equivale a quello di uno spettacolo teatrale di cui l'artista è regista e scenografo e di cui l'attore è il pubblico, chiamato a calcare la scena della mostra secondo un percorso accuratamente predisposto. Lo spazio del Magasin è stato trasformato in occasione di ogni esposizione in modo da adattarlo a queste esigenze, con l'innalzamento di pareti provvisorie o con la costruzione di piccoli edifici all'interno, come è avvenuto nel caso di Remo Salvadori o nel caso del labirinto di Ilya Kabakov.
Di fatto si è trattato in questi anni di gestire lo spazio espositivo come fosse un immenso palcoscenico di tremila metri quadri. Tutto ciò comporta delle spese la cui onerosità sfugge alla distratta attenzione dei funzionari pubblici, spesso ignari delle esigenze dell'arte contemporanea, e si ha l'impressione che tutto sia stato abbandonato alla responsabilità di chi dirige queste istituzioni, alla lunga rivelatosi un incarico troppo pesante. Ora la burocrazia ha avuto infine la meglio sulle esigenze artistiche e gran parte del tempo è stato assorbito da preoccupazioni amministrative, avendo come interlocutori autorità politiche spesso indifferenti, se non addirittura diffidenti. Di fatto in Francia, gli interlocutori principali dei centri d'arte sono divenute le molteplici autorità di tutela dello Stato, delle Regioni, dei Dipartimenti delle città e non più gli artisti, come è stato scritto recentemente in un articolo di Libération.
Ora, se consideriamo un telegiornale di un qualsiasi Paese occidentale, possiamo constatare come, dopo l'ampio spazio dedicato alla politica, alla cronaca, allo sport, in cui predominano la chiacchiera e il sensazionale, gli avvenimenti culturali fanno la parte di Cenerentola, e spesso si riducono all'intervista alla Rock Star o alla Top model del momento. Lo Star System ha sostituito, e di fatto cancellato, il prestigio e l'autorità dell'artista. Vi è oggi la tendenza ad organizzare grandi esposizioni mischiando le due cose. Se scorriamo l'elenco dei partecipanti della mostra sulla creatività italiana al Guggenheim di New York, prima di tutto vengono gli stilisti di moda, i designer famosi, e solo dopo, quasi invitati secondari al traino dei primi, gli artisti. In questo contesto non è impensabile oggi una mostra di Francis Picabia nella quale vi siano, accanto alle sue opere, gli abiti che gli ha disegnato il suo sarto, o la Bugatti che abitualmente guidava. Del resto, non vi sono mostre di arte antica, dove un Kouros sublime è attorniato da cocci e stoviglie dell'epoca?
L'artista non è per me un "creativo", anche se Balla disegnava i gilet che indossava, o Rodcenko disegnava le tute degli operai della Russia Sovietica, essi non erano grandi artisti per questo.
L'arte non crea un bel niente, ma consente un contatto con qualcosa di profondo che è all'interno di ciascuno di noi, e non ha nulla a che fare con l'esteriore, se non come materia che susciti la manifestazione della verità. Ora la verità è il contrario dell'opinione. L'artista opera sulla nudità delle cose, ed è insofferente al senso comune. Un'opera d'arte non è un oggetto più o meno gradevole alla vista, oppure, come talvolta avviene, qualcosa che susciti ribrezzo o scandalo. Questo riguarda solo la sua esteriorità e la sua materialità. Non si può guardare un quadro di Cézanne — e Cézanne fece scandalo al suo tempo — solo dal punto di vista dell'armonia dei colori e delle forme, senza tener conto della sua continua ricerca della realtà delle cose oltre le apparenze. L'estetica è soltanto la superficie dell'arte, ma l'immaginario che essa produce porta a conoscere se stessi. Oggi questa funzione si è spostata altrove, il senso comune è dominato dalla televisione, che ha costruito quel mostro che è l'individuo massificato, ha indotto a una individualità di massa, e tra i programmi televisivi, le trasmissioni propriamente culturali, in tutto il mondo occidentale, quando esistono, sono relegate in orari notturni, come costituissero la cattiva coscienza della società civile, qualcosa di passato e da rimuovere. Sembra un luogo comune per noi, attaccare la televisione, ma purtroppo è un mezzo macroscopico e incombente di cui non possiamo fare a meno di parlare. Nei Paesi occidentali la maggioranza ormai si identifica con quella moltitudine indefinita di persone chiamata "la gente". Per quanto riguarda la televisione, il suo nome è Audience, i messaggi della televisione sono per lo più subliminali e sono rivolti al soddisfacimento dei desideri, al consumo, mentre è sottintesa la rimozione di ogni senso di colpa o di responsabilità. L'Audience è sottoposta all'indice d'ascolto, alla statistica dei sondaggi, per cui, se un programma non fa ascolto, viene automaticamente rimosso, o relegato in periferia, non è più "popolare", come non è più popolare oggi in Francia il Centre d'Art Contemporain di Grenoble, perché non ha abbastanza Audience. Dunque qualcosa non va per il verso giusto, qualcosa manca rispetto al modello degli illuministi, che dettò le regole della democrazia ed indicò nell'educazione e nella tolleranza il rispetto del prossimo.
Quello che oggi chiamiamo "la gente" è costituito da coloro i quali hanno appreso, o apprendono, la qualità della vita da modelli suggeriti dalle immagini della televisione, la cui quantità è enorme e ossessiva. La democrazia oggi vive in questo equivoco, non vi è politico che non faccia appello al principio democratico della maggioranza che lo ha eletto. Ci si chiede: "cosa ne penserà la gente?". La democrazia moderna è nata nel nome di una ragione che si contrapponeva alla continua e fluttuante creazione di figure mitologiche da parte della folla.
In effetti oggi si assiste, nel crepuscolo degli ideali illuministi, al prevalere di un immaginario effimero, per l'affiorare di un continuo caotico paesaggio di nuove immagini che ci circonda. Ciò non significa che si debba abbandonare questo caos in attesa dell'ordine, perché ciò che nasce dal caos ha una natura momentanea ed è subito preso nel vortice del tempo che passa.
L'arte aveva preceduto queste teorie, i surrealisti praticarono ad esempio la scrittura automatica, ed abbiamo l'esempio del dripping di Jackson Pollock. Queste tecniche tuttavia non avevano lo scopo di un abbandono incondizionato al caso, ma erano il tentativo di fissare quella risonanza che ci mette a contatto con ciò che di profondo e di nascosto è in ognuno di noi.
L'arte, in un certo senso, costituisce l'irrazionale della ragione, lo scarto che mette a nudo la verità delle cose. Essa tende a bloccare la realtà in oggetti duraturi, e non si abbandona mai all'irrazionale in sé. L'arte, poiché opera sulla verità, non si abbandona al tempo, ma lo precede, suggerisce delle regole e non la cancella. Essa insegna l'introspezione e non l'abbandono all'esteriorità.
L'arte è insieme elementare e complessa: elementare poiché restituisce le cose nella loro nudità, e complessa poiché il cammino per raggiungere un risultato presuppone l'abbandono di convinzioni e convenzioni che costituiscono il senso comune. Non vi è invece conduttore televisivo che non ripeta continuamente ai suoi interlocutori che bisogna essere chiari, spiegare pazientemente ciò di cui si sta parlando, altrimenti la gente non capisce. Questo è un assioma televisivo: il pubblico della televisione è equiparato ad un fanciullone mezzo idiota al quale ogni sforzo intellettuale stanca, e divora tutto il mondo come un bambino ghiotto di cioccolata. Tutto ciò che è cultura, letteratura, poesia, arti visive, non ha nulla a che fare con i desideri di massa.
Si tratta di esperienze interiori che coinvolgono sentimenti negli atti espressi personalmente. L'esperienza estetica è spiegabile fino ad un certo punto, ed avviene solo in presenza dell'accadere del confronto che coinvolge individualmente. Essa è figlia della misura, del rapporto ben calibrato, di una sottigliezza e di un acume che permettono di trapassare il diaframma che intercorre tra la banalità del quotidiano e l'ideale. Il pubblico televisivo, al contrario, non cerca altro che di essere rassicurato nella propria banalità.
L'arte richiede un'elevazione dello spirito, simile a quella dell'educazione civile che la democrazia richiede ai singoli individui, che è un sentimento e un'inclinazione alla libertà e alla tolleranza, ed è ciò che si chiede anche per una buona esperienza dell'arte.
L'appello alla massa porta alla dittatura, questo ci insegna la storia europea del XX secolo, e già da più parti si sente la parola minacciosa "telecrazia", e non è un caso che l'arte moderna fu sempre osteggiata dai regimi totalitari che sono sopravvissuti in Europa fino ad un passato recente. Ciò che oggi chiamiamo Arte Contemporanea è l'eredità di artisti come Kandinskij, Duchamp, Man Ray, Max Ernst e, in altri campi, Toscanini e Schönberg, che vissero in America durante l'ultima guerra. L'internazionalità dell'arte d'avanguardia ebbe origine in quella minoranza evoluta e progressista che tra le due guerre era aperta agli scambi tra Paesi diversi, e vedeva in ciò il modo di sfuggire al provincialismo e al cattivo gusto della massificazione culturale indotta dai regimi totalitari che dominarono gran parte dell'Europa.
Può esistere un'arte dell'indifferenza? Oppure l'indifferenza significa la fine dell'arte per come noi la conosciamo?
Diremo subito che un'arte dell'indifferenza ha una contraddizione in sé, in quanto, se così fosse, essa sarebbe assorbita dal sistema delle comunicazioni.
D'altro lato si può obiettare: se la globalità prende forma secondo il modello occidentale, perché abbandonare qualcosa che ha le sue origini proprio in un tale modo di essere? Si può rispondere che il nuovo sta prendendo forma proprio sotto la pressione del diverso che da tutte le parte lo preme, e che si può combattere la differenza solo accogliendo la differenza, con l'apertura a tutto quanto accade nel mondo, se globalità deve essere. Per questo l'espressione dell'arte diversa, per la varietà che deriva dalla sensibilità di ciascun artista, è al contempo globale in senso proprio in quanto riguarda l'interiorità di ognuno, riguarda tutti senza distinzioni. Dunque è proprio la differenza ciò che distingue l'opera d'arte, in quanto ci dimostra l'universale nel particolare, al contrario dei mass media, ad esempio, che tendono ad enfatizzare il particolare diverso per rassicurare la normalità, quella che chiamo una "micromania dei mass media".
Perciò una cosa è certa, se il sistema dell'arte deve aprirsi al nuovo, dovrà spostarsi in un territorio al di là dei media, in cui le opere d'arte siano riconosciute come esperienze totali e come tesori dell'umanità. Va precisato che ciò non implica affatto un pregiudizio anti tecnologico da parte di chi vi parla o l'uso della tecnologia da parte degli artisti come mezzo riconosciuto come materia delle loro opere. Anzi penso che ciò sia auspicabile poiché se la tecnologia è il fenomeno che caratterizza più di ogni altra cosa la nostra epoca, l'introspezione artistica può svelarne il senso e il destino.
Del resto, questa mentalità aperta ad ogni esperienza, da qualunque luogo essa provenga, è già pronta nel mondo dell'arte, ciò grazie anche alla sua internazionalità. Tuttavia vi è sempre stato, per ragioni politiche o altro, il senso nascosto di considerare tale internazionalità circoscritta ai rapporti tra America ed Europa, là dove la tecnologia è andata sviluppandosi.
Ora il territorio di tale confronto deve, per quanto possibile, essere allargato, operando in modo di richiamare proposte che provengano da ogni Paese, sia nel rispetto della personalità dei singoli artisti, che in quello delle diversità culturali, tenendo ben presente che per le ragioni che abbiamo detto, l'internazionalità dell'arte è all'opposto dell'internazionalità dei media.
Per la sua singolarità, la figura dell'artista, in un certo senso, può andare in controtendenza rispetto all'attuale sistema dell'informazione, o almeno cambiare direzione al suo movimento, rivolto oggi verso la disperazione che comporta un sentimento di indifferenza.
Credo che lo spazio dell'arte tornerà presto ad essere un luogo alternativo, capace di scuotere le coscienze. Ciò che ora ci appare come un movimento abbandonato all'eclettismo delle proposte, senza una linea, una guida precise, in cui vecchio e nuovo si confondono, porta certamente in sé il presupposto di nuove situazioni. Una corretta politica dell'informazione sull'arte, che aiuti l'affermazione di questo movimento in atto, dovrebbe iniziare, a mio parere, con lo sgombrare il campo da tutte le sovrastrutture sociologiche, antropologiche, psicologiche che spesso lo ingombrano. L'arte non è un problema, ma un dato di fatto di cui ogni analisi non può essere che parziale. Ciò significa soprattutto spostare l'accento sull'esperienza diretta e la partecipazione al fenomeno artistico. Considerare questo come un dato di fatto e non un evento, opera dell'artista e non un prodotto del sistema.
Si è sempre detto che l'arte è un linguaggio che può essere compreso dovunque, superando le barriere delle diverse lingue, se accettiamo ciò per vero, significa che l'arte possiede una propria autonomia che supera ogni descrizione e commento. Una universalità che supera confini e particolarismi. Vuol dire anche esplorare nuovi territori, trovare nuove modalità di esposizione, che superano le mentalità acquisite che hanno ormai sapore di passato. Ecco perché, se volete, questa occasione del Cinquantesimo anniversario delle Nazioni Unite, mi è sembrata un'opportunità da non trascurare, per portare avanti queste idee. L'arte, trovandosi nel punto di vista globale nei luoghi dell'O.N.U., può permettere, alle persone che sono sensibili a questi ideali, di vedere concretizzate le loro idee. Attraverso l'arte si può dimostrare la realtà di una convivenza pacifica tra i popoli. La diversità intrinseca dell'arte può insegnare la tolleranza.
Siamo testimoni di un mondo in cambiamento, possiamo essere i protagonisti, con l'arte, di questo cambiamento.