La Generazione delle Immagini 7 - 2000/01 - Racconti d'Identita' Harald Szeemann Ha forse bisogno di registi l'arte? 1. La domanda, che include la scelta del termine "regista", richiama una chiara risposta negativa. La definizione professionale "regista" è inequivocabilmente pertinente al campo teatrale e non a quello delle arti figurative. Tanto più che l'opera artistica totale non esiste, ed è possibile soltanto visualizzare la "propensione a...", cosa che non può certo essere realizzata senza abilità allestitiva. E l'evoluzione del regista segue un percorso completamente diverso da quello dell'organizzatore di esposizioni, il quale allestisce. Nel corso dei secoli il regista sostituisce l'autore, regista di se stesso nei tempi antichi, e sostituisce l'attore, che fungeva da regista durante il Rinascimento e il periodo barocco. Oggi egli è il mediatore professionista tra autore e ensamble, e non a caso la sua posizione ha provocato la richiesta di maggiore codeterminazione. Ma a questo punto dimentichiamo il regista e dedichiamoci piuttosto all'organizzatore professionista di esposizioni o, meglio, al curatore, parola che già di per sé contiene il concetto di cura. Naturalmente io sostengo e difendo l'allestimento quale testimonianza non verbale dell'immedesimazione del curatore in un capolavoro, in un'opera, in una visione d'insieme, in una tematica da lui scelta, che si trasformano in eventi attraverso la forma espositiva messa in scena, grazie a un'architettura prestabilita, reinterpretata o temporanea, alla definizione di spazi di respiro pertinenti all'opera, alla serrata sequenza dalla quale si materializza la presentazione oppure alla solenne celebrazione nell'isolamento, alla definizione del livello oculare e degli elementi espositivi, degli effetti luce, del cromatismo ambientale e della neutralità di fondo. In poche parole: io partecipo con ogni fibra del mio corpo, del mio cuore, della mia anima di curatore, alla creazione di un poema o di un dramma, sì, anche del caos voluto. L'allestimento, se riuscito, è un servizio all'opera artistica e mai ha potuto nuocere alla sua autonomia. Tutto ciò è particolarmente vero quando l'allestitore conosce i propri limiti, che emergono tangibili nei confronti con gli artisti contemporanei. Esistono artisti che scandagliano la superficialità locale per utilizzarla come caratteristica sculturale, producendo in tal modo essi stessi l'allestimento. Ci sono poi allestimenti critici dal punto di vista istituzionale che richiedono la collaborazione del curatore (Daniel Buren). Poi ci sono quelli che trasformano l'involucro di presentazione in una componente dell'opera (musei di artisti) e l'insieme viene poi nuovamente esposto dal curatore. Allestire può anche significare assegnare uno spazio adatto a opere poetiche complesse, nelle quali non solo la forma presentativa ma anche il luogo sono oggetto di riflessione visualizzata (Marcel Broodthaers, Christian Boltanski, Reinhard Mucha). Per chi da trent'anni organizza e allestisce mostre esistono mille possibili forme di collaborazione con l'artista per la definizione del processo espositivo. In questo tempo di recupero e rivalutazione, gli spazi del piano consacrativo permettono all'allestitore di rendere visibile e vivibile il contenuto utopico dell'opera, il nucleo inalienabile della creazione, la grandiosità nella grandezza come nel dettaglio, nel contingente come nell'intangibile... Autoaffermazione e autodeterminazione sono implicite caratteristiche dell'autonomia. Non credo che l'intervento dell'allestitore sconfini in questi campi poiché egli non è il critico dell'opera, bensì colui il quale ha voluto esporre l'opera in modo autonomo. Quando l'artista delega al curatore la presentazione dell'opera non ci sono problemi. La rivendicazione poetico-allestitiva può divenire equilibrismo avventuroso, garantendo il diritto all'autonomia della singola opera, quando elementi diversi e disparati si relazionano tra loro in spazi aperti e ogni cambiamento comporta una nuova valutazione del tutto. In presenza degli artisti il processo diviene ancora più avvincente e dall'accesa discussione su distanze, differenze e spazi, scaturisce l'allestimento. Naturalmente esistono forme allestitive eccentriche. Per un dato periodo di tempo era di moda il confronto per il confronto. Adatto per alcune coppie antipodali, nella maggior parte dei casi suscitava il desiderio di rivedere le opere di un artista nuovamente collocate sul bianco cubo autonomo, da sole. Spesso ci si dimentica che l'allestimento è il frutto di un investimento temporale, innanzitutto nell'opera, e poi nella presentazione - preferiamo tralasciare le questioni di carattere amministrativo quali la corrispondenza e la modulistica per concessioni e prestiti - ed è quindi meditazione all'insegna della flessibilità. Questi esempi stanno a dimostrare quando e dove io sia a favore dell'allestimento. Anche l'arte antica trae talvolta giovamento da un distacco dal contesto museale per poter essere vista sotto una luce più fresca e attuale in uno spazio di respiro di maggiore libertà. Tutto ciò per rendere percepibile quella dimensione che un tempo si chiamava liturgica e che ci porta oltre l'apparenza. Rifiuto l'allestimento che non libera l'ossessione del creatore e le intense intenzioni dell'opera, riducendosi quindi a una funzione decorativa. Ed è in questo senso che dico SÌ all'allestimento che riesce a liberare in modo non verbale strati significativi e nuove energie nella ricezione. Il suo carattere temporaneo gli conferisce la funzione di banco di prova per l'opera nei confronti del tempo, mai nocivo, bensì ad arricchimento del desiderio di perennità. La famosa autonomia è altresì il frutto delle valutazioni soggettive, così come la società ideale rimane un'utopia, ma dà vita al desiderio di rendere percepibile la rappresentazione dell'"unio mystica" degli opposti nello spazio. Senza visione non esiste il visibile, ma è il visibile che sempre determina la visione. Altrimenti ci ritroviamo ad "appendere e posizionare" e a suddividere nuovamente il processo "della visione al chiodo" in brevi compiti parcellizzati. Che tristezza se ciò accadesse! L'allestimento dell'arte è la visualizzazione del piacere del rapporto con l'arte e della combinazione delle possibilità che da essa scaturiscono proprio quando la si ritiene autonoma. Allestire è amare. 1. Per gentile concessione della rivista Risk - Arte Oggi e di Lucrezia de Domizio Durini. Traduzione dal tedesco di Maria Cristina Massa. |
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