Attraversare le contingenze allargando le prospettive

02/07/2008
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Raids notturni (arte abusiva parte 2)

"Brivido, terrore, raccapriccio" diceva Cattivik per farsi coraggio nella notte, ma lui era un antieroe di carta. Gli eroi della street art, urban art o art activism che sia, sono su grandi muri all'aperto nella citta'. "I nomi sono nudi. Io la chiamo arte abusiva finche' non e' mediata da alcuna autorita' preposta, sia essa quella del gallerista, del collezionista o del curatore" dice Stefano Questioli rispondendo al fuoco incrociato delle domande di Giovanna Tonelli.



Blu, Tate Modern, London 2008


Blu, Tate Modern, London 2008


Blu, Spaziorazmataz, Prato 2007


Blu+Ericailcane, Spaziorazmataz, Prato 2007


Blu+J-R, Berlin 2007


Blu, Buenos Aires, 2007


Blu+Ericailcane, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, 2007


 

Che si chiami street art, urban art o art activism poco importa. I galleristi e i collezionisti da qualche tempo ne sono golosi. C’è chi ne approfitta e si affretta a svendersi al mercato dell’arte pur di guadagnare qualche soldo e un po’ di fama, chi invece non si fa imbambolare dai luccichii e resta fedele alla propria ricerca. Rinchiudersi all’interno delle quattro pareti, per la street art significa morire o quantomeno snaturarsi. È un’arte nata per strada, che in strada deve rimanere. Abusivismo, transitorietà, libertà e comunicazione universale sono le sue parole d’ordine.

La sua precarietà e la brevità della fruizione rendono viva, umana e mortale la street art. Il pezzo nato per strada, che agli occhi del cittadino appare sui muri all’improvviso, inaspettato, contiene un fascino misterioso. Proprio come i murales di Blu ed Ericailcane comparsi qualche tempo fa a Prato, sul muro di un vecchio capannone. La loro collaborazione crea un vivace dialogo tra due linguaggi che si completano aggiungendo una riflessione ironica al mondo. Le creaturine di Ericailcane costituiscono una risposta agli alieni di Blu che si aprono come una cassa del tesoro per mostrare il proprio interno al cittadino, permettendogli di rispecchiarsi in quel microcosmo.

I lavori di Blu si contano numerosi in tutta Europa e sono stati da poco il tema di una presentazione durante un seminario sulla street art presso la Humboldt Universität di Berlino. Dalla presentazione sarà ricavato un elaborato che intende approfondire e analizzare il percorso dell’artista nella scena italiana e internazionale.

Si può portare all’interno di una galleria un’arte così legata allo spazio urbano? Qual è il ruolo dei curatori? Qual è il modo migliore per avvicinarsi a questo tipo di arte? Quali sono le regole del gioco? Con questi quesiti mi sono rivolta a due curatori, Lorenzo Giusti e Stefano Questioli, che fra i primi in Italia hanno aperto gli occhi su artisti come Blu che oggi ha fama internazionale dopo la mostra alla Tate Modern.

Giovanna Tonelli

 

 

Intervista a Stefano Questioli

 

A cura di Giovanna Tonelli

 

Quando hai iniziato ad occuparti di Street art? Una passione coltivata da anni o un'occasione capitata per caso?

 

È ormai una passione coltivata da anni, ma nata per caso. Il caso è stato il ponte di Stalingrado, passaggio che percorrevo abitualmente a Bologna per recarmi all’università. Proprio su quel ponte, porta di accesso alla città, Blu ha realizzato i primi lavori.

È quello un luogo di grande visibilità, sia per la mole di traffico automobilistico sia per la prossimità al quartiere universitario. Era il 2000 e già da tempo avevo notato uno strano personaggio dipinto di blu che, stringendosi la testa fra le mani, implorava: «spegni ti prego!». Nel muro a fianco un altro invece, con l’indice puntato sul telecomando di una bomba, ironicamente minacciava: «fa boom!». Da allora ho voluto a tutti i costi incontrarne l’autore.

Da amante della pittura e da frequentatore della scena artistica quelle immagini catturarono immediatamente il mio sguardo. Ironia e raffinatezza su un muro grigio di un orrendo ponte stradale, cosa chiedere di meglio di questa gratuita apparizione?

 

Murales de Octubre: perchè partecipare e co-curare un festival di strada in Sudamerica?

 

Quando un’artista-curatrice nicaraguense in visita a Bologna mi chiese cosa visitare in città, oltre al “Compianto“ di Santa Maria degli Angeli le consigliai di girare per il quartiere Bolognina, per vedere i graffiti di Blu ed Ericailcane. Lei mi parlò di un progetto artistico che aveva particolarmente a cuore per la sua città, Managua. Il muro che costeggiava l’Avenida Bolivar, arteria principale di una città ancora in ginocchio dopo il terremoto del 1972 e dopo 20 anni di crisi economica, rappresentava un luogo simbolo della stessa identità nicaraguense. Venne dipinto dalla cosiddetta “Brigata del Cile“, alla cui testa stava il pittore Victor Canifrù nel 1980 per celebrare la rivoluzione sandinista. Il soggetto era il sogno di Bolivar. I cittadini di Managua, erano legati a quelle pareti che presto divennero uno dei loro monumenti. Con la conquista del potere di Violeta Chamorro nel 1990 Il sogno di Bolivar venne cancellato così come il sogno sandinista. Una geometria a raggi colorati venne apposta su quei murales. E questa coprì per 15 anni la storia stessa del Nicaragua.

L’Idea di Alicia Zamora, la curatrice nicaraguense, era quella di riportare in vita quel luogo attraverso l’energia dell’arte contemporanea, attraverso una reinterpretazione della tradizione muralistica sudamericana. Capimmo subito che le istanze della street art di cui Blu ed Ericailcane erano certo protagonisti (assieme ad altri artisti: quali Banksy, Os Gemeos, El Tono, Nuria, J-R, Obey Giant, London Police, Zeus) erano assimilabili ad un progetto di questo tipo. L’etica era la medesima, nonostante la discontinuità storica e latitudinale.

Da lì nacque l’idea di fare entrare i due universi in corto circuito. E così partimmo alla volta di Managua. Non si trattava di un festival di strada ma di un’azione di pittura cooperativa, fra artisti centroamericani, fra cui altri graffitari, street artists e la novità dello stile figurativo di Blu ed Ericailcane. Lo scambio fu proficuo ed entusiasmante. L’Hombre Banano di Blu guadagnò la copertina della “Prensa“, il quotidiano nazionale. Tutti gli artisti insieme concorsero ad una alterazione di un paesaggio non solo fisico.

 

Blu ha lavorato più volte in Sud America. Sembra che il mondo latinoamericano abbia influenzato molto i suoi lavori. Cosa lo affascina di questi paesi? Quando è stato il suo primo viaggio?

 

Il mondo sudamericano e centroamericano lo affascina, così come può essere affascinata una mente curiosa, perennemente indagante. I viaggi per Blu sono occasioni per mettere insieme pagine e pagine di disegni, schizzi annotazioni, raccolti ordinatamente in sketch-books, diari intellettuali di un viaggiatore-artista contemporaneo. Il richiamo che l’immaginario sudamericano ha avuto sulla sua pittura è soltanto a posteriori. Sarà influenzato dal Giappone o dalla Russia non appena vi si recherà.

 

Che cosa ha portato Blu a cambiare stile verso il 2002? Dalla bomboletta spray ai rulli e pennelli con vernici. Da una linea spezzata a dei contorni più dolci, da misure ridotte a murales monumentali. I viaggi in Sudamerica e le partecipazioni a festival internazionali hanno influenzato il suo stile?

 

Non è esatto parlare del 2002 come di un anno di svolta radicale. La sua pittura si evolve in continuazione perchè è figlia di un lavoro incessante di ricerca. Alcuni stilemi o figure (retoriche) si ripetono per mutare così come nelle associazioni surreali dei suoi video. Il passaggio dalla bomboletta al pennello fu una semplice presa di coscienza della velenosità della pittura spray. Il bisogno poi di esprimersi su sempre più grandi superfici gli ha imposto l’uso del rullo. Credo che il suo bisogno più autentico sia quello di incrementare la superficie pittorica, per ritrovarsi come in un racconto di Borges a sognare di dipingere su tutta la superficie del mondo.

 

Blu cerca di comunicare un messaggio oppure sente il suo gesto come uno sfogo che prende forma sulla parete?

 

La dualità sfogo-messaggio non può reggere come chiave interpretativa. Il messaggio non viene veicolato, quanto piuttosto messo in discussione, così come di dovere in un’opera d’arte. Per Blu la pittura è un’esigenza. Se non dipingesse un muro o un foglio dipingerebbe direttamente sulla propria fidanzata. E se di un contenuto si deve per forza parlare, questo a mio parere attiene intrinsecamente al suo stile, al suo disegno, alla sua ossessione grafica, per la linea, per il riempimento, per la “texture“ e per il suo connaturato dinamismo. C’è poi in esso il dramma dell’uomo contemporaneo, con la sua deriva cyborg, in un perenne errore di sistema.

 

So che, se fosse per lui, Blu “eviterebbe di chiamarsi". Da dove viene il suo nome? Deriva dal colore che usava nei suoi primi lavori?

 

Che “eviterebbe di chiamarsi“ lo scrissi in un’altra occasione, quando lo paragonai ad uno scultore di una cattedrale gotica, che al posto di una firma ci lasciava un manufatto. La sua preoccupazione infatti non si è mai concentrata sull’identità quanto sullo stile. Fino alla totale coesione dei due aspetti. La sua firma è la sua arte. Blu è un nome che scelse in età giovanile quando iniziò dipingere per strada come qualsiasi ragazzo appartenente alla sottocultura spaghetti hip-hop. Banalmente gli piaceva il colore.

 

Quali sono gli artisti tedeschi con cui ha collaborato?

 

A Bologna nel 2002-2003, si fece notare per forza espressiva un artista geniale, Sweza, che putroppo ha interrotto la sua carriera. Con lui ci furono i primi esperimenti di interazione, condivisione, ed addirittura di net art quando anche altri protagonisti inviavano le loro realizzazioni via email perchè gli amici bolognesi le aggiungessero nei loro raids notturni.

Sweza popolò Bologna di silouette dei Blues Brothers, di autoritratti, poi di una surreale segnaletica civile in tedesco ad indicare i luoghi di videosorveglianza ed infine di pupazzetti alieni scesi da chissà dove, per deridere la cittadinanza felsina.

 

Lo storico dell'arte in cerca di riferimenti icongrafici: Blu conosce Rivera? Significa qualcosa per lui? E Frida Kahlo? Conosce il Leviatano di Hobbes? Ne conosce la copertina?

 

Conosce Rivera e Frida Kahlo perchè ha studiato arte e perchè appartengono all’immaginario pop. Non conosce la copertina del Leviatano come non conosce molte altre cose. Conosce bene Gordon Matta Clark, Norman Maclaren, David Shrigley, Giovanni Bellini.

 

Ha mai avuto problemi con la polizia?

 

Di tanto in tanto. Ma nulla di grave. In una recente mostra a Prato lui ed Ericailcane vennero scoperti ma la fortuna di avere incontrato una volante di poliziotti “elastici“ li salvò da una incriminazione. Successivamente ci fu un’indagine da parte della Digos, che su denuncia di una cittadina - turbata dall’immagine di una scarpa chiodata che sta per schiacciare il corpo di un uomo - fece una perquisizione nello Spaziorazmataz, dove si teneva la mostra di Blu ed Ericailcane curata da me e da Lorenzo Giusti.

 

Chi è un "sell out"?

 

È un atteggiamento molto, molto lontano da lui. Gli va dato atto che ha rifiutato offerte profumatissime pur di mantenersi libero. Una libertà in cui la sua pittura possa vivere incondizionata, anarchica, violenta e sorprendenete.

 

Alcuni critici qui in Germania non sono d'accordo nel chiamare l'arte di cui abbiamo parlato finora “Street Art“, ma preferiscono termini come “Urban Art“ o “Graffiti Art“. Che cosa pensi in proposito?

 

I nomi sono nudi. Io la chiamo arte abusiva finchè non è mediata da alcuna autorità preposta sia essa quella del gallerista, del collezionista o del curatore. Poi che sia urban o street, poco cambia. Diversa la questione relativa ai graffiti. Questi hanno una storia a sè e pertanto la recente street art ne condivide i territori e forse la “guerra semiotica“ ma non lo stile.

 

Si sta discutendo molto sul trasferimento della street art all'interno di spazi chiusi che potrebbero togliere fascino ad un’arte nata per strada. Tu cosa ne pensi?

 

La questione si risolve solo con una piroetta teoretica:

La street art o arte abusiva vive per strada, libera ed incondizionata. Se deportata in galleria cambia statuto. Diviene qualcosa d’altro. Gli esperimenti indoor possono essere di tre tipi e la loro efficacia è inversamente proporzionale alla posizione

1) Le tele con graffiti disegnati sono come i fiori finti. Una mostra con queste opere è semplicemente una brutta mostra.

2) Il wall painting è una soluzione intermedia. Viene rispettata l’operatività, la prassi creativa, ma ne viene alterato la portata semantica. Può essere buona pittura ma soffocherebbe in fretta per mancanza d’aria

3) La galleria o il museo potrebbe essere lo spazio della documentazione di questo fenomeno. Ne potrebbe essere l’archivio fisico , mentre internet l’archivio virtuale. Questo è stato l’obiettivo di una mostra che ho curato nel 2005 intitolata 72 dpi dove ho fatto stampare 1250 fotografie di graffiti sparsi in tutto il mondo. A mio parere questo è il compito del critico-curatore, ovvero quello di documentare e diffondere. Non di imprigionare.

 

Riferendosi ai nuovissimi eventi, accusati di aver decontestualizzato le opere di street art, Sgarbi ha affermato: «La Street Art non ha rinnegato se stessa, è successo invece l'esatto contrario: l'arte ufficiale l'ha accolta». Che ne pensi?

 

La street art è un fenomeno alla moda. Oggi è mainstream. L’arte ufficiale ovvero l’arte con interesse commerciale se ne è accorta. Ma se i protagonisti della manifestazione milanese smettessero d’un tratto di portare le loro opere nello spazio pubblico, gratuitamente e senza permesso e si dedicassero solo alla produzione di merci per gallerie allora sarebbe un tradimento. Sta agli artisti scegliere il campo. Entrambi gli universi possono coesistere senza rinnegarsi. Blu ed Ericailcane, per esempio, fanno mostre, dipingono muri con il permesso delle istituzioni ma continuano ad uscire di notte ed imbrattare i muri delle città in cui si trovano. Blu poi ha un’avversione viscerale per l’opera d’arte mobile. La sua è una pittura intrinsecamente legata all’architettura e pertanto invendibile. Tuttavia l’arte ha un apparato digerente così efficace da poter sciogliere al suo interno anche ciò che la nega.

 

Il video, girato con una telecamera a infrarossi, che documenta l'esecuzione di uno dei tre lavori illegali di Blu ed Ericailcane.

Regia e montaggio: Lorenzo Fonda. Produzione: Spaziorazmataz 2007

 

 

Street art 3.0, l’intervista a Lorenzo Giusti

 

Comunicato stampa della mostra "Street Art". Alla Tate Modern di Londra fino al 5 agosto

 

Informazioni su Murales de Octubre www.muralesdeoctubre.com

 

Comunicato stampa della mostra Ericailcane + Blu allo Spaziorazmataz di Prato

 

http://www.ericailcane.org

 

http://www.blublu.org

 

 

Giovanna Tonelli è laureata in Storia dell’Arte all’Università di Firenze. Attualmente frequenta un Master in storia dell’arte alla Humboldt Universitaet di Berlino

 

 

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