Diciamocelo: molti di noi ultimamente hanno passato il tempo ad armeggiare con scotch e carte luccicanti, o a guardare oggetti di grande appeal e squisitezze multicromatiche in vetrine sfavillanti. Imballaggio e packaging sono un diaframma semi-materiale fra contenuto e consumo. Questo pensa Marco Senaldi, direttore della rivista Impackt. Il pubblico dovrebbe capire che "ogni scelta, di cose da comprare, da mangiare o da leggere, è già una presa di posizione e sarebbe ora di spostarsi trasversalmente nei saperi e nelle culture" dice in questa intervista.
Soprattutto visto che oggi, "si rischia di imparare più cose sull'arte e sul design da un magazine di psicologia o di edilizia che da una rivista di settore".
Intervista a Marco Senaldi
fondatore e direttore editoriale del periodico Impackt
A cura di Silvia Maria Rossi
Come nasce Impackt?
Impackt ha preso vita intorno a un grande tavolo giallo dalla forma sghemba, un prototipo disegnato da Sonia (Pedrazzini ndr), nel 2001. E' lì che abbiamo scaricato montagne di riviste, cataloghi, ritagli, centinaia di immagini, oggetti, scatole e flaconi... e a poco a poco l’idea ha preso veramente vita e forma. Ma Impackt è nata anche da una scommessa e da un incontro.
La scommessa era quella di unire le forze – la ricerca nel design e lo sguardo sull’arte contemporanea – per parlare e rendere visibile l’universo delle merci contemporanee, osservare come comunicano, come circolano, come si vestono e che carattere hanno assunto, prendendole per così dire sul serio, lasciandosi alle spalle l’occhio pop con cui erano state considerate fino ad allora. L’incontro è stato quello con Stefano Lavorini e il suo staff, creatori di Dativo editore e di Italiaimballaggio (il principale magazine nel settore packaging), che, uscendo con coraggio dalle logiche settoriali, hanno creduto nel progetto – e lo sostengono ancora. A posteriori, dopo 14 numeri e sette anni di attività, possiamo dire di essere stati un po’ dei pionieri.
Oggi intere case editrici come Rotovision di Londra (presente tra l’altro all’ultima edizione di Artelibro a Bologna) si sono dedicate all’imballaggio, e la stessa Taschen ha appena pubblicato un bellissimo Package Design Now ! – che va giustamente a collocare il packaging fra i settori creativi strategici, accanto all’interior design, all’arte contemporanea, all’architettura, al cinema, al fashion design. Oggi, come ha detto Benjamin Sabatier, un artista francese emergente, di straordinaria finezza intellettuale, siamo davvero entrati nell’ “età dell’imballaggio”.
Perché questo nome?
E’ un gioco di parole tra “impact” e “pack” – il packaging come oggetto culturale che impatta silenziosamente le nostre esistenze, ma a cui dovremmo fare più caso.
Oggi più che mai sono molteplici le modalità di comunicare, fare approfondimenti, stimolare riflessioni, supportare ricerche e anche fare informazione (sebbene questo non sia il vostro caso). Perchè la scelta del format 'rivista'?
Perché è verissimo che oggi gli strumenti di comunicazione sono soprattutto immateriali – ma il packaging, proprio lui (non a caso, come l’arte e il design), è un diaframma semi-materiale fra contenuto e consumo. Per parlarne perciò occorreva uno strumento altrettanto ibrido quale è la “rivista” – trasformata e aggiornata, con un formato tra l’altro quasi da “fascicolo”.
Cosa manca oggi a tuo avviso nel panorama editoriale delle riviste d'arte contemporanea?
Dopo anni di stagnazione, mi pare che il panorama italiano si sia ripreso. Il fenomeno Exibart, in parte come sito e in parte come free magazine, è stato importante, ma terrei d’occhio anche testate come Espoarte, Arte e Critica, e un nuovo free mag, Padiglione Italia, che mi dicono essere in incubazione.
Forse però manca ancora un magazine radicale e completamente indipendente, fuori dalle logiche di mercato e perciò non ricattabile, che si ponga come autentica alternativa alle riviste che comunicano sì l’arte, senza poter oggettivamente costruirne una critica genuina.
E Impackt colma in parte questa mancanza?
Direi che questa non è il vero scopo della nostra rivista, che invece si colloca come un magazine fortemente trasversale – una trasversalità che in genere è più proclamata che praticata.
Quali sono state a tuo parere le esperienze editoriali che "hanno segnato una svolta" dagli anni 60?
Ci sono state parecchie svolte, bisognerebbe farne una volta o l’altra una storia ragionata. Certo, Flash Art è un caso unico e irripetibile,anche perché, cosa quasi incredibile, esiste ancora oggi, e conserva il suo prestigio.
Ma non dovremmo dimenticare gli esperimenti conclusi che però andrebbero recuperati nel loro valore storico e ideale – per esempio la mitica DATA, oppure Contemporanea, o certi magazines autoprodotti a basso costo e poi semi-sommersi, o la sporadica ma bellissima CROSS – giusto per citare casi italiani; ma come non ricordare la francese Bloc Notes? Ecco, una rivista così, anche se apparsa e scomparsa circa quindici anni fa, ancora oggi sarebbe totalmente attuale.
Quali sono i fattori che possono influenzare l'orientamento di un magazine? O cosa limita in qualche modo la libertà di scelta di una rivista?
Principalmente i limiti sono dati dal budget - nell'epoca del cosiddetto “capitalismo culturale” (Rifkin) questo vale per tutte le merci culturali, dal cinema al libro, dalla mostra al video. E non solo nel senso delle risorse economiche, ma anche nel senso (nel caso soprattutto di una rivista) dell’attenzione speciale dedicata a sponsor e inserzionisti, per conquistare i quali spesso si tenderebbe a rinunciare alla qualità.
Ecco, questo è un compromesso a cui abbiamo deciso di non scendere, e anche se i nostri articoli riguardanti in particolare le aziende potrebbero sembrare sponsorizzati (vedi interviste a Ferrero, Coop, Henkel, Barilla, Tetrapak etc.) in realtà essi sono solo il frutto delle nostre scelte editoriali - completamente indipendenti - mirate a presentare l'azienda che, per quel numero meglio rappresenta il tema prescelto.
Chi è o chi vorresti che fosse il tuo pubblico?
Questo è un tasto dolente… I markettari ti rispondono invariabilmente che prima bisogna individuare il target di pubblico e poi creare il prodotto – ma mi spiace per loro, qualcuno dovrà anche dirgli che hanno torto, altrimenti non so se avremmo avuto la graffetta e l’I-pod – o forse nemmeno le patatine fritte e l’home banking, la posta elettronica, o semplicemente internet – cioè proprio quelle cose grazie alle quali anche loro, poveretti, campano.
In effetti il pubblico te lo devi creare – ma oggi sarebbe bello che anche il pubblico capisse che non è più tempo di fare gli spettatori passivi, che essere pubblico significa avere un peso, che ogni scelta, di cose da comprare, da mangiare o da leggere, è già una presa di posizione e che sarebbe ora di spostarsi trasversalmente nei saperi e nelle culture…
Paradossalmente, oggi, si rischia di imparare più cose sull’arte e sul design da un magazine di psicologia o di edilizia, che da una rivista di settore, dove è quasi sempre percepibile l’odore di chiuso.
Forse quest’epoca settoriale sta per finire – questa parrebbe una rivoluzione assai più grande di quella, più modesta, della concorrenza fra tecnologie comunicative diverse. Il pubblico ideale, il pubblico del futuro – è un pubblico scostante, insondabile, sempre infedele, prima di tutto a se stesso.
Come valutate la partecipazione a Magazines? Cosa ti ha spinto a partecipare? Qual è l'aspetto più interessante di questa collaborazione?
Beh, senz’altro la grande opportunità di poter parlare del proprio lavoro con sincerità, sicuri di stare dentro un contesto dove ci si può permettere una notevole franchezza senza il rischio di venire fraintesi…
Io poi conosco i fondatori di UnDo.Net ben prima che il sito nascesse e diventasse un punto di riferimento della community dell'arte contemporanea... perciò per noi è un grande piacere “viaggiare” con UnDo.Net nella rete, diventare parte di un progetto, farci apprezzare dal mondo-arte e anche far sì che il mondo-arte si apra un po’ al mondo in generale, evitando l’autoreferenzialità che oggi - paradosso nell’epoca della comunicazione iperveloce - caratterizza un po’ tutti...