In questi giorni abbiamo assistito impotenti allo sgombero forzato del centro sociale Conchetta, conosciuto anche come Cox 18, situato nel quartiere Ticinese di Milano. Questo centro ha svolto da sempre un’importante attività di formazione per i giovani - dai concerti agli incontri con personaggi della controcultura e dell’informazione libera – ma anche per la presenza al suo interno di un cospicuo materiale raccolto nella Libreria Calusca e nell’Archivio Primo Moroni. Una figura che ha raccontato la storia della sua città e raccolto le testimonianze del disagio esistenziale prodotto dalla grande trasformazione urbanistica di Milano.
L’archivio è uno strumento fondamentale di ricerca e di studio per capire i movimenti di lotta e controcultura che si sono succeduti dagli anni ’70 ad oggi: dal femminismo ai movimenti operai, dalla resistenza alla critica della scienza.
In questi giorni tantissimi intellettuali, da Alfredo Jaar - che proprio in questi giorni ha concluso la sua mostra a Milano con un convegno dal titolo “Abbiamo dimenticato la cultura? Alla ricerca della cultura in Italia...”- ad altre figure importanti che lavorano ogni giorno a favore di una cultura libera e responsabile, stanno manifestando il proprio sostegno a favore della famiglia di Primo Moroni, che ha svolto un importante e prezioso lavoro di catalogazione durato anni, e ai ragazzi del Cox 18 che hanno tenuto in vita e salvaguardato l’identità del quartiere e della sua storia, crocevia di incontri, esperienze e relazioni che si sono stratificate nel tempo.
UnDo.Net ha affrontato questi temi in un dialogo con Tiziana Villani direttrice di Millepiani, rivista di Ecosofia, Estetica e Politica, nata proprio all’interno del centro sociale. La stessa Tiziana vive nel quartiere Ticinese e qui ha conosciuto personalmente Primo, con il quale ha avuto un intenso rapporto d’amicizia.
Con lei abbiamo parlato delle problematiche e della crisi culturale che ha investito ogni settore della vita intellettuale italiana. Della mancanza di reti solide su cui tessere relazioni, dell’inesorabile predominio dell’io narcisista e plastificato della comunicazione televisiva.
Intervista con Tiziana Villani, direttrice di Millepiani
A cura di Antonella Miggiano
Il centro sociale Conchetta ha ospitato negli anni della sua attività figure importanti della controcultura come Hakim Bey e Bruce Sterling, con cui si è discusso di reti libere, di cyberpunk e di "Utopie pirata" e ha visto nascere anche la rivista Millepiani. E' stato un posto importante per diffusione e lo sviluppo di idee libere e anarchiche, ma soprattutto ha svolto un ruolo di formazione per i giovani. Alfredo Jaar nella sua lettera di sostegno a favore del Cox 18, ha scritto che i centri sociali sono "luoghi di sopravvivenza (...) che hanno un ruolo fondamentale di cui non si fa carico nessun altra istituzione".
Quali sono per te i valori sociali e culturali di questi spazi, che ruolo hanno svolto negli anni della contestazione e della controcultura e cosa rappresentano oggi?
Molto probabilmente la domanda che ci siamo fatti tutti è perché questo sgombero sia avvenuto proprio in questo momento… Tutto questo avviene nell’arco di una decina d’anni piuttosto complicati per la città di Milano, ma direi anche a livello generale in Italia.
Quelle che possiamo considerare isole di un arcipelago ricco e variegato, che hanno prodotto espressioni di pensiero tra le più interessanti per l’Italia recente, negli ultimi anni hanno faticato notevolmente nel salvaguardare i propri spazi, ma anche per quanto riguarda la continuazione dei propri progetti.
Io direi che c’è stato una sorta di sisma, più o meno avvertito, che annunciava una crisi culturale complessiva del nostro Paese, una crisi totale, che lo ha reso incapace di attraversare un momento di trasformazione come quella che sta avvenendo.
La seconda cosa, che essendo a Milano è impossibile evitare di considerare, è l’arrivo dell’Expo. Questo fatto ridefinisce l’assetto urbano della città trasformandola in una sorta di grande ipermercato con delle aree tematiche, spogliandola di una caratteristica che ha sempre avuto, quella di essere stata la città delle avanguardie, che ha sperimentato artisticamente e culturalmente tutte le tendenze di ricerca europee.
Probabilmente i centri sociali sono stati, io credo fino a dieci anni fa, luoghi di sperimentazione, non so quanto di sopravvivenza, ma sicuramente di sperimentazione culturale all’interno di uno scenario culturale dove era ormai impossibile fare cultura in modo non conformista, cioè non narcisistico, non auto-referenziale, non sterile; questi spazi si sono imposti come reali luoghi di confronto.
Nel caso specifico di Conchetta e della Libreria Calusca ha agito la figura di Primo Moroni, che è stato davvero uno sciamano, un intellettuale raffinatissimo, che ha saputo mettere insieme percorsi differenti che hanno dato vita a esperienze diverse: dalla grande storia delle inchieste operaie, alle riviste degli anni ’80 e avanti sul filone della ricerca del post fordismo, fino alla nascita e alla diffusione delle controculture.
Inoltre una cosa importante, e non così ovvia per quel periodo, è il fatto che anche le donne hanno trovato in Conchetta un luogo di espressione che ha dato vita a tante realtà, dai laboratori teatrali a quelli musicali, letterari, ecc.
In più fare filosofia in uno spazio come quello era sicuramente un’esperienza straordinaria dove mettere insieme intelligenze di diversa provenienza.
Tu hai conosciuto personalmente Primo Moroni, ho letto di lui che era una persona con un forte carisma, che amava parlare e confrontarsi con la gente e che aveva una passione per la danza. Che ricordi hai di lui? E qual è l'eredità più importante che ti ha lasciato?
Sicuramente il coniugarsi dell’intelligenza e della curiosità intellettuale a una profondità umana e a un’affettuosità senza pari. Primo è stata una persona di grandissimo carisma, ma assolutamente diretta, non supponente, con una curiosità vera. Il suo percorso di vita inizia con una passione per la danza -era un ballerino bravissimo- e si sviluppa all’interno della sua generazione e dei suoi movimenti con un’intelligenza e una curiosità davvero unica. Una persona in grado di parlare a 360° con tutti.
La cosa incredibile che sapeva fare Primo era mettersi in sintonia con l’altro, capendolo profondamente e creando una relazione. In lui c’era una generosità di fondo che credo sia stato proprio il suo tratto più specifico, costruiva una rete di relazioni infinita, e questo gli ha permesso di far crescere le sue iniziative.
Il suo più grande lascito è stato proprio questo reticolo di filoni di ricerca, molto precisi, austeri e molto ben ancorati, che hanno esplorato i diversi campi del sapere. Tutto questo insieme ad uno straordinario amore per la vita.
E’ stato un uomo grandissimo in tutte le espressioni della potenza di vivere, dall’amicalità - che è forse la cosa più preziosa che porto con me - all’attenzione curiosa e mai preconcetta.
All'interno del centro sociale esiste dagli inizi degli anni '90 l'Archivio Primo Moroni, proprietà della famiglia di Primo che ha voluto la sistemazione proprio nel quartiere Ticinese dove Primo ha vissuto e lottato. Mi vorrei soffermare oltre che sull'importanza dei materiali dell'archivio, anche sulla necessità di mantenere l'archivio in quest’angolo della città che conserva ancora la sua identità.
Questi luoghi storici, stanno un po' scomparendo da Milano - abbiamo visto anche la fine della Casa degli Artisti o della Stecca degli artigiani nel Quartiere Isola - e con essi si cerca anche di demolire la storia che conservano. Quanto sono importanti secondo te per una città questi luoghi?
C’è una specificità nel quartiere Ticinese, io stessa ci abito e non a caso, perché credo che questo quartiere, per quanto sia stato soggetto a delle trasformazioni imponenti e sia diventato negli anni una sorta di grande bistrot, in realtà non è mai stato completamente smobilitato. Al contrario ha mantenuto dei legami umani con i suoi abitanti molto intensi, perchè ha una struttura che ha permesso a questa situazione di mantenersi nel tempo.
Per quanto riguarda in particolare il discorso di Primo è proprio nel quartiere che nasce la prima Libreria Calusca, qui si compiono gli intrecci, gli incontri, spesso al bar Rattazzo, e tutte le vicende che hanno segnato la vita degli anni ’70, percorsi che non sono stati mai totalmente interrotti.
La memoria storica del quartiere è sempre viva, non è un luogo cimiteriale, non si sono targhette alla memoria dei suoi protagonisti, ma è ancora oggi carne viva di questa città. E a questo proposito devo dire che le donne della famiglia Moroni sono state bravissime nell’aver fatto quella dichiarazione dopo lo sgombero, nel voler difendere una radicalità che è soprattutto territoriale.
Spostando l’archivio si perde anche molto in termini di accessibilità, perché quel luogo permette l’accesso libero a chi con cura e con amore ha cercato di catalogare una quantità di materiali infinita, e permette a qualsiasi persona di fare una ricerca immediata nel quartiere stesso.
In più si viene meno anche alla volontà di chi ha realizzato l’archivio. E’ una risorsa che non può essere museificata, perchè diventa una cosa distante, quando invece è memoria, è libro, è carne e carta viva di una memoria così vasta e articolata che deve essere a disposizione di tutti e nella maniera nella quale è nata.
La cancellazione di questi luoghi è una vera crudeltà, perché al di là del luogo in sé, rimanda ad un’idea di esistenza omologata condizionata da logiche consumistiche senza possibilità di replica. Diventa una cancellazione di esistenze, di relazioni possibili, di modalità d'espressione diverse, arrivando ad un appiattimento intenzionale, che viene fatto proprio plastificando tessuti, territori, presenze, incidendo quindi enormemente nel tessuto cittadino.
In effetti a Milano questa situazione è piuttosto evidente… c’è una omologazione dei costumi e del pensiero sui modelli della comunicazione televisiva, che vuole eliminare le tracce della controcultura soffocando ogni tentativo di pensiero libero e accettando sempre più il compromesso della cultura come puro intrattenimento. Come sfuggire a questa situazione di censura? Come resistere ad un sistema che ci intontisce e ci vuole sempre più passivi e influenzabili?
Io mi sento di sottolineare una cosa alla quale tengo molto. In questo momento non riuscirei più a distinguere tra una cultura e una controcultura, semplicemente in questo Paese c’è stato il collasso della cultura, a favore del decoro e delle forme di comunicazione con tutte le loro strategie e i loro strumenti.
La cultura in questo modo viene sparpagliata, smembrata nella sua possibilità di creare reti di sapere. C’è una crisi culturale verticale, in quanto le reti dei saperi si sono disarticolate mentre prevale una logica della comunicazione che è fatta di grandi campagne.
La diffusione della paura e del terrore mediatico, della plastificazione dei corpi, sono strategie raffinate alle quali è difficile sottrarsi, perché hanno una valenza che non è misurabile solo nel fatto che le vite diventano povera cosa, ma soprattutto nel fatto che innescano circuiti d’angoscia infiniti attraverso schemi algidi e frigidi.
Il grosso problema di esperienze come la Stecca degli artigiani o se pensate anche alla vostra stessa esperienza con UnDo.Net è la messa in relazione di intelligenze che si sentono in qualche modo adonizzate. La difficoltà sta proprio nel cercare di valorizzare le capacità di scambio affinché uccidano il vero mostro di questo periodo che è il narcisismo.
Io penso che in un momento di miseria intellettuale come questa, quello che impedisce di rompere questa sorta di cortocircuito sia proprio questo narcisismo che pervade un po’ tutti i settori. Credo che questa auto-referenzialità, questo bisogno costante di auto-posizionarsi e celebrarsi, spenga una generosità che invece c’è in molte intelligenze, in molte persone che hanno la fortuna di conoscersi e confrontarsi.
Questa possibilità deve poter superare il baratro terribile del “marchio”, deve permettere di uscire dalla logica del logo, che contribuisce alla formazione di un io debole, che sbanda alla ricerca di certificazioni.
Per quanto riguarda il discorso della censura, penso che bisogna stare attenti a non pensare a riedizioni di forme di autoritarismo passato, perché queste non tornano mai negli stessi modi. Credo che non ci sia una censura vera e propria, ma la mortificazione attraverso il silenzio di tutta una serie di esperienze, che vengono annullate evitando semplicemente di considerarle.
Quello che sta capitando in questi tempi, che come tu dicevi, è legato ad una strategia di comunicazione, non ha neanche bisogno di una censura tradizionalmente intesa, quello che sta capitando può semplicemente depotenziare o strumentalizzare forme collettive di paura e d’angoscia che poi smantellano un intero sistema di relazioni, di possibilità di aperture e di progettualità.
Dalla dichiarazione del 26 gennaio 2009 dell'Assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory (www.comune.milano.it):
"Sto facendo il possibile per mettermi in contatto con i familiari di Primo Moroni per offrire la possibilità di una conservazione del patrimonio librario (...) Una volta ascoltati i familiari cercheremo di trovare una soluzione affinché l’archivio non vada disperso, ma valorizzato quale patrimonio della nostra storia. Valuteremo anche quali spazi del Comune possono risultare adatti a tale scopo”.
In questo comunicato la presa di posizione di Alfredo Jaar del 29 Gennaio 2009
Contro lo sgombero di Cox 18, Libreria Calusca e Archivio Primo Moroni:
http://www.cox18.noblogs.org
http://www.petitiononline.com/cox18/petition.html
staff@undo.net