Attraversare le contingenze allargando le prospettive

06/07/2010
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Louise Bourgeois. Artista, malgrado tutto


"Mi chiamo Louise Bourgeois. Sono nata il 24 dicembre del 1911 a Parigi. Tutto il mio lavoro degli ultimi cinquant'anni, tutti i miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia." Una donna che ha attraversato quasi tutto il XX secolo: l'emergenza delle artiste/donne dopo gli anni Sessanta, l'arte in relazione al corpo e alla memoria nel secondo dopoguerra. Che ha avuto la prima mostra importante soltanto a 71 anni, che ha rovesciato in nuovi immaginari il dolore, la paura e la solitudine; che ha cercato di trasformare la misura intima e personale della sua vita in una dimensione corale, mettendo a fuoco le logiche di potere, di sopraffazione, di ingiustizia iscritte profondamente nella storia collettiva. "Io non sogno mai, io penso" diceva.



Louise Bourgeois, 1937 ca.




Louise Bourgeois con i tre figli




Cell (Choisy), 1990-1993




Femme Maison, 1945-47




One and Others, 1955




Cumul I, 1969




Distruzione del padre, 1974




Cell 1, 1991




Cell VI, 1991




Red Room, 1994




Cell (Clothes), 1996




Spider, 1997




Seven in bed, 2001




Di Carla Subrizi. Giugno 2010 ( Versione PDF )

L'8 marzo (2010) iniziavo l'ultimo corso di Storia dell'arte contemporanea (1) di quest'anno (terminato alla fine di maggio). Entravo in aula con un mazzo di mimose e lo regalavo (simbolicamente) alle studentesse e agli studenti presenti. Facevo notare che per una strana casualità l'inizio del corso coincideva con la "festa della donna" e che nel corso avremmo parlato di Louise Bourgeois.
Aprivo una pagina dei suoi diari e leggevo "Mi chiamo Louise Bourgeois. Sono nata il 24 dicembre del 1911 a Parigi. Tutto il mio lavoro degli ultimi cinquant'anni, tutti i miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia. La mia infanzia non ha mai perso la sua magia, non ha mai perso il suo mistero e non ha mai perso il suo dramma".
Tuttavia, precisavo, non avremmo usato nessuna facile coincidenza. Avremmo cercato tra le opere, la vita, la storia e i contesti vissuti, proprio i motivi, i pretesti e gli indizi della storia non semplice di una donna che ha attraversato quasi tutto il XX secolo: il femminile, l'arte e l'emergenza delle artiste/donne dopo gli anni Sessanta, i rivolgimenti della scultura dentro e fuori l'oggetto, l'arte in relazione al corpo e alla memoria nel secondo dopoguerra, l'assoluta libertà di una ricerca artistica che si è disinteressata di mode e tendenze non temendo di non farne parte, le figure ricorrenti come sintomo di una storia delle immagini che trasforma il passato in un sempre nuovo presente.

Un'artista che nata in Francia si trasferisce negli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta dopo aver sposato Robert Goldwater, (uno storico dell'arte, esperto di primitivismo) con il quale ha tre figli; che ha avuto la prima mostra importante soltanto nel 1982 (al Museum of Modern Art, a 71 anni); che ha articolato la propria ricerca attraverso opere che difficilmente riescono a trovare un "posto" nella storia più nota dell'arte del XX secolo; che ha sempre combattuto gli stereotipi e le convenzioni, anche dell'arte; che ha reso la sua vita non la semplice fonte per tanti motivi che ricorrono nelle sue opere, ma l'esperienza viva di molte delle questioni riguardanti le donne (artiste, madri, mogli, ecc.); che ha indagato le ragioni del "trauma" sia individuale che collettivo nell'epoca del Secondo dopoguerra; che ha rovesciato in nuovi immaginari il dolore, la paura, la solitudine e la memoria; che ha cercato di trasformare la misura intima e personale della sua vita in una dimensione corale mettendo a fuoco le logiche di potere, di sopraffazione, di ingiustizia (non soltanto autobiografiche ma iscritte profondamente nella storia collettiva) che producono culturalmente sofferenza e conflitti; che ha non soltanto rivoluzionato ma ha aperto la scultura del XX secolo a soluzioni impreviste, oggi ancora attuali: questa artista e tutte le questioni che la sua ricerca ha dunque in tanti anni sollevato e posto all'attenzione della critica e del "fare la storia" dell'arte, sono divenute i passaggi e i temi affrontati da questo corso.
Eravamo vicini, senza saperlo, agli ultimi tre mesi di vita di una donna straordinaria, artista prima di tutto; ora che ci ha lasciato, le sue opere e le sue parole continuano a raccontare le storie intrecciate dell'arte, delle artiste, delle donne, delle insofferenze e della resistenza (a tutte le forme di potere e sopraffazione) ancora in parte da fare.

Tra le molte questioni, (continuamente riproposte attraverso disegni, dipinti, sculture, installazioni e parole) emerge dunque con forza nel lavoro della Bourgeois la relazione con l'infanzia: una infanzia difficile, traumatica. Il padre accoglie nella casa familiare di Choisy-le-Roy, la sua amante Sadie, presentata come l'istruttrice di inglese dei figli. Louise è una bambina, seconda figlia di Josephine e Louis (in realtà terza, ma la prima bambina muore prima della nascita, nel 1905, della sorella più grande Henriette; l'ultimo figlio è Pierre).
La situazione produce una duplice reazione in Louise: da una parte si sente tradita dal padre, dall'altra, dalla stessa Sadie. Queste ragioni, generano, non soltanto una profonda sofferenza ma, e soprattutto, la consapevolezza di ciò che si cela nella famiglia: di ciò, anzi, che viene celato a causa di convenzioni e stereotipi alla base della struttura della famiglia, intesa, dunque, come una delle prime istituzioni sociali all'interno delle quali si forma l'individuo. La vicenda è alla base, per Louise, di una forte critica della famiglia borghese: dell'ipocrisia e della menzogna che nascondono e rimuovono la realtà delle situazioni, i compromessi, le rinunce.
Louise arriverà, nel 1982, a esprimere pubblicamente e con chiarezza questi episodi all'origine di immagini più volte affrontate nel suo lavoro. Le parole arrivano tardi, per diverse ragioni. Louise è oramai una donna grande: la prospettiva dalla quale riguarda e riconsidera il passato ha la distanza che permette di osservare senza il coinvolgimento o le emozioni troppo ravvicinati; ma il passato è anche, più volte, stato affrontato. E' tornato nelle sue opere; si è trasformato, ha lasciato tracce, è diventato immagine, ha sottratto il fatto alla sua data per restituirlo, anacronisticamente, a una storia più ampia, fatta di tracce più che di memoria o di date. Qui sta un primo punto importante, nodale, per affrontare il lavoro di Louise Bourgeois.
Dice Louise, parlando di uno dei suoi ambienti, una delle Cells, che risale al 1990-1993, la Cell (Choisy): "Questa è la casa di Choisy. E' la casa in cui vivevamo; i laboratori per gli arazzi occupavano la seconda ala e c'erano venticinque petites mains che lavoravano sugli arazzi. La famiglia viveva lì e oggi, ovviamente, la casa è stata demolita e per me è diventata il simbolo, come vede qui, del passato di cui il presente si sbarazza. Ogni giorno il presente sfugge al passato.
Questa crudeltà è espressa dalla ghigliottina [...] questo passato deve essere sradicato. Per passare efficacemente attraverso l'esorcismo, per riuscire a liberarmi del passato, io debbo ricostruirlo, rifletterci, farne una statua e poi sbarazzarmene con la scultura. Dopo riesco a dimenticarlo. Ho saldato il mio debito con il passato e me ne sono liberata." (2). Quindi la ghigliottina non si abbatte sulla casa come immagine della famiglia, dell'infanzia, della sofferenza del passato.
La ghigliottina recide il passato: per la Bourgeois, dunque, non c'è un continuo e sterile rinvio a episodi del passato, seppur dolorosi. L'infanzia non è il territorio mitico in cui cercare tutte le origini o radici. Il passato sparisce in ciò che viene dopo, si sottrae alle "date" e rivive continuamente in altri fatti, episodi, nei quali non è più la storia ancorata a un tempo preciso che torna ma la memoria.
La memoria per la Bourgeois è un evento: nasce nell'incontro del passato con il ricordo, nell'attualità della sensazione. Nel presente rivivono in altre forme le sensazioni, non i fatti del passato. La memoria è dunque una forza attiva che collega, mette in relazione e si trasforma in nuovi oggetti, immagini, parole. Così è possibile attraversare molti lavori della Bourgeois trovando in essi non le stesse questioni ma la stessa intensità dell'esperienza da cui sono partiti.

Le femmes-maisons sono dipinti degli anni Quaranta (1942-1947). Tra il 1938 e il 1947, realizza anche molti disegni: sono figure inquietanti che mostrano feti che escono dalla bocca, gravidanze, parti, figure infantili confinate da volti adulti. Del 1947 è anche un ciclo di incisioni dal titolo He disapperead into complete silence: si tratta di forme allungate e geometriche, senza fisionomia, usate come personaggi di storie un po' vere e un po' immaginate. Le donne-casa sono immagini molto importanti: i corpi sono visibili ma non la testa che è sostituita da una casa; a volte dalle finestre escono braccia protese verso l'esterno, dal tetto una ciocca di capelli in realtà i pensieri che lei chiama piuma.
Non c'è conflitto in queste figure: tra interno e esterno, tra abitante e luogo abitato, tra corpo e architettura. Bisogna fuggire dalla casa, varcare i limiti dell'abitare, mettere l'immaginazione in tensione per superare le barriere, i confini psicologici, sociali, culturali. Le case al posto della testa non sono prigioni.
L'analogia tra spazio del pensiero e spazio dell'abitare trasforma su un piano pubblico l'intima consapevolezza di un limite. Il limite c'è: il corpo, quello che già nei primi disegni la Bourgeois indaga, è un corpo fisico: materno, femminile, in gravidanza. Il limite che si apre con il feto trasferito all'esterno di sé, porta fuori una condizione che non è affatto personale.
La nascita, il parto, il corpo gravido sono corpo come difficilmente l'arte aveva fatto. Il corpo, nella storia dell'arte e della cultura occidentale, era stato angelicato, reso Venere o ninfa: dunque non si poteva toccare, restava a distanza, la fisicità era sublimata in una bellezza astratta dal reale.
Ora il corpo (siamo negli anni Quaranta) ha riacquisto non soltanto fisicità ma è inteso come uno spazio con i limiti, i confini, le aperture e chiusure che ogni spazio possiede. Cosa dunque determina quel limite e cosa, (domanda ancora più significativa) occorre per aprirlo e varcarlo? Il limite è culturale, legato alle morali e alle convenzioni che costruiscono le norme del comportamento.
Cosa più della casa, la casa che tutti continuano a pensare (proprio quella dell'infanzia) in ogni età, la cui memoria non cessa di turbare e incutere gli stessi timori, la casa dove si hanno le prime esperienze dell'affetto ma anche delle dinamiche che violano, offendono e contraddicono quegli affetti, fino a trasformarli in ossessive paure, debolezze, dolore, può costituire l'immagine efficace di uno spazio da capire, indagare, interrogare? Il corpo è femme e la casa è lo spazio che argina e chiude, talvolta con gravi danni, la possibilità di relazione: per costruire soggettività (non per definirla) c'è bisogno di andare al di là, di aprirsi all'esterno, di oltrepassare il limite. Questo problema non si esaurisce con queste prime opere.
Se infatti torniamo alle Cells, gli ambienti che Louise costruisce soprattutto dalla metà degli anni Ottanta, troviamo grandi strutture formate da stanze contigue, da passaggi labirintici al termine dei quali si scoprono camere da letto, tavoli con frammenti di corpi, piccoli interni con oggetti disseminati, che aspettano di ritrovare un racconto per collegare i frammenti. Questi ambienti sono delimitati da porte, tavole di legno, vetro ma per lo più da rete metallica; talvolta, come in Spider, la cella è sormontata da un gigantesco ragno (3). Sono spazi chiusi tuttavia trasparenti e, come le case delle femmes, non sono prigioni. Sono "oggetti teorici" 4) dice Mieke Ball.
Quindi c'è una relazione da individuare: tra le prime femmes-maisons e queste celle. Il tema che ricorre è quello del rapporto sensibile o emotivo, tra interno e esterno, tra spazio privato e pubblico, tra intimità e norme sociali, tra la memoria personale e la consapevolezza che in ogni individuale memoria si iscrivono i segni di comportamenti, abitudini, dinamiche, condizioni oggettive, connesse alle epoche, alla storia, ai contesti culturali. "Non è un'immagine che cerco, non è un'idea. E' un'emozione" ha affermato la Bourgeois nel 1992 a Christiane Meyer-Thoss.
L'arte allora "è garanzia di salute mentale", dice la Bourgeois. Non compensa ma produce il lavoro necessario per ricordare, trasformare e consegnare a altri che vogliono ascoltare, condividere, cercare.

Tra le opere degli anni Quaranta e questi ambienti ci sono molti altri lavori. Ma gli anni Cinquanta sono altrettanto significativi di una ricerca costante. I personaggi che scolpisce prima in legno (poi dipinto) e in seguito, in bronzo o marmo, sono strutture che moltiplicano apparenze, identità e tensioni. Dialogano tra loro o, in altri casi, rendono quello che si potrebbe identificare come un segno evidente, ad esempio un organo genitale femminile o maschile, niente altro che un elemento di una serie infinita, che moltiplica il particolare rendendolo ambiguo.
L'ambiguità rimette tutto in discussione: anche il senso, la storia o il messaggio iscritto in ogni frammento o particolare. L'ambiguità non è soltanto visiva: queste opere, e penso a Brother and Sister (già del 1949) a Spiral Women (1951-52) a One and Others (1955) a Cumul 1 (1969), fino a La distruzione del padre (1974) indagano l'identità, le dinamiche di relazione, le soggettività sia esistenti che da costruire. In One and Others la solitudine trova una controparte: gli altri sono l'oggetto di questa scultura.
Più volte si è parlato della libertà del lavoro della Bourgeois, in seguito alla iniziale attenzione per artisti come Brancusi o Giacometti. Ma quello che in questi grandi "sperimentatori" della scultura del XX secolo la Bourgeois non trova (e ciò che cerca) è la disposizione teorica e concreta verso l'oggetto. La fisicità delle cose qualsiasi, le molteplici identità del corpo, la materialità del desiderio e dei sentimenti che modificano ogni formalismo nella direzione dell'eccentricità, come già aveva sottolineato Lucy Lippard nella sua storica mostra del 1966 Eccentric Abstraction, sono ciò che più caratterizza una scultura che usa forme, materiali, frammenti, oggetti senza distinzioni.
Le sculture a grandezza naturale sono "ambientali", come le definisce l'artista, perché trattano la relazione dell'individuo con l'ambiente; ma questa relazione non è semplice. L'erotismo, altro tema ricorrente, è ciò che mette in tensione questi oggetti verso altri oggetti, individui, identità.
Così quando si osserva nei dettagli La distruzione del padre, ci sono diversi elementi che tornano. In una specie di grotta, poco illuminata, una serie di forme organiche (organi genitali, cavità, protuberanze rigonfie), costruiscono un paesaggio inquietante. Al centro, la Bourgeois racconta che è situato il padre, su un tavolo da pranzo, smembrato e ridotto a pezzi, senza più fisionomia. Un rituale cannibalico o una vendetta? Il padre, semplicemente, o l'immagine di molte altre forme di paternità, di potere, patriarcali? In questa opera è affrontata la paura, un altro dei temi che tornano nell'opera della Bourgeois. "La distruzione del padre (1974) riguarda la paura" (5): paura di essere traditi, di essere lasciati, di non farcela, di riprovare dolore, quello che si è già vissuto; qui si radica la riflessione sul trauma. Inoltre, la paura, come il dolore, la solitudine, il ricordo sono elementi immateriali: definiscono un corpo sensibile che entra in relazione lasciando tracce, residui/memorie di azioni compiute.
Con questa immaterialità la Bourgeois attraversa materie invece pesanti, dense come il marmo, il bronzo o il legno. La materia, dice la stessa artista, non è importante per quello che effettivamente è ma per ciò che la attraversa: si traduce una sensazione (la solitudine, la paura, il dolore, la rabbia) in un materiale e una volta che è diventata una scultura è come se si fosse affrontata. Ciò che si ha paura di affrontare la Bourgeois lo trasforma in una scultura, in un oggetto o in una serie di oggetti. L'oggetto non serve a superare la paura ma è la paura con la quale l'artista dialoga per farne esperienza.

Più volte, nei suoi scritti o nelle interviste, troviamo affermazioni che riguardano questi affetti, presenti come personaggi di un mondo vero ma anche immaginario. "Il dolore è il tema di cui mi occupo [...] Non si può negare l'esistenza delle sofferenze. Io non offro né rimandi né scuse. Voglio solo osservarle e parlarne. So che non posso fare nulla per eliminarle o sopprimerle. Non posso farle sparire; sono qui e ci resteranno" (6). Abitano l'inconscio e la coscienza sia individuale che collettiva. L'inconscio si esplora ma con il pensiero: "io non sogno mai, io penso".
Se dunque, come dice l'artista, "l'arte è l'esperienza o la re-esperienza del trauma", in che modo ciò avviene? Come si pone questa esperienza nei confronti dei contesti: culturale, politico, sociale? Cosa ha inteso Louise Bourgeois per trauma: le conseguenze di fatti appartenenti alla propria storia, le relazioni di questa storia con la storia più estesa, la sopravvivenza non soltanto di un fatto ma di una relazione che ha generato e continua a generare forme di sopraffazione, di marginalità, di cancellazione?

Traumatico non è essere stati vittime di qualcosa ma esserne stati testimoni e non riuscire a dirlo. Per questo il rapporto tra arte e trauma, per la Bourgeois, diviene un modo di produrre cortocircuiti, di guardare e dire con l'arte l'indicibile della propria esperienza.
Ma questa esperienza, come si diceva, non è soltanto propria: tante altre donne, figlie, mogli, madri, bambine possono raccontare le stesse storie; il racconto non è del trauma ma della memoria della sua esperienza o "re-esperienza".
Per questo le opere della Bourgeois non raccontano fatti precisi, non si riferiscono direttamente a eventi della sua vita. E' la struttura interna dell'opera che mostra dinamiche affettive: dunque immateriali, senza corpo o, meglio, attive come tracce di gesti, di azioni, di incontri avvenuti. Le dinamiche o tensioni diventano immagini spiraliformi, moltiplicazioni di stessi elementi, frammentazione di corpi, disseminazione di oggetti.
Gli elementi specifici di questo linguaggio attivano tensioni e incontri sempre diversi. Traumatica è allora anche l'esperienza di queste opere. Entrando in una delle Cell, ma anche davanti a un disegno o ad una delle sculture in tessuto più recenti, si ha l'impressione di essere partecipi di un evento, di essere testimoni di qualcosa che non si vede, di aver fatto parte, chissà quando e come, di storie simili.
Ci si interroga e si resta senza parole; tuttavia vengono alla mente immagini, ci si collega a altre vicende personali o appartenenti a un proprio immaginario. Il fatto che ci si trovi davanti o all'interno di frammenti, residui di una storia avvenuta, e, soprattutto, la percezione che non ci sia nessuno oltre a questi resti, ci pone al centro della questione.
L'artista mostra la memoria dei fatti; il corpo fisico e sensibile diventa il nostro. In questo modo, è così possibile dire, la Bourgeois intende la performatività delle sue immagini, dei suoi frammenti visivi. Il corpo come più lo conosciamo all'interno delle performance, azioni di tanta sperimentazione della seconda metà del Novecento, non c'è. C'è invece la traccia del suo passaggio, da una parte, e ciò che benché fisico sembra tuttavia di diversa natura, dall'altra. In che modo sono infatti corpo la memoria, l'assenza, gli affetti, la traccia? In che modo lo sono il dolore, una sensazione o un ricordo? La storia dell'arte (quella che più è stata raccontata e che è al centro di mostre, sistemi dell'arte e del successo), nella lunghissima e articolata ricerca di Louise Bourgeois, stenta a riconoscersi.
Per ogni fase del lavoro di questa artista è possibile cercare i rapporti di contiguità con movimenti o tendenze dell'arte della seconda metà del secolo. Dove trovarli? E' lontana da tutti gli "ismi" della storia dell'arte ma senza negarli. Non le interessano semplicemente.

Diventa femminista negli anni Sessanta, si definisce "esistenzialista", capisce che ha avuto una mostra troppo tardi ma continua. La sua lunga vita le ha permesso anche di restare ai margini e di osservare come in poco tempo tutto può cambiare. Certo non è un caso. Dopo i movimenti di contestazione e il femminismo degli anni Sessanta, con l'emergenza di una critica che si chiede "perché non ci siano state artiste donne" (Linda Nochlin, nel 1971) e che pone la questione delle relazioni tra politica sessuale e stili dell'arte (Lucy Lippard, 1971), con il lavoro di tante artiste che pongono il problema storico e economico della legittimazione del successo, delle forme politiche della identità e della differenza, del corpo, del genere, attraverso lo stesso lavoro della Bourgeois, che, ai margini del riconoscimento, procede con autonomia le vie di una ricerca originale, al di là di quello che accadeva nella scultura maggiormente storicizzata e sostenuta a livello internazionale, dopo tutto questo, il rigido formalismo del modernismo si dissolve in pratiche che devono in gran parte proprio al femminismo, l'apertura e la sperimentazione di altre forme e prospettive di senso del linguaggio.
Primo passo è dunque quello di frammentare il linguaggio, farlo a pezzi. Si presentano sistemi fatti di piccole parti, di elementi discreti sottratti alle strutture onnicomprensive e auto significanti delle unità di (qualsiasi) senso: il tutto, l'intero, le unità sono spezzati. Così, sempre nelle Cells, una bottiglia di profumo, un'ampolla, un vaso da notte, una sedia sono presenze non simboliche, non rimandano a vecchie o nuove iconografie. Parlano della vita di tutti i giorni, ne cercano le componenti più intime, trasformano in una dimensione discretamente pubblica quello che è in realtà privato e personale. Per parlare della vita quotidiana non basta tuttavia riprodurla, prelevarne un particolare, appropriarsi dell'esistente così come è.
Bisogna farla a pezzi, distruggerne le strutture semantiche che dall'interno ne costruiscono il senso. Si capisce allora perché sia sempre stata attuale la ricerca della Bourgeois e importante come sollecitazione o come indicazione di un territorio da sperimentare.
Nancy Spero, Carol Rama, Kiki Smith, Eva Hesse, Mona Hatoum, fino a Bruna Esposito (solo per fare alcuni esempi) hanno anch'esse trattato il linguaggio come territorio archetipico in cui si iscrivono le forme della sopraffazione (Nancy Spero, il Codex Artaud), la donna e la sessualità come provocazione e trasgressioni delle convenzioni e della morale (Carol Rama, le Appassionate dei primi anni Quaranta o Dorina del 1946), le metamorfosi possibili tra animali e umani, i processi di antropomorfizzazione che costruiscono false e illusorie identità (Kiki Smith), l'assenza e il vuoto del proprio corpo, reso straniero a se stessi (lo diceva anche Julia Kristeva, nel titolo di un suo libro del 1988) come ricerca di nuove relazioni con l'altro (Mona Hatoum, Corps etranger, 1994), hanno trattato il corpo a partire da processi di sottrazione per renderlo traccia o impronta (Eva Hesse), l'attesa, l'ambiguità sensoriale e percettiva per affrontare l'identità e le sue molteplici apparenze (Bruna Esposito).
Sempre fuori dal tempo articolato della storia dell'arte Louise Bourgeois è stata l'artista che più si è radicata nei fatti di questa stessa storia. Piuttosto che vederne le forme, ne ha cercato le motivazioni. Alcuni hanno definito la Bourgeois una scultrice degli anni Cinquanta, cercando un suo posizionamento, diremmo oggi errato, nella storia dell'arte (7).
La coscienza del dolore e della solitudine, l'aver parlato di corpo e di erotismo, l'aver cercato di scrivere nella materia i processi intimi più immateriali e trasparenti, l'aver cercato di far incontrare il privato e il pubblico, l'intimo con il fuori, sono tutti segni di un lavoro che non poteva che essere fatto da una donna, da una profonda e tenace consapevolezza di questa condizione, da un'artista mai arresa alle dinamiche più superficiali non dell'arte ma dei suoi sistemi di diffusione e successo.

1) Un corso per la Laurea Magistrale, alla Sapienza Università di Roma, dove insegno.
2) Da una trascrizione di un'intervista con Louise Bourgeois, tratta dal documentario realizzato nel 1993 da Nigel Finch per Arena Films, Londra, e trasmesso dalla BBC2; in trad. it. Louise Bourgeois, Distruzione del padre, ricostruzione del padre. Scritti e interviste, Quodlibet, Macerata 2009, p. 278.
3) Si rimanda a proposito di Spider al bel saggio di Mieke Bal, Louise Bourgeois'Spider. The Architecture of Art-Writing, The University of Chicago Press, Chicago-London 2001.
4) Mieke Bal, Louise Bourgeois'Spider. The Architecture of Art-Writing, cit. p. 10.
5) Louise Bourgeois, Da una conversazione con Donald Kuspit, in Donal Kuspit, Elizabeth Avedion, Louise Bourgeois, Vintage Book, New York 1988, pp. 19-82; trad. it. Louise Bourgeois, Distruzione del padre, ricostruzione del padre. Scritti e interviste, cit., p. 174.
6) Louise Bourgeois, Cells, in catalogo della Carnegie International (19 ottobre - 16 febbraio 1992), Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, a cura di Lynne Cooke e Mark Francis; trad. it. Louise Bourgeois, Distruzione del padre, ricostruzione del padre. Scritti e interviste, cit., p. 224.
7) Rosalind Krauss, Bachelors, MIT Press, Cambridge 1999.



Carla Subrizi insegna Storia dell'arte contemporanea presso l'Università "La Sapienza" di Roma; è direttore artistico della Fondazione Baruchello

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