Attraversare le contingenze allargando le prospettive

07/07/2011
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In Russia oggi

Da una parte pratiche attiviste, proteste, azioni spettacolari; dall'altra censure, persecuzioni, esilio. Anche questo è arte oggi, nella buona e nella cattiva fede.
E di tutto questo fare noi sappiamo grazie a grandi mostre che rispecchiano le istituzioni oppure grazie all'informazione che filtra su internet in modo più o meno strumentale.
Gli scambi culturali tra l'Europa e la Russia si stanno infittendo in questi ultimi anni: la Francia nel 2010, l'Italia e la Spagna nel 2011, la Germania nel 2012, ecc.
Ma cosa si può imparare da luoghi che sono oggi dei laboratori super accelerati di democrazia e allo stesso tempo campi d'azione del liberalismo più sfrenato?

Da questa e da tante altre domande è partito il nostro desiderio di approfondire il discorso sull'arte contemporanea in Russia, cercando di cogliere le occasioni per far parlare figure diverse. Dopo Boris Groys e Oxana Maleeva, presenti alla Biennale di Venezia, abbiamo chiesto il contributo di due giovani curatrici che si stanno occupando di artisti russi delle ultime generazioni: Tatiana Volkova (Mosca) e Francesca Zappia (Parigi). Dalla loro conversazione emergono anche i risvolti di molta storia recente...



Kiss my Ba group, Monstrations, 2006. Photodocumentation. Courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Ivan Brajkin, The Shooter, 2010. Photodocumentation, courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Anna Parkina, The Case is Open II, 2007. Gouache, photocopy and ink on paper, 58x68cm. Courtesy Wilkinson Gallery, London




PG group, Budda, 2009. Multimedia installation, courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Sofia Gavrilova, Moscow, 2010. Photograph, courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Andrey Kuzkin, Levitation Heroes, 2010. Sculptures, bread, salt, courtesy Stella Art Foudnation, Moscow




The Rally of the Disscent, photodocumentation, 2007. Courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Agenda Collective, Manifest, 2010. Object, courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




Dmitry Gutov, The Skeleton Rider, 2010. Metal, welding, 178x174x40cm. Courtesy M&J Guelman Gallery




Dmitry Bulnygin, Trashcan, 2010. Object, courtesy of ZHIR Gallery, Moscow




english version


Francesca Zappia: Ci siamo incontrate a Mosca nel 2009, e mi ricordo che evocavamo la situazione dell’arte in Russia. Ho cominciato ad interessarmi all’arte russa visitando la mostra Sots art che ebbe luogo alla Maison Rouge di Parigi nel 2007. La mostra presentava opere dell’omonimo movimento artistico che, ispirato al Pop Art americano, reagiva al sistema sovietico.
Tutti gli artisti più importanti dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri erano presenti. Ne scrissi una recensione su UnDo.Net (I tabù della censura. Tempi bui per l'arte contemporanea?) , che era anche l’occasione per mettere l’accento sulla censura nell’arte ed in particolare in questa mostra. Sots art era un’esposizione itinerante, presentata alla Tretyakov State Gallery di Mosca prima di arrivare alla Maison Rouge. Le istituzioni governative russe rifiutarono di presentare a Parigi alcune delle opere in mostra a Mosca. All’epoca tu collaboravi con la Tretyakov Gallery e il curatore Andrei Erofeev all’organizzazione di questa mostra....

Tatiana Volkova: Facevo parte del team curatoriale. Prima di tutto, vorrei sottolineare che gli artisti degli anni Settanta non hanno solo preso in prestito le forme del Pop art ma hanno sviluppato un autentico movimento, il Sots-art, che giocava sugli elementi dello stile sovietico e della propaganda per destrutturarli. Sots-art è nato in un periodo di intensa censura da parte del sistema sovietico ed è curioso che anche la mostra fu censurata dal Ministero della Cultura russo e dall’amministrazione della Tretyakov Gallery.

F. Z.: Una situazione simile, di censura, è avvenuta anche l’anno scorso nell’ambito della mostra Contrepoints russes al Louvre, durante l’anno dello scambio culturale tra la Francia e la Russia. La stampa comunicò che una serie di opere di Avdei Ter-Oganian erano state censurate e non potevano lasciare la Russia.
Quel che mi interessa qui, non è solo la semplice censura, ma soprattutto l’immagine che la Russia vuole dare di se stessa all’estero. Nel caso di Sots art, se mi ricordo bene, la censura non avvenne quando la mostra fu presentata a Mosca, ma in un secondo tempo, per la mostra di Parigi. Si attaccò alle opere dei Blue Noses, e il team di Parigi dovette prendere in prestito le opere in Europa.

T. V.: Sì, il Ministero della Cultura si rivelò essere più conservativo dell’amministrazione della Tretyakov Gallery. Il ministro si riferì al gruppo censurato dei Blue Noses come “la vergogna della Russia”. L’intera comunità artistica gli rispose che era lui la vergogna della Russia, mentre i Blue Noses sono artisti molto conosciuti all’estero.

F. Z.: Insieme all’immagine che la Russia vuole dare di sé all’estero, ho il sentimento che l’arte russa abbia una sua propria specificità anche nella maniera in cui è percepita in Europa. Sovente i professionisti europei la reputano troppo esplicita, e rimproverano agli artisti russi la loro schiettezza. Penso invece che questo particolare atteggiamento sia necessariamente connesso con la storia delle arti e della cultura.
Fin dal XVI secolo, la parodia e la tragicommedia sono forme di espressione importantissime per il teatro russo e la letteratura. Recentemente, la scena moscovita degli anni Sessanta ha prodotto – in un contesto di censura sovietica e di sviluppo dell’arte underground – una forma specifica d’arte concettuale, dove la critica politica è connessa ad una riflessione sulla partecipazione pubblica dell'artista e sulla sua interazione sociale. Questo movimento ha definito una protesta fino alla caduta del sistema sovietico, ma continua tuttora.

T. V.: L’arte contemporanea “non ufficiale” è nata in un clima politico che ha determinato il suo orientamento verso la produzione di idee, piuttosto che verso un prodotto estetico. Il concettualismo moscovita ha proclamato la superiorità del contenuto sulla forma, un approccio che rimane inalterato nell’arte russa contemporanea. Tuttavia, dalla fine della perestroika, l’emulazione delle ricerche più formali dell’occidente ha riportato in prima linea un’arte analitica, strutturata ed ermetica nella sua essenza. Oggi, l’ultima generazione di artisti utilizza entrambe gli approcci.

F. Z.: Penso che l’arte russa goda oggi di una nuova stima. Lo si può notare nell’incremento degli scambi culturali tra le nazioni europee e la Russia in questi ultimi anni – la Francia nel 2010, l’Italia e la Spagna nel 2011, la Germania nel 2012, ecc. Ma il rischio di queste iniziative, sviluppate dai Ministeri e dalle Ambasciate, è di trovarsi di fronte ad un’immagine dell’arte non sempre veritiera, ma ad una versione addolcita per evitare fastidiosi incidenti diplomatici. Con alcune eccezioni.
Nella mostra di cui parlavo prima, Contrepoints russes al Louvre, Marie-Laure Bernadac (una curatrice che ha vissuto personalmente l’esperienza della censura nella mostra Présumés innocents, da lei curata al CAPC di Bordeaux nel 2000) ha fatto una selezione forte, decidendo di presentare artisti come Vadim Zhakarov, Yuri Albert, Komar & Melamid, Andrei Monastyrshy / Azioni Collettive, o i più internazionalmente conosciuti Ilya & Emilia Kabakov. Artisti storicamente molto importanti perché rappresentano il concettualismo moscovita.
La mostra presentava anche Avdei Ter-Oganian ed artisti più giovani che si sono formati durante gli anni Novanta e Duemila, dopo la perestroika, che sviluppano un’arte di protesta o più formale ispirata alle avanguardie russe.

T. V.: Penso che fosse una selezione adeguata per presentare le figure chiave e i processi dell’arte russa. Come dicevi, la curatrice ha posto l’accento più che altro sul concettualismo moscovita.
La generazione degli anni Novanta era rappresentata dal gruppo AES+F, Dubossarsky & Vinogradov, Pavel Pepperstein, Avdei Ter-Oganian. Gli artisti di oggi erano solo rappresentati da Diana Machulina e Alexei Kallima, che certamente non sono abbastanza per sottolineare la situazione presente.

F. Z.: Mancavano per esempio gli artisti di Radek Community, che sono stati molto importanti per lo sviluppo della scena russa degli anni Duemila.

T. V.: Sì, un collettivo di artisti che si è formato alla fine degli anni Novanta tra gli studenti di Avdei Ter-Oganian e della sua “Scuola di arte contemporanea”. Ter-Oganian ha sempre coltivato un gusto spiccato per la parodia e la provocazione. Il gruppo ha sviluppato nuove strategie artistiche di intervento nella realtà e di comunicazione sociale.
Anatoliy Osmolovsky è un altro artista importante, che ha influenzato l’ideologia di Radek Community dopo che Ter-Oganian fu costretto all’esilio. Le attività di Radek Community includono mostre, performances, testi teorici, discussioni, edizioni. Hanno anche il loro spazio d’arte, aperto nel 2005. Ma ora molti di loro lavorano da soli.

F. Z.: Parlavi dell’esilio di Ter-Oganian che è sopraggiunto nel 1999, in seguito ad una performance contro la chiesa ortodossa, per cui fu costretto a rifugiarsi a Praga. Durante questa performance, l’artista distrusse a colpi di ascia una serie di icone ortodosse.
Ma l’esilio non è bastato per fermare il suo spirito di denuncia. Lo dimostra lo scandalo avvenuto a qualche giorno dall’inaugurazione della mostra al Louvre, in seguito alla censura della sua serie di quadri intitolata Radical Abstractionism.
Le opere, composizioni astratte d’ispirazione suprematista, cui sono associate delle scritte che distorcono gli articoli del Codice Criminale della Federazione russa, sono una critica aperta al governo russo e alla persona di Putin. In seguito a questa censura, alcuni artisti che partecipavano alla mostra del Louvre, Yuri Albert, Diana Machulina, Vadim Zakharov, e altri, hanno scritto una lettera aperta esigendo la reintegrazione delle opere di Ter-Oganian. In caso contrario avrebbero boicottato la mostra.

T. V.: Secondo me, Radical Abstractionism non è una critica al governo russo, ma un’opera sull’interpretazione sbagliata dell’arte. La lettera aperta era anche un’opportunità per gli artisti di porre l’accento sui processi che chiamano in causa artisti e curatori, e sulla loro inadeguata valutazione ufficiale.
Ad esempio, sul caso dell’artista Oleg Mavromatti, costretto ad esiliarsi in Bulgaria e condannato per crimine, o i curatori Yuri Samodurov e Andrei Eirofeev, giudicati colpevoli e condannati a pagare una pesante multa per avere organizzato una mostra sulle opere censurate dalle istituzioni Russe, Forbidden Art – 2006. Alla fine, le opere di Ter-Oganian furono esposte al Louvre.

F. Z.: Una delle opere più importanti in questa mostra parigina, a mio avviso, era The End. Confession of a Contemporary Artist di Vadim Zhakarov, un’opera emblematica della situazione dell’arte russa. Il concettualismo moscovita sviluppò forme d’arte vicine all’illustrazione e al commento, a discapito dell’oggetto come prodotto artistico.
In tale contesto, l’azione di Zhakarov fu molto importante. Fu lui a creare un vero e proprio archivio del movimento concettuale, e dopo la perestroika, nel 1992, fondò una piccola casa editrice. Pastor Zond Edition rifletteva alla transizione ideologica tra Oriente ed Occidente. La rivista Pastor, pubblicata tra il 1992 e il 2004, era come un forum di discussione e una specie di “casa” per gli artisti che si erano dispersi nel mondo dopo la caduta del sistema sovietico (Zhakarov stesso vive oggi in Germania).
In apparenza, la rivista richiamava la forma degli samizdat, edizioni clandestine di testi di diversa natura, prodotti dalla scena culturale non ufficiale. Nell’opera video The End. Confession of a Contemporary Artist si vede l’artista seduto nella neve, mentre legge una confessione intima riguardante la sfera dell’arte contemporanea, dove non riesce più a trovare il suo posto. “Non sarà mai più possibile risentire il processo di concezione artistica come un evento degno della creazione del mondo”, confessa.
Un pessimismo nei confronti del senso dell’arte che potrebbe essere letto, a mio avviso, come la ricerca di una nuova identità personale e dell’arte. Durante il periodo sovietico e la perestroika, gli artisti reagivano ad una particolare situazione storica. Oggi vivono all’estero, liberi, e non si riconoscono più in una specifica identità culturale, ma cercano, a volte senza successo, di modellarsi una propria identità a partire dalla loro storia personale.

T. V.: Il concettualismo moscovita è sempre stato strettamente connesso alla ricerca sulla creazione e la percezione dell’arte. Penso che sia troppo semplice considerare quest’opera come un vano tentativo d’identificazione culturale alla situazione attuale, sarebbe troppo generico, come se volessimo esaminare l’arte in generale.
Il concettualismo era un movimento ermetico, che si focalizzava sugli interessi estetici dei suoi membri. L’arte dell’“azione diretta”, l’azionismo politico degli anni Novanta e l’attivismo sociale del Duemila, si è maggiormente orientata sui diversi aspetti della società e quindi dell’identità culturale. Sembra che l’attivismo sociale diventi oggi una tendenza preminente dell’arte internazionale, la Biennale di Berlino del 2012, per esempio, curata da Artur Żmijewski è integralmente dedicata a questo tema.

F. Z.: Per restare sul tema dell’identità, mi sembra che questa questione sorga in modo rilevante dalla mostra Modernikon, presentata alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (in corso fino al 25 settembre presso la Casa dei Tre Oci di Venezia). I curatori, Francesco Bonami e Irene Calderoni, hanne selezionato principalmente giovani artisti.
Nel suo testo in catalogo, Francesco Bonami si riferisce ad una conversazione con Joseph Backstein – curatore russo e commissario della Biennale di Mosca – a proposito dei russi, che, “pur avendo un aspetto occidentale, in realtà tali non sono”. Quando venni a Mosca per la prima volta, ebbi un sentimento strano: l’impressione di qualcosa di familiare, ma al tempo stesso non totalmente noto.
Questo divario mi impressionò molto: l’architettura della città mi raccontava la duplice storia dell’Europa e del Medio Oriente, ma non erano davvero né l’una né l’altra, bensì un’atmosfera ancora diversa. L’esperienza era straniante. Per tornare alla mostra di Torino, il suo scopo era di presentare opere in cui la questione dell’identità culturale della Russia è primordiale.
Gli artisti selezionati hanno in comune una ricerca ispirata alle forme e espressioni delle avanguardie russe, che Irene Calderoni chiama “Archeologia dell’avanguardia”. Questa ricerca, in un certo modo un po’ nostalgica, si collega strettamente all’espressione dei giovani artisti occidentali, ma con una minima differenza dovuta alla diversa storia culturale. E’ anche interessante vedere come artisti che provengono dall’azionismo russo degli anni Novanta, si rivolgano oggi ad un lavoro più formale, tra modernismo e influenza concettuale. L’esempio più importante è quello di Anatoly Osmolovsky. Penso che sia anche il caso di Zakharov, di cui parlavamo prima.

T. V.: E’ cosa comune che gli artisti radicali nel loro primo periodo diventino più formali in un secondo tempo. Un artista non può giocare al cane che morde per tutta la vita, prima o poi il periodo radicale lascia spazio alle eterne questioni filosofiche sulla natura dell’arte.

F. Z.: L’“Archeologia dell’avanguardia” implica un lavoro solitario e individuale. Al tempo stesso, nato dall’azionismo, sta nascendo tra i giovani un altro movimento artistico, meno conosciuto in Occidente. Questo movimento si riappropria delle strategie dell’azionismo moscovita: performances di strada e manifestazioni organizzate da collettivi di artisti. Tu sostieni questo movimento e lavori con questi artisti.

T. V.: Molte persone pensano che oggi l’arte attivista sia solo lo sviluppo dell’azionismo politico degli anni Novanta. Penso che, come hai detto giustamente tu, ci siano molte cose in comune, ma c’è anche un’enorme differenza. L’arte russa sta subendo un grande cambiamento. Gli artisti escono dai loro ateliers, dai musei e dalle gallerie, per intervenire direttamente nello spazio pubblico e nei networks sociali.
Prendono parte a diverse forme di attivismo sociale con azioni politiche o ecologiche, lavorando in comunità.
Questi artisti si rivendicano attivisti, rifiutano di lavorare con le istituzioni, cercando forme personali di esistenza artistica, cooperando con le subculture ed i movimenti sociali. Una nuova dinamica d’azione che li distingue dagli artisti di ieri. Gli artisti attivisti impiegano diverse tattiche della cultura dominante, usano gli spazi pubblici per dare vita a messaggi personali che trasformano lo spazio pubblico in spazio privato....
Alcuni attivisti lavorano sui codici e sulle pratiche etiche ecologicamente responsabili e su criteri di sostenibilità. Esistono diverse pratiche attiviste. Alcuni artisti sono contrari a strategie di protesta rivoluzionaria e apocalittica. Il loro pensiero nasce dal principio anarchico-utopico dell’“azione diretta” proclamata nel 1960 per sostituire l'attuale sistema burocratico con la libera espressione degli individui e dei gruppi creativi.

Possono avvenire cambiamenti attraverso la battaglia oppure ignorando il sistema? È possibile influenzare il processo messo in atto per trovare un equilibrio sociale tra i valori commerciali e politici e gli altri interessi umani?
Sono le domande chiave che l'arte attivista deve affrontare oggi.



Da vedere anche:

Parla Boris Groys. Come l'arte contemporanea interseca la politica in Russia? Puoi individuare un cambiamento nell'ultimo decennio? Risponde il curatore del Padiglione Russo alla 54ma Biennale di Venezia (19 giugno)

Conversazione con Oxana Maleeva, curatrice della mostra "I miss my enemies", evento collaterale alla 54ma Biennale di Venezia (29 giugno)



Tatiana Volkova ha ottenuto un Master in Management Culturale all’Accademia Nazionale di Economia di Mosca (1995-2000); residente al Jubilee Fellowship CEC Artslink, International Studios & Curatorial Program, New York (2004). Ha preso parte come curator all'organizzazione di mostre al Tsaritsino Museum, alla State Tretyakov Gallery, alla Reflex Gallery, alla Zhir Gallery e al Garage, Mosca. Tatiana ha curato "Russian artists living in New York", New York, ISCP (2004); numerose personali di giovani artisti russi alla Reflex Gallery (2004 - 2009); "This is the End" evento della 3a Biennale di Arte Contemporanea di Mosca (2009), Russian Utopias (insieme a Ulia Aksenova) al Garage CCC (2010), e le mostre alla Zhir gallery (2009-2010). Nel 2009 ha co-fondato (insieme a Vladimir Ovcharenko) ed è co-direttrice della galleria ZHIR, organizzazione non-profit a Mosca. Ha anche collaborato alla redazioni di numerosi cataloghi.

Francesca Zappia si è laureata in Storia delle Arti Visive e Conservazione dei Beni Artistici all’università Ca’ Foscari di Venezia (1999-2004) e ha poi seguito un Master sulle pratiche curatoriali alla Sorbona di Parigi (2008). Come assistente curatore ha collaborato con Caroline Bourgeois al Plateau/ Frac Ile-de-France, Paris sulle mostre "Cao Fei" e "L’Argent" (2008) e alla François Pinault Foundation, sulle mostre "Un Certain Etat du Monde?", al Garage CCC di Mosca e "Qui a peur des artistes?", a Dinard (2009). Ha anche collaborato alla redazione dei cataloghi. Francesca ha co-curato la mostra di Didier Marcel e Loic Raguénès "Aperçu avant impressions" (Betonsalon, Parigi, 2008) e curato la prima mostra personale di Indira Tatiana Cruz, "Corps à Corps" (JTM Gallery, Paris, 2009).