A cura di Katia Baraldi
Un convegno che può diventare occasione di riflessione sui metodi di lavoro dell'arte partecipativa, una delle pratiche che maggiormente agisce nell'agone sociale.
Ecco qui un report con alcune suggestioni insieme alle interviste a Giorgina Bertolino e Alessandra Pioselli, presenti tra i relatori.
Il convegno "Quando un posto diventa un luogo", ha rappresentato una delle fasi preparatorie del progetto Casanova che ha l'obiettivo di creare un parco d'artista nell'omonimo quartiere periferico di Bolzano.
I relatori Anna Detheridge, Giorgina Bertolino e Luisa Perlo, Alessandra Pioselli, Ilaria Riccioni, Giuseppe Donato, Dino Ferruzzi, Julia Draganovic e Claudia Löffelholz, Federico Montanari, Sergio Camin hanno offerto una lettura interdisciplinare che ha spaziato dalla storia dell'arte, alla semiotica, alle diverse metodologie dell'arte partecipativa, fino ad analizzare i casi particolari della comunità e del territorio di Bolzano.
Ne sono scaturite diverse e interessanti riflessioni sia sul concetto di cultura come bene pubblico immateriale da difendere, centro di molti dibattiti in questo periodo, sia sul forte legame tra l'arte pubblica e la necessità di "rifondare il welfare", quindi di ripensare quelli che sono gli strumenti della democrazia.
Nel discorso di introduzione ai lavori Annalisa Cattani, curatrice del progetto Casanova, ha illustrato come l'arte nel suo agire nel sociale "diventi un vero e proprio strumento conoscitivo che offre metodi innovativi nel trattare le problematiche legate al vivere comunitario", riflessione che possiamo rintracciare anche negli interventi degli altri relatori.
Di metodologia e di cittadinanza attiva si è parlato con l'intervento del team curatoriale a.titolo di Torino, qui rappresentate da Giorgina Bertolino e Luisa Perlo. Diviso in due sezioni, la prima parte curata da Bertolino, ha introdotto la storia e la formazione del collettivo nato nel 1997 con un forte legame concettuale al situazionismo, fino ad arrivare nel 2001 all'utilizzo del protocollo dei Nuovi Committenti dove i curatori si fanno mediatori culturali tra le necessità delle comunità e gli artisti che materialmente progettano e realizzano le opere come esito di un percorso condiviso.
Il presupposto teorico per le a.titolo è di porre rilievo ai percorsi decisionali condivisi, con una metodologia di creazione attraverso il discorso. L'intento è di attivare una cittadinanza culturale attiva che si contrapponga a una deresponsabilizzazione nei confronti dei luoghi da parte dei cittadini che delegano ai propri rappresentanti istituzionali la cura della città. Nel loro lavoro vogliono ribadire il diritto alla città dei cittadini, interpretandola come un'opera unica di cui i cittadini sono chiamati alla costruzione, quindi l'arte come mediatrice per la creazione di una nuova cittadinanza.
L'intervento di Alessandra Pioselli si ricollega a questa visione del ruolo di mediazione dell'arte presentando una breve panoramica sulla storia dell'arte pubblica in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta. La storica ha rilevato una continuità tra i primi esperimenti e le pratiche d'arte partecipativa odierne. Ha portato ad esempio i progetti dell'architetto Dalisi a Napoli e l'apporto teorico del critico Crispolti, illustrando come a partire da questo periodo si delinei la ricerca "di una cittadinanza alternativa, di canali diversi da quelli tradizionali della comunicazione elitaria artistica e in questa utenza alternativa per sollecitare una risposta di base e sviluppare modelli di cittadinanza partecipativa, di democrazia diretta dentro l'orizzonte del decentramento", ricerca tuttora in corso.
Un altro esempio di intervento sul territorio è quello raccontato da Dino Ferruzzi con il CRAC-Centro di Ricerca dell'Arte Contemporanea di Cremona, primo esempio in Italia di spazio d'arte che svolge i suoi lavori all'interno di una scuola secondaria superiore, il Liceo Artistico Bruno Munari, come parte integrante delle attività didattiche della scuola. Il progetto, che già per la sua peculiare natura è declinabile come progetto di arte pubblica in progress, ha articolato nel tempo diversi interventi diretti alla città, tra cui il bando "Face off" dedicato ai giovani e alle trasformazioni del territorio cremonese.
Anna Detheridge, presidente di Connecting Culture, ha illustrato l'esperienza fatta con il progetto di "Milano e Oltre" sulle periferie milanesi e sulla creatività giovanile, tuttora in corso. Ha inoltre sottolineato la necessità di ricordare nelle fasi progettuali che la percezione dei luoghi è suscettibile di profondi mutamenti nel corso del medio e lungo periodo.
A suo parere la particolarità del suo progetto è stata la scelta di agire in cooperazione con le associazioni presenti nei quartieri.
Un esperimento diverso è quello del Premio Internazionale di Arte Partecipativa promosso dall'Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna: a parlarne sono le curatrici del Premio Julia Draganovic e Claudia Loeffelhoz. Il premio si inserisce nella politica regionale di promozione della cittadinanza attiva; la prima edizione è stata vinta da Pablo Helguera, artista che lavora a New York ed è responsabile del Dipartimento educativo per adulti del MoMA. Il progetto si è svolto tra giugno e ottobre 2011 ha visto coinvolte venti persone, scelte tra operatori culturali, artisti e curatori impegnati dapprima in una scuola di giornalismo d'arte e successivamente nella realizzazione di una piattaforma radiofonica sperimentale con una postazione in Piazza Puntoni a Bologna.
Dopo che con i precedenti interventi si è parlato di partecipazione e condivisione, il semiologo Federico Montanari ha spostato la visione sul tema del conflitto. Montanari rileva che è stato steso un velo sulle tensioni e propone di riprendere l'analisi e le mappature delle azioni di interferenza, spostando l'attenzione sul conflitto con uno slittamento dello sguardo, ricco di suggestioni e stimoli.
Conclude i lavori Sergio Camin, artista e grafico, che si occupa della comunicazione del progetto "Casanova". Camin ha spiegato le varie fasi progettuali del bando, tra cui l'apertura di un dialogo con gli abitanti del quartiere Casanova, con l'intento di stimolare la loro attenzione sul progetto. Un'attenzione che si svilupperà in uno scambio dialettico tra gli abitanti del quartiere e i vincitori del concorso, che dovranno bilanciare la loro proposta ideativa iniziale con le esigenze dei futuri fruitori del parco.
Al termine del convegno è stato annunciato il progetto vincitore del concorso Casanova: "Walther.2", di Alessandro Gatti, Alexandre Wihally, Peter Senoner, Valeria Saggio.
L’idea che sta alla base della loro proposta è la “ripetizione differente” della statua di Walther von der Vogelweide, che è posta nella piazza principale di Bolzano. Ecco la loro
proposta progettuale, che è stata scelta come progetto vincitore da una commissione composta da Marion Piffer Damiani, Marco Scotini, Emanuela De Cecco, Roberto Pinto, Alexandra Pan.
Progetto Casanova è organizzato dalla Provincia Autonoma di Bolzano in collaborazione con L'IPES (Istituto per L'Edilizia Sociale della Provincia Autonoma) e curato dall'artista Annalisa Cattani.
Intervista a
Giorgina Bertolino del gruppo curatoriale a.titolo, tra i relatori del Convegno
Katia Baraldi: Nel tuo intervento hai parlato della nascita di a.titolo e del legame con il progetto Nuovi Committenti. Vorrei concentrarmi su questo ultimo punto e chiederti come vi siete avvicinate a questo protocollo che si sta diffondendo molto all'estero ma è poco noto in Italia...
Giorgina Bertolino: Ci siamo avvicinate ai Nuovi Committenti attraverso Bartolomeo Pietromarchi, allora direttore artistico della Fondazione Olivetti, che conosceva i nostri primi interventi nello spazio pubblico e ci ha proposto di diventare mediatrici culturali per l'area nord ovest dell'Italia, quindi Piemonte e Valle D'Aosta.
Da lì siamo entrate in contatto con la Fondazione France e abbiamo conosciuto François Hers, ideatore del programma, e diversi mediatori culturali tra cui Xavier Douroux, dopo un confronto serrato siamo diventate mediatrici culturali per il protocollo dei Nuovi Committenti. Nel corso del tempo abbiamo sviluppato un forte rapporto con la Fondazione France e con gli altri mediatori culturali europei, con cui ci confrontiamo periodicamente.
In Italia ci sono state altre attivazioni, la nostra è la prima con il progetto "Mirafiori Nord" che ha previsto quattro opere di arte pubblica, realizzate all'interno di "Urban 2" programma di rigenerazione urbana della Comunità Europea.
Altri programmi Nuovi Committenti sono stati realizzati in Abruzzo e in parte anche a Milano. Molto spesso il programma richiede un lungo periodo di realizzazione e incontra anche delle difficoltà; noi stesse abbiamo affrontato interventi che non si sono conclusi nella loro interezza. E' un metodo, come nel caso di Mirafiori Nord, che richiede una dimensione economica di un certo rilievo.
La metodologia dei Nuovi Committenti non è la nostra esclusiva forma di intervento nello spazio pubblico, ma sicuramente un principio di orientamento molto forte per noi. Nell'intervento di Luisa Perlo, altra curatrice di a.titolo, è stato illustrato il progetto di "Situa.To" che utilizza un modello diverso, nato come forma di ricognizione e interpretazione di porzioni della città attraverso la figura del giovane traceurs, quello che apre la via del Parkour.
La stessa Fondazione France è molto interessata a questo cambiamento delle forme per arrivare all'espressione della committenza. Inoltre in questo periodo, in qualità di direttrici artistiche del CESAC al Filatoio di Caraglio e proprio perché la nostra idea di spazio pubblico è molto elastica, abbiamo pensato che il museo è uno spazio pubblico e che una mostra può essere tra virgolette "uno spazio o un testo pubblico".
Spinte da questa riflessione abbiamo attivato un tavolo con persone di diverse generazioni, generi e professionalità del territorio attorno a Caraglio, e queste ci stanno commissionando, da un anno a questa parte, il tema di una mostra. Lo stesso principio del protocollo dell'arte nello spazio pubblico diventa così una metodologia per pensare alla mostra come uno spazio di riflessione e di visione utile per la comunità.
K.B.: Questa vostra sperimentazione mi porta a pensare alla funzione del museo civico, al museo della città; con questa vostra mostra restituirete il museo ai cittadini, in un periodo in cui si riscontra un certo disinteresse dei cittadini nei confronti di queste istituzioni.
G.B.: il CESAC- Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee di Caraglio nasce per volere di un'associazione e naturalmente è del comune di Caraglio. Non è formalmente un museo civico, però può svolgere delle funzioni affini. La questione è proprio di non fare dello spazio pubblico tout court, quindi solo di una piazza, l'unico luogo possibile dove attivare forme di riflessione che utilizzino l'arte contemporanea e le interpretazioni degli artisti per pensare al presente e immaginare dei futuri.
Aggiungo una nota proprio sull'immaginare il futuro, una pratica, come spiegavo nel convegno, che parte dalle immagini del vuoto per prefigurare quello che si può aggiungere al vuoto.
Ti porto due esempi tratti dall'esperienza di Mirafiori, dove abbiamo avuto due committenze di minorenni, un gruppo di liceali e un gruppo di abitanti di case popolari che pensavano al loro cortile e al loro spazio di gioco e avevano un'età compresa tra gli 8 e i 14 anni. Questo è un tema molto importante di cittadinanza culturale, è un modo di interpretare la cittadinanza attiva e democratica che non rimanda ai famosi cittadini del futuro la capacità di prendere delle decisioni sui propri spazi comuni e di esprimere delle necessità che vanno al di là dei consumi, ma li porta invece a potersi occupare responsabilmente anche loro della immaginazione e della gestione dello spazio pubblico.
Ritengo che questo sia un tema importante soprattutto in un periodo in cui c'è insistenza sui giovani, sull'intergenerazionalità. Ascoltare e decidere di seguire questo tipo di committenza - che di solito dura anni e quindi si cresce con questi ragazzi - significa avere un orientamento sul futuro.
Se ci pensi loro non hanno diritto al voto, non hanno parte nella decisione formale democratica rappresentativa, questo dice la costituzione, sebbene in questo periodo il limite di ingresso alla maggiore età sia stato messo in discussione in favore di un abbassamento. Il nostro è stato anche il tentativo di proiettare la forma della città non in un futuro astratto ma in un presente reale.
Intervista ad Alessandra Pioselli, storica dell'arte e critica, tra i relatori del convegno
Katia Baraldi: Nel tuo intervento sei partita da una breve panoramica storica rispetto a quello che è stata l'arte pubblica e l'arte partecipativa degli anni '70 e tra i vari esempi hai raccontato l'esperienza di un architetto di Napoli. Questo progetto era originale per l'epoca da parte di un architetto?
Anche oggi la relazione tra artista e architetto può essere un elemento fondamentale nella progettualità: ne parlava anche l'architetto Donato, che ha collaborato alla costruzione delle unità abitative del quartiere Casanova, rammaricandosi di non avere iniziato da subito un percorso di creazione insieme agli artisti.
Alessandra Pioselli: L'architetto-designer a cui facevo riferimento è ben noto trattandosi di Riccardo Dalisi che dagli anni '80 si è dedicato prevalentemente al design ma sempre partendo dallo studio della cultura popolare e napoletana in particolare. Non è assolutamente curioso o eccezionale che un architetto si occupi di partecipazione. Bisogna pensare a tutta la sperimentazione dell'architettura partecipata che ha attraversato l'Italia degli anni '70 e che ha visto anche in Giancarlo De Carlo uno dei più noti e riconosciuti esponenti. L'esperienza a cui facevo riferimento, è quella che Dalisi sviluppò nel rione Traiano di Napoli tra il 1971 e il 1976. Operazione documentata da uno splendido libro che è "Architettura ed animazione" pubblicato nel 1975 in forma di diario e illustrando il lavoro con i ragazzini, gli scugnizzi del rione.
Al tempo il Traiano era composto da caseggiati popolari cresciuti disordinatamente negli anni '60, era soggetto a speculazioni edilizie, privo di infrastrutture, abitato anche da quello che si può definire un sottoproletariato urbano. Parte dei ragazzini con cui lavorava Dalisi non andava a scuola e viveva in condizioni sociali disagiate.
Dalisi portò sul campo il sapere progettuale dell'architettura con la finalità di sviluppare il potenziale di creatività dei ragazzi, di sollecitare la loro capacità immaginativa rispetto allo spazio e al costruire il proprio spazio.
E' interessante quello che dice Dalisi in un'intervista successiva, in cui parla di penetrazione del quartiere non attraverso l'ideologia sociale o politica, che rimane comunque sotto traccia, ma attraverso la fantasia.
Questa parola chiave è stata utilizzata nel rapporto con i bambini, Dalisi dice anche che l'animazione è stata una conseguenza di questo discorso e non un presupposto metodologico;quindi in realtà il metodo è stato inventato nella pratica quotidiana.
Del resto tutte le pratiche partecipative hanno bisogno di una relazione precisa con gli aspetti contingenti e contestuali, al di là di alcune metodologie che forse sono strumenti da adottare ma che poi devono essere rinegoziate.
K.B.: A questo proposito ricordo un discorso fatto di recente con l'artista Emilio Fantin: lui sosteneva che bisogna fare attenzione perché l'artista non venga troppo influenzato dall'aspetto sociologico e quindi mantenere l'immaginazione, l'immaginifico, come portato dell'artista. Aggiungo io che forse è necessaria anche una certa inconsapevolezza di quello che si sta affrontando quando si lavora su un determinato territorio...
A.P.: Sì certamente la sociologia può offrire degli strumenti che l'artista può adottare ma non con le stesse finalità e obiettivi di questa disciplina, così come può adottare strumenti pertinenti ad altre pratiche anche l'architettura partecipata. La camminata nei quartieri, ad esempio, è una pratica che viene spesso sperimentata in questo ambito e non certo da oggi...
K.B.: Quindi secondo te è corretto che la pratica artistica partecipativa segua un lavoro in parallelo e in sinergia con il lavoro delle altre figure in gioco ( l'architetto, il sociologo, etc. ), soprattutto nel caso in cui ci si occupi di un progetto di ristrutturazione di un quartiere?
A.P.: E' interessante che gli artisti possano lavorare fin dal principio con gli architetti e quindi l'opera e il processo non si cali in un percorso già strutturato, ma che si leghi strettamente al progetto architettonico, anzi che nasca con questo: sono queste le sperimentazioni più interessanti.
In caso contrario l'artista sembra essere chiamato alla fine per aggiungere qualcosa che però rischia di non essere più connesso ai contenuti e a i principi che hanno mosso lo sviluppo della dimensione urbanistico-architettonica. Però non ci sono tantissimi esempi in Italia di progettazione congiunta.
Penso sia necessaria un'amministrazione molto illuminata e predisposta a dialogare sin da subito con la parte artistica. Bolzano ci sta provando, ci riuscirà?
Katia Baraldi
Maggiori informazioni sul progetto
Casanova a Bolzano
Katia Baraldi è curatrice d'arte indipendente dal 2007, con una formazione
storico-sociale. Il suo lavoro indaga in particolare le relazioni esistenti tra le
pratiche artistiche e le dinamiche di sviluppo e trasformazione della società
occidentale.
Tra gli eventi curati: "Transition. A private matter", Roaming, Praga;
"Front of Art. Esperienze di arte pubblica. Il paesaggio e la comunità"
, Nervesa della Battaglia (TV), il progetto
collettivo "Flaktowers", per il progetto d'artista Bateaurouge, di Alejandra Ballon,
Usine Kluger, Ginevra / Vienna.