Intervista a cura di Annalisa Cattani
Annalisa Cattani: Ti chiederei un bilancio rispetto all'avvio di questa grande mostra...
Massimiliano Gioni: Credo sia ancora presto per fare un bilancio perché la mostra è aperta da nemmeno un mese ed è soprattutto in autunno che gli studenti di scuole e università vengono a visitarla.
Mi sembra comunque che stia andando bene e che sia stata ricevuta con entusiasmo creando accesi dibattiti su diversi temi. In particolare sul dialogo tra artisti professionisti e dilettanti.
A.C.: In effetti tutti negano l'esistenza della figura del poeta vate ormai da un secolo e mezzo. Tutti dicono che l'artista non è un illuminato, che la funzione artistica va oltre. Però appena si toglie un po' di aura all'arte si accendono le discussioni.
All'interno del percorso espositivo che cosa produce la concertazione tra artisti low e high profile?
M.G.: Vale la pena ricordare due caratteristiche fondamentali di questa Biennale...
La prima è che la mostra include opere d'arte realizzate dal XX secolo ad oggi, quindi ha un aspetto trans-generazionale e trans-storico.
La seconda è la proposta, accanto ad artisti professionisti, di molti artisti dilettanti, quelli che un tempo si chiamavano naif e ora sono definiti "outsider artists” soprattutto in ambito anglosassone.
C'è quindi una sorta di provocazione, una domanda tra le righe: “chi è l'artista e chi ha diritto di essere definito tale?” E questo va oltre alla definizione attuale di artista come professionista.
Alcuni esempi: il libro illustrato da Carl Gustav Jung (un celebre dilettante) e i disegni di Rudolph Steiner, arrivando a figure completamente marginali o marginalizzate come Arthur Bispo do Rosário che sta da tutta la vita in un ospedale psichiatrico.
La ragione di questa inclusione di figure eccentriche è duplice.
Da una parte togliere l'arte dal piedistallo, non per dissacrarla, ma perché spesso quel piedistallo è quello del mercato. Quando la metti in dialogo con altre forme di creatività l'arte torna ad essere viva.
Questo processo rinnova il potere di affabulazione e fascinazione delle opere d'arte, che diventano racconti di vissuto esistenziale e visioni del mondo.
Dall'altra parte questa è una mostra di allucinazioni e di modi di comprendere il mondo.
Mi sembrava importante mostrare che il modo di vedere il mondo di Bruce Nauman è tanto legittimo quanto quello di un illustre sconosciuto guidato da una passione che, a volte, diventa quasi ossessione e che gli fa realizzare delle opere che ci insegnano a guardare in maniera diversa.
A.C.: Questa concertazione reinserisce la funzione artistica come funzione socratica e non come funzione totemica, perché effettivamente la fascinazione dell'opera è data dalla partecipazione molteplice in qualche modo...
M.G.: Mi interessava l'idea di guardare e capire il mondo attraverso le immagini.
Ci si può domandare cosa succede in un mondo come il nostro, in cui ci sono tantissime immagini sempre più artificiali e commerciali, e qual è il ruolo di queste immagini per gli artisti e per tutti noi.
La questione non può essere lasciata solo all'arte come intrattenimento visivo, ma deve tornare all'arte come conoscenza di sé stessi e del mondo.
A.C.: Ti propongo una domanda che traggo da una critica fatta alla tua mostra. E' di Marco Senaldi, il quale afferma che si fa fatica a pensare al Palazzo Enciclopedico come a una cosa fragile, in realtà a lui sembra un display costruito a regola d'arte, forse un po' troppo teca e anche un po' troppo bello...
M.G.: A questa critica rispondo in tre punti:
E' sempre piacevole essere criticati perché una mostra è troppo bella. Mi farebbe piacere che questa fosse sempre l'unica cosa che si trovasse da dire...
Mi fa un po' specie che una critica moralista venga da Marco Senaldi. Proprio lui, che ha iniziato la sua carriera di critico sposando arte contemporanea e televisione, dovrebbe avere un atteggiamento molto più aperto rispetto alla complessità della cultura.
Nella sua recensione si domanda come si faccia ad apprezzare questa mostra in un momento di crisi economica, il che mi sembra un'argomentazione abbastanza manichea e dozzinale.
La mostra è un grande dispiego di mezzi, ma ci tengo a precisare che in tanti casi ho dovuto raccoglierli con il mio lavoro, mettendoci del mio.
Anche in un momento di crisi è importante realizzare un buon lavoro con poche risorse, piuttosto che fare un lavoraccio e lamentarsene.
Le sue sono critiche extra artistiche ma la mostra va giudicata per quello che è. Io volevo fare una grande mostra, precisa, interessante, ricca di spunti.
Se a Marco Senaldi interessa il budget può stare tranquillo: due terzi sono dovuti alla grande generosità di alcuni individui. Non si tratta di un dispendio di soldi e non è uno yacht parcheggiato in laguna.
E' una mostra da cui spero che la gente possa apprendere, capire e arricchire propria la sintassi visiva. Ne sono orgoglioso.
A.C.: In un momento di crisi non bisognerebbe smettere di fare cultura, ma fare della cultura il motore trainante, soprattutto in una nazione che possiede il 75% dei beni protetti dall'Unesco. La cultura si fa ricreando desiderio e non piangendosi addosso...
M.G.: Tutte le persone che hanno partecipato economicamente alla mostra lo hanno fatto perché credevano in una mostra che parla ad un pubblico molto ampio.
Per ogni artista c'è una spiegazione e una descrizione. Solo questo è un lavoro immenso che non sempre si fa...
A.C.: Il percorso della Biennale va dalle forme naturali a quelle artificiali, proprio come le wunderkammer del 500 e 600 dove la curiosità e la meraviglia si mescolavano a sapere e iniziazione.
In questa mostra ritorna l'aspetto iniziatico che va oltre la realtà, in una sorta di rinascita dell'immaginario. Questo ha forse anche delle implicazioni magiche. Cosa ne pensi?
M.G.: Ho insistito in varie occasioni nel dire che questa non è una mostra sull'occultismo e lo spiritualismo, anche se la presenza della magia si sente.
Ci sono artisti che sostengono di dipingere perché glielo ha chiesto Dio, altri che hanno sentito voci che gli hanno “commissionato” certi quadri.
Mi affascinano queste figure che sono al di fuori della storia dell'arte, che non vengono prese sul serio dal momento che la loro opera non è autonoma. Mi interessava inserirle in una sorta di discussione sul canone della storia dell'arte.
Volevo raccontare come, ancor prima dei media tecnologici, il primo medium per antonomasia sia il nostro corpo e la nostra mente.
D'altra parte il rapporto tra iniziazione, segreto e conoscenza è fondamentale in una mostra che tratta del sapere.
So che recentemente Umberto Eco ha tenuto a Milano una lezione sul segreto. E' un tema di grande attualità poiché siamo una società che vive sul mito del sapere e dell'accessibilità alle informazioni, ma nella quale paradossalmente il segreto è ancora più importante.
Basta pensare a Wikileaks come paradigma di un certo tipo di conoscenza in cui i segreti vengono condivisi in massa.
Volevo realizzare una mostra che ci raccontasse la società dell'informazione, ma che lo facesse tornando indietro e guardando alla sua preistoria.
Il gioco tra segreto e conoscenza si ripete anche nell'idea iniziatica del sapere, esempio del quale è il Libro rosso di Jung: il racconto di un viaggio iniziatico.
A.C.: Hai cominciato dicendo che la mostra attende ancora le scuole. Viviamo un periodo in cui siamo travolti dalle immagini ma c'è un analfabetismo da immagini altissimo. Quindi anche lo studio della storia dell'arte è cronologico e storicistico. Cosa ne pensi?
M.G.: Il mio interesse per l'arte contemporanea è nato da ciò che non mi veniva spiegato a scuola. Ho iniziato a sentirlo come un mio territorio e così è nata la passione.
Non so dire se dobbiamo insegnare di più. Ma se non si crea un'alfabetizzazione visiva nelle scuole e nei contesti culturali, l'unica educazione visiva sarà quella commerciale.
Mentre nell'attuale società delle immagini il linguaggio della pubblicità deve essere contrastato.
Penso che l'arte sia l'antidoto alla forma di appiattimento delle immagini tipico della propaganda.
Nel Palazzo Enciclopedico ci tenevo al fatto che tutte le immagini, opere d'arte o meno, avessero un'intensità e una complessità altissima rispetto alle immagini volatili della cultura visiva commerciale.
Quest'intervista fa parte del ciclo Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto UnDo.Net in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo. Ogni settimana protagonisti della scena artistica contemporanea sono intervistati da Massimo Marchetti e Annalisa Cattani
Le immagini in questa pagina sono tratte dal video:
L'Arsenale in UnDovisione
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