Ufficio Stampa Fondazione Ratti Ilaria Gianoli
Terza e ultima conferenza prevista per il X Corso Superiore di Arte Visiva A. Ratti. Boeri presenta Multiplicity, un'agenzia di ricerche sul territorio che realizza progetti in diverse aree del mondo usando sistemi multipli di analisi, indagine e rappresentazione attraverso una rete formata da architetti, geografi, artisti, urbanisti, fotografi, sociologi, economisti e registi. Multiplicity progetta e produce installazioni, seminari e pubblicazioni sui recenti processi nascosti di trasformazione della condizione urbana
Fondazione Antonio Ratti
X Corso Superiore di Arte Visiva
1 – 22 luglio 2004
CONFERENZE APERTE AL PUBBLICO
Stefano Boeri
Multiplicity
16 luglio 2004, ore 21.00
Stefano Boeri, venerdi' 16 luglio 2004, è relatore della terza e ultima
conferenza prevista per il X Corso superiore di arte visiva diretto da Annie Ratti, che quest'anno ha come visiting professor l'artista Jimmie Durham.
Boeri interviene con la presentazione di Multiplicity, un'agenzia di ricerche
sul territorio con sede a Milano, che realizza progetti in diverse aree del
mondo usando sistemi multipli di analisi, indagine e rappresentazione attraverso
una rete formata da architetti, geografi, artisti, urbanisti, fotografi,
sociologi, economisti, registi.
Multiplicity progetta e produce installazioni, seminari e pubblicazioni sui
recenti processi nascosti di trasformazione della condizione urbana ed investiga
l'ambiente fisico, ricercando indizi e tracce prodotte dai nuovi comportamenti
sociali.
Tra i progetti realizzati: USE-Uncertain States of Europe, Tokyo Voids, Solid
Sea, Border device(s).
Flussi e confini
Stefano Boeri
1. Lo spazio, lo spazio fisico che calpestiamo, che abitiamo, che attraversiamo muovendoci, sembra per molti interpreti del mondo contemporaneo diventato ''liscio''. Un supporto piano e orizzontale, sul quale si muovono indisturbate le correnti calde che globalizzano l'economia e l'informazione, dove si dispongono liberamente le reti lunghe e virtuali della comunicazione, dove scorrono sempre più intensi e dominanti, imponenti flussi di merci, uomini e idee.
Per molti studiosi, a cominciare dallo spagnolo-americano Manuel Castells, autore di un poderoso saggio sulla pervasività della Rete, il mondo contemporaneo può essere letto e capito soprattutto da questa angolatura. Che è la stessa di chi–come la sociologa olandese Saskia Sassen- riconosce ormai a poche ''città globali'' la forza di orientare i flussi di un pianeta quasi totalmente interconnesso. O di chi legge nella fluidità delle relazioni transnazionali e nella debolezza delle istutizioni ''verticali'' (cioè radicate in un luogo, in una storia e in una comunità ), l'emergere inarrestabile di una modernità ''liquida'', come sembrano suggerire i testi del sociologo polacco Zygmunt Bauman. Eppure, un importante aspetto della fisionomia del modo contemporaneo sembra sfuggire a queste suggestive interpretazioni. Lo spazio che ci circonda, non solo lo spazio geopolitico delle relazioni internazionali, ma anche quello circoscritto della vita quotidiana, sembra a dire il vero sempre più increspato da confini. Tagliato da muri, recinti, soglie, ostacoli, bordi normati, sistemi di controllo e sorveglianza, frontiere virtuali, aree specializzate, zone protette, corridoi di controllo. Muoversi, spostare il proprio corpo da un aeroporto all'altro o da una strada all'altra, significa oggi sfiorare e sfidare un numero crescente di sistemi di controllo e oltrepassare una proliferazione di confini.
Invece che liscio, lo spazio –almeno in questa parte del mondo- sembra diventato un denso agglomerato di sottosistemi che corrugano il territorio, rivendicando la loro identità (a dominanza sociale, culturale, etnica, religiosa). Invece che un fluire libero, i nostri movimenti assumono sempre più la forma di sussulti e soste, di una sequenza di ''stop and go'', di un balletto di password e documenti di identificazione. E per quanto la proliferazione di confini possa essere interpretata come una reazione al movimento fluido dei corpi e delle immagini, come una risposta al moltiplicarsi delle possibilità di relazione, come una difesa di antiche identità , viene da chiedersi se non sia proprio questo il codice poco o per nulla indagato del mondo contemporaneo. Come se fossero i confini, e non i flussi, la sua vera cifra.
2. Ma i confini non sono solo muri; non sono solo linee.
Lungo le coste del Mediterraeneo ci sono confini che funzionano come imbuti: rivolti verso il mare convogliano, ordinano e canalizzano verso la costa flussi disordinati di persone, di merci, di memorie. Altrove vi sono confini che invece sembrano tubi; cilindrici e impenetrabili come le strade sopraelevate che collegano –correndo sopra ai villaggi palestinesi- gli insediamenti dei coloni israeliani nei ''territori occupati'' della West Bank.
Ma anche confini che nascono attorno a spazi abbandonati –le ''no man's land'' del film di Danis Tanovic , o la striscia deserta che separa i due lembi del muro che taglia Nicosia- dove lo spazio è una sacca, una piega tra due territori protetti. E, all'opposto, ci sono confini che sembrano spugne, che inaspettatamente assorbono lungo i loro lati sia popolazioni in attesa di un passaggio, sia insediamenti stabili di pendolari; viandanti parassitari che –come accade tra i Paesi del Benelux o lungo le frontiere con i Paesi dell'est europeo- incessantemente li valicano per ricavarne vantaggi (fiscali, ludici, commerciali). E spesso queste bizzarre città lineari, dove il confine si allarga e si ''ingravida'' non sono altro che una memoria di antichi confini statali militarizzati, che continuano a lavorare anche dopo aver perso dignità di Muri; proprio come accade per un arto fantasma che il cervello si ostina a percepire sebbene non esista più. L'Europa, a cominciare proprio dalla Germania, è oggi tagliata da molti di questi limiti invisibili eppure ancora discriminanti.
Ma soprattutto, sopra ogni cosa, ci sono confini che delimitano recinti: recinti di cemento o di filo spinato, come quelli dei villaggi profughi; recinti immateriali e controllati da telecamere e fotocellule come quelli che governano i sottosistemi delle reti bancarie; recinti stabili, antichi e recinti mobili, imprevedibili come le zone di controllo militare che i gruppi guerriglieri spostano quotidianamente in Colombia.
Insomma: se una volta per tutte la smettessimo di credere che i confini oggi più controversi e conflittuali abbiano tutti e solo la natura di lunghi Muri interrotti da Torri di controllo e check point. Se guardandoci attorno cominciassimo a osservare con attenzione la variegata moltitudine di confini che spezzetta e circonda la nostra vita quotidiana, la moltitudine di confini che frammenta e scheggia intere parti del nostro pianeta, potremmo forse capire che i confini –oltre che dei sintomi sono degli staordinari sensori delle dinamiche del mondo contemporaneo, dei ''dispositivi'' dinamici e tridimensionali che pulsano e risentono delle energie e delle resistenze che accompagnano-nel bene, oltre che naturalmente nel male- la storia presente.
La ricerca ''Border-device(s)'', curata da Multiplicity con la collaborazione del Belage Institute di Rotterdam e della Domus Academy è visibile nel sito http://www.borderdevices.org
Una parte dei risultati della ricerca sono stati presentati nel giugno 2003 alla Kunstwerke di Berlino e in setembre alla Biennale d'Arte di Venezia.
Stefano Boeri, architetto, è direttore della rivista Domus e docente di
Progettazione Urbana presso la Facoltà di Architettura di Venezia. Collaboratore
del supplemento culturale del quotidiano Il Sole 24 Ore, è stato curatore del
settore Architettura della Triennale di Milano.
È co-fondatore di Multiplicity, con cui ha ideato installazioni per alcune delle
principali istituzioni di architettura e arte contemporanea, tra le quali:
Documenta a Kassel, la Biennale di Venezia, la Kunstwerke di Berlino, il Musée
d'Art Moderne di Parigi, la Generali Foundation di Vienna.
Immagine: Stefano Boeri con cliostraat e Stalker, 20,30 (video), 2000
Venerdi' 16 luglio 2004, ore 21.00, presso l'edificio a shed ex-Ticosa, viale
Roosvelt, Como
Info:
Anna Daneri, FAR tel 031233213, fax 031233249 e-mail annadaneri@fondazioneratti.org
Ufficio stampa: Ilaria Gianoli, tel/fax 02 514406 - 333 6317344