L'Idioma
Ascoli Piceno
via delle Torri, 23
0736 254740 FAX

Bruno Marcucci
dal 9/4/2010 al 29/4/2010
feriali 18-20, festivi 10,30-12

Segnalato da

Augusto Piccioni



approfondimenti

Bruno Marcucci



 
calendario eventi  :: 




9/4/2010

Bruno Marcucci

L'Idioma, Ascoli Piceno

Linea d'orizzonte. Retrospettiva. Attraverso studi antropologici e scientifici l'artista recupera il concetto di onirico e lo introduce nei suoi lavori.


comunicato stampa

Se l’orizzonte si alza lo sguardo si fa più intenso

L'artista Bruno Marcucci dal 1970 a oggi ha dato forma, a un eterogeneo corpus di opere che offre testimonianza di un pensiero libero che con costanza si è confrontato con i nodi profondi e fondativi dell’arte contemporanea. Egli ha dato vita a una ricerca artistica che per continuità metodologica e per qualità raggiunta si inserisce come momento tra i più interessanti del panorama artistico centro-italiano e non solo.

La mia conoscenza di Bruno Marcucci nasce alcuni anni fa in occasione di un approfondimento sull’opera di Paolo Mario Paolucci, amico e artista con il quale egli ha condiviso l'iniziazione all'arte e importanti esperienze artistiche e di vita. Già nel 1970, infatti, freschi di recenti studi accademici svolti a Urbino sotto la guida di Concetto Pozzati e Pierpaolo Calzolari, entrambi espongono con altri giovani colleghi in alcune mostre e in particolare presso il Centro San Fedele di Milano. Bruno Marcucci in tale occasione presenta un singolare lavoro che sembra essere interessante viatico per la carriera futura: in un ambiente vuoto una piccola lampadina accesa, posta in un angolo direttamente sul pavimento, diffonde una tenue luce. In questa proposizione, certamente fortemente influenzata ancora dal vivace e sperimentale clima artistico di quegli anni, egli già mostra attenzione sia alla questione dello spazio, che l’opera genera e nella quale è collocata, sia alla materia come elemento, anche simbolico, che testimonia la conoscenza e sostiene l’immagine del pensiero. La generatrice di luce è posta dove i piani verticali del luogo si incontrano con quello orizzontale del pavimento a formare la triade fondamentale considerata in molte culture come la generatrice del mondo. Non so se l’artista fosse già d’allora conscio della citazione del quadrato nero suprematista posto nel 1915 nell'angolo del soffitto, luogo ove in Russia si ponevano le icone; tuttavia in tale opera, e la produzione successiva lo dimostra, egli è sicuramente conscio e attento a richiamare il contatto con il piano terreno, inteso come piano mondano della realtà e luogo dell'affermazione anche delle forze ctonie, e agli aspetti materici e sperimentali presenti nel fare artistico.

In occasione di una retrospettiva, nella città natale Cagli nel 1998, in apertura del catalogo egli scrive che il proprio lavoro è ”diventato oramai simile a quello di un biologo o di un fisico e anche di un monaco che cercano le origini del cosmo”. Il lavoro del 1970, con una semplice affermazione formale e di pensiero propone l’opera come luogo/atto dell’esperire il mondo e nel quale determinare, con l’elaborazione della materia, l'epifania dell'immagine: la minima presenza luminosa di un filamento di tungsteno incandescente posto nell’incrocio dei piani riconduce il pensiero alla sacralità dell'oro o alla questione della prospettiva presenti nelle lezioni sia dei maestri rinascimentali centro-italiani sia dei più recenti maestri italiani, dallo spazialismo al poverismo concettuale.

Il lavoro artistico di Bruno Marcucci negli anni seguenti ha la necessità di operare confronti diretti con realtà lontane: prima con le energie naturali e primigenie del continente africano, preferito all'idealità e allo spiritualismo orientale, in un viaggio con l'amico Paolucci, che si stabilisce permanentemente in Senegal, in seguito con le nuove tendenze artistiche d'oltre oceano in una lunga permanenza in terra statunitense e, a conclusione di un percorso ancora in parte formativo, con l'esperienza informale di Emilio Vedova che proprio in quegli anni sta portando a compimento fondamentali nuove formalizzazioni spaziali e che lo accoglie nel proprio studio veneziano.

Dalla fine degli anni settanta l'attività artistica di Marcucci si presenta matura e linguisticamente autonoma e si caratterizza come una continua ricerca nella quale, come afferma l'artista, “sono gli eventi le situazioni gli oggetti” che scelgono lui anziché essere scelti preventivamente all'interno di una complessa interazione sperimentale e concettuale con gli eventi. Interessante quest’affermazione che rivela un rapporto con il mondo e con il fare che richiama il ‘trovare e non cercare’ di picassiana memoria. L’onirico inoltre non è presenza marginale all’interno del lavoro di Bruno Marcucci, che lo recupera attraverso studi antropologici e scientifici, inteso non come surrealista fonte dell'immaginario ma come nuovo sguardo possibile su di una realtà che si svela nel sogno in una sua differente natura portatrice di maggiore veridicità.

Il lavoro si presenta così continuamente attento ad accogliere anche le suggestioni logiche ed emozionali che il mondo, nella sua quotidianità ma anche nella sua testimonianza civile, porge e invita a formalizzare continuamente nell'opera che giunge sempre più a manifestarsi come particolare di un tutto e che proprio perché particolare è più vicina ai punti nodali della ricerca artistica in atto.

La coesistenza di elementi, a volte antitetici o in altre semplicemente duali, sembra accompagnare come elemento continuo il quarantennale corpus di opere spesso anche apparentemente distanti formalmente tra loro ma che, in un’attenta osservazione, si rivelano attraversate da costanti logiche e sensazioni in momenti di maggiore concentrazione o dilatazione in un percorso contraddistinto da “stazioni” nelle quali la ricerca diviene più puntuale e i risultati più felici. Percorso che è piuttosto viaggio in una concezione che, fin dal Libro dei Sogni di Artemidoro, viene inteso come superamento continuo di confini, di margini che esso stesso, nel suo movimento spazio temporale, definisce come intorno di un qualcosa al quale deve necessariamente dare ragione e forma: “ora percorro con estenuazione i bordi di una circonferenza guardando il mistero che c'è dentro” afferma infatti l'artista a conclusione del medesimo testo del 1998.

Egli pone la materia in rapporto con la spiritualità, la presenza con l'assenza, la luce con l'ombra, l'esoterico con il simbolico, il caldo con il freddo e anche il figurativo con l'astrazione più minimale giungendo negli ultimi anni a soluzioni formali sempre più intense e iconograficamente sospese verso una condizione rarefatta e sintetica che sembrano indicare la volontà ineludibile di “spogliarsi” di elementi prima necessari che oggi sembrano essere quasi ingombro per il pronunciamento poetico sempre più puro nel quale l'immagine racconta sempre meno e dona allo sguardo pause, assenze e silenzi.

Il recente ciclo Linea d'orizzonte è prova di un nuovo status dell'opera definito negli ultimi anni e che apre la speculazione artistica di Bruno Marcucci verso nuovi varchi e prelude a interessanti nuove affermazioni teoriche, formali e operative. Nel 1996 l’artista realizza Iceberg poi indicato con il numero 1 poiché annuncia una serie di opere che negli anni seguenti trovano una forma compiuta esperita ancor oggi. L’opera è realizzata con una tecnica mista e presenta nella parte inferiore la materia come ripiegata su sé stessa fino al suo dispiegarsi in un'ascensione verso l’alto in colorazioni luminose; la figurazione paesaggistica presenta una sezione del mare nella quale è possibile distinguere la forma di un iceberg nella sua doppia presenza affiorata e sommersa.

L'indicazione fornita da quest'opera del 1996, che nasce da un percorso articolato nel quale trova ancora spazio la figurazione naturalistica, viene ripresa soprattutto nell’ultimo lustro in nuove opere nelle quali le ampie campiture cromatiche si attestano nella parte inferiore del foglio verticale lasciando sgombra la rimanente e minore parte superiore. Questa divisione riprende la sezione marina presente nell’opera capostipite ponendo però maggior attenzione alla proporzionalità e alle tensioni anche cromatiche che si generano. Le presenze volumetriche di forme riflessive e gestuali, realizzate tramite pigmenti elaborati con il silicone, affiorano dalle campiture monocrome che le contengono e che le generano. Pur non avendo più intenzionalità rappresentative o mimetiche le opere con il titolo Iceberg richiamano la questione posta sempre dall’opera, ovvero che ciò che vediamo apparire in realtà nasconde una ben più vasta e misteriosa natura. Il sopra si relaziona con il più vasto ed energetico sotto, la densità della materia con l'assenza e il segno, quasi sempre frutto di una rapida gestualità dalle caratteristiche zen, con una stesura piana e abilmente definita nei confini e nelle forme. Questa serie di lavori degli ultimi anni è realizzata in differenti dimensioni, da un massimo di fogli 150 x 120 a un minimo di carte che appaiono come pagine di minuscoli taccuini.

Interessante è come essi vengono composti e collocati negli ambienti delle esposizioni. Le pareti del luogo sono ricoperte con le singole opere accostate le une vicino alle altre secondo il criterio che la linea d'orizzonte, comune a tutti e posta poco oltre i due metri d'altezza, debba sempre combaciare. Ne risulta un fregio dalle forti caratteristiche cromatiche che, richiamando alla memoria le lezioni dell'arte italiana antica, percorre l'intero l'ambiente impossessandosene e trasformandolo. Linea d'orizzonte è comprensibile nella sua totalità, sommatoria di elementi singoli che posseggono una loro autonomia formale e che divengono particolare significante del tutto. Nella sua complessità iconografica e cromatica l’opera determina una nuova condizione spaziale della visione che richiama le prove installative dell'artista marchigiano degli anni passati che invitavano l’osservatore a esercitare il singolare esercizio dello sguardo frutto della consapevolezza di essere nello spazio-tempo della visione. Si determina l’estraniante condizione di immersione nello spazio diviso in una parte inferiore 'subacquea' e di una parte 'aerea' (dove forse ancora l'artista come nei lavori di molti anni fa è 'ricercato dagli angeli') posta in alto e contaminata solo da piccoli inserti cromatici che interrompono la continuità dell’orizzonte che stabilisce un ‘piano di battuta’ per lo sguardo che si deve innalzare come a voler superare questo nuovo confine visivo.

La sintesi raggiunta con Linea d'orizzonte permette a Bruno Marcucci di modulare complessivamente lo spazio offrendo profondi momenti lirici nei quali è fatta valere la sua sapienza e padronanza del colore nella stesura e nella composizione. Le opere sono accostate le une alle altre in una scelta che privilegia non tanto la loro forma quanto la loro interna qualità che viene fatta risuonare dall’essere posta in quella posizione e non in altra. Atto di vero e proprio ‘montaggio’ che rivela la riflessione attuata dall’artista sul linguaggio dei maestri dell’arte visiva, intesa nella sua vastità fino alle migliori proposizioni cinematografiche. Il tutto diviene paesaggio infinito nel quale ogni elemento si mostra con la propria forte individualità qualitativa nella semplice presenza. Lo spazio-tempo, che tale recinto dell'orizzonte definisce, diviene elemento fondante dell'opera che circonda, contiene e incalza l'osservatore costringendo lo sguardo a percorrere la visione dal complessivo al particolare, in modo centripeto e viceversa in modo centrifugo, in una necessaria intensità e permettendo così di cogliere la sfaccettata e propositiva complessità del tutto.

Aldo Iori

Bruno Marcucci è nato a Cagli nel 1948. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino dove si diploma nel 1972. Viaggia in Europa, dove arricchisce la sua formazione frequentando un corso di scultura tenuto da Joseph Beuys a Dusseldorf. Con l’amico pittore Paolo Paolucci compie un lungo viaggio in Africa. Soggiorna un anno negli Stati Uniti, al ritorno sarà assistente allo studio del pittore Emilio Vedova, per la realizzazione di un ciclo di opere. Si lega di amicizia con i pittori Ettore Sordini e Angelo Verga e partecipa a mostre e al lavoro di studio. Durante il lungo sodalizio che lo lega al musicista Fernando Mencherini illustra alcune sue composizioni. Attualmente insegna alla Scuola del Libro di Urbino. Scritti di Fulvio Abbate, Giulio Angelucci, Mariano Apa, Peter Green, Aldo Iori, Rita Olivieri, Giuliana Paganucci, Marcello Pecchioli, Paolo Serra, Mariastella Sguanci, Gabriele Tinti, Angelo Verga.

Inaugurazione 10 aprile ore 18

L'Idioma
Via delle Torri, 23 - Ascoli Piceno
Ingresso libero

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