Declinazioni sul tema del paesaggio. In mostra diciotto fogli esposti tra i duecentocinquanta della collezione per rilevare la ricchezza e il mutare delle forme, delle tecniche e dello stile disegnativo con cui l'artista affronta il paesaggio nel maturare degli anni. A cura di Rosanna Maggio Serra.
a cura di Rosanna Maggio Serra
Al suo terzo appuntamento, la Wunderkammer mette in scena Antonio Fontanesi (Reggio Emilia 1818 - Torino 1882). Il Museo torinese è predestinato agli studi su questo artista perché ne conserva la più ricca collezione, pervenuta tramite l’amico ed erede Giovanni Camerana. Fontanesi, conosciuto a Torino fin dagli anni Cinquanta, vi si stabilì come docente dell’Accademia Albertina nel 1869. Lunghi soggiorni tra Ginevra, Parigi, Londra, Tokyo fecero di lui un pittore di cultura e linguaggio internazionali, anomalo in Italia. L’intensità emotiva della sua pittura, la poesia del vero, difficile da circoscrivere nelle categorie del realismo e del romanticismo, fu definita da un grande critico “un des beaux poèmes naturalistes qui aient été peints au cours du siécle”.
La scelta dei diciotto fogli esposti tra i duecentocinquanta della collezione vuole far rilevare la ricchezza e il mutare delle forme, delle tecniche e dello stile disegnativo con cui Fontanesi affronta il paesaggio nel maturare degli anni. Ma propone anche temi non scontati, come la figura e la veduta. Si rivedranno anche i grandi e impegnativi disegni a fusain in cui la traccia del carboncino veniva sfumata in modo infinito e impalpabile, con esiti di suggestione non inferiore a quelli della pittura.
In occasione di questa esposizione il progetto Wunderkammer si arricchisce di nuove voci: Virginia Bertone, conservatore delle raccolte e responsabile del progetto, ha infatti invitato Rosanna Maggio Serra per la scelta dei fogli del maestro reggiano, avviando così la prima di una serie di collaborazioni ad alto livello per le proposte che si avvicenderanno in questo spazio.
Per molti anni alla guida della GAM di Torino, Rosanna Maggio Serra è studiosa di primo piano della pittura dell’Ottocento piemontese. Ad Antonio Fontanesi ha dedicato numerosi approfondimenti e iniziative espositive, tra cui l’ultima, grande mostra monografica dedicata all’artista e svoltasi alla GAM nel 1997.
LA MOSTRA
di Rosanna Maggio Serra
Il Museo torinese conserva il più ricco fondo di opere di questo grande paesista, composto di dipinti, disegni, litografie, eliografie e incisioni con le relative lastre, pervenuti in massima parte nel 1905 tramite il suo amico ed erede fiduciario Giovanni Camerana. Scegliere un ristretto numero di fogli tra più di 250 è stata una sfida, e una sfida vorremmo che fosse per il visitatore discernere la sorprendente varietà delle tecniche, dei materiali, degli strumenti utilizzati da Fontanesi nei suoi differenti registri espressivi. Il disegno fu per lui esercizio della mano, prova di studio o appunto, ma fu anche linguaggio autonomo e compiuto.
Negli anni trascorsi a Ginevra (1850-65), superato il naturalismo romantico appreso da Calame per un approccio più oggettivo al vero ispirato dai francesi contemporanei, Fontanesi divenne il più precoce interprete italiano del nuovo sentimento della natura, che perseguì con serietà professionale e non senza tormento interiore. Sui quarant’anni, nella piena padronanza dei suoi mezzi, declinò anche con i mezzi grafici la commozione di fronte al vero. Troviamo disegni di piccolo formato, condotti con segno minuto della grafite, illuminati delicatamente dal pastello bianco per definire la luce meridiana diffusa (n. 1), i cieli estivi (n. 4), i raggi radenti del sole (n. 3), disegni nei quali la morbida carta preparata consente di ottenere, con le graffiature di una punta metallica, minuscoli punti o linee di luce mentre i grigi sfocano teneramente, come nel momento tra notte e alba descritto dal Mulino su uno specchio d’acqua (n. 2). Sono di questi tempi anche i fusain, grandi disegni destinati alle esposizioni, di tecnica complessa, in voga nei decenni centrali dell’Ottocento. Su carte tinte di una tonalità calda la traccia del carbone veniva sfumata con panni, pennelli asciutti e pelli scamosciate e modulata con il pastello bianco, la matita, l’acquerello e la punta metallica. Il bianco e nero pittorico si confrontava così con la nuova tecnica della fotografia rispetto alla quale poteva vantare una definizione ben maggiore, pur mantenendo la potenzialità interpretativa del vero propria della pittura. Fu con questo uso del carboncino che Fontanesi espresse i grandi silenzi delle clairières nelle foreste secolari, dei pascoli in valli remote o in pianure lontane, paesaggi in cui l’uomo non è assente, ma è solo di fronte allo spettacolo della natura e la luminosità del cielo tocca una corda di risonanza religiosa. I quattro fusain qui proposti (nn. 5, 6, 7, 8) raggiungono esiti di suggestione non inferiore a quelli dei suoi più famosi dipinti (Novembre, 1864, Torino, GAM), confermando l’adesione di Fontanesi non già al verismo, ma alla lettura poetica del vero in sintonia con l’idea di Baudelaire: “l’imagination fait le paysage”. In anni più tardi amò esprimersi sinteticamente attraverso segni pastosi e veloci che si condensano in masse sorvolando sui dettagli e sanno evocare le emozioni modulando la luce, come nell’incontro intimo e segreto adombrato dal Nudo nel bosco (n. 9).
Negli anni settanta, quando lavorerà sul motivo della luce centrale, turneriana, di valenza quasi simbolica, (si veda il dipinto Aprile,1873, Torino, GAM), userà volentieri carte scure su cui far balenare con il pastello bianco il contro-luce schermato dalle nuvole o per cogliere, nel rigore del monocromo, un momento crepuscolare non meno insinuante di quello che emana dai famosi studi ad olio di stagni e paludi, vanto del Museo torinese (nn. 10, 11, 12, 13, 14). Negli ultimi tempi talvolta il disegno può acquistare valenze drammaticamente pittoriche attraverso la carica materica dei neri e dei bianchi di zinco (Buoi all’aratro, n.15), mentre in altri fogli pallide ombre di acquerello smaterializzano la realtà. E’il caso del disegno Monumento a Emanuele Filiberto (n.16), un’immagine di Torino tra nebbia e sole da intendere - insieme a Scorcio della Rotonda dell’Albertina, n.17 e Profilo di Torino, n.18 - non solo come momento pittoricamente felicissimo, ma come documento di due altri interessi del pittore, quello per il vedutismo (mai abbandonato) e quello, un po’ segreto, per la città di Torino e per i suoi dintorni dove insegnava agli allievi come trovare “il motivo”.
Immagine: Antonio Fontanesi, Studio per “Novembre”, 1864 ca. carboncino, cm 35 x 68.5. GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Ufficio Stampa: Daniela Matteu - Tanja Gentilini
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daniela.matteu@fondazionetorinomusei.it
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Anteprima per la stampa: mercoledì 9 giugno alle ore 12
GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Wunderkammer - primo piano
Orario: martedì-domenica 10-18, chiuso lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima
Ingressi: euro 7,50 ridotto euro 6