Circolo Culturale Bertolt Brecht. Spazio2
Milano
via Giovanola, 21/c
02 6425119 FAX 02 6425119
WEB
A Oriente del segno
dal 8/9/2002 al 19/9/2002
02 26820454 FAX 02 26820454
WEB
Segnalato da

lorenzo argentino




 
calendario eventi  :: 




8/9/2002

A Oriente del segno

Circolo Culturale Bertolt Brecht. Spazio2, Milano

Elvio Arancio, Licia Brescia, Ale Goffy, Andrea Raggi. A cura di Ivan Quaroni


comunicato stampa

Elvio Arancio, Licia Brescia, Ale Goffy, Andrea Raggi.
A cura di Ivan Quaroni

"L'agglomerato frusciante d'una lingua sconosciuta costituisce una deliziosa protezione, avviluppa lo straniero (per poco che il paese non gli sia ostile) in una pellicola sonora che trattiene alle soglie delle sue orecchie tutte le della lingua materna: l'origine, regionale o sociale, di chi parla, il suo livello di cultura, d'intelligenza, di gusto, l'immagine attraverso cui si costituisce come persona e che vi chiede di riconoscere.

Così, che riposo all'estero! Sono protetto contro l'imbecillità, la volgarità, la mondanità, la nazionalità, la normalità."
(Roland Barthes - L 'Impero dei segni)

I
Il segno è l'atto di una mente ordinatrice, consapevole della propria esistenza e perciò in grado di generare un'auto-rappresentazione. In ordine di tempo succede al suono che formula la prima espressione vocale. Prima è il verbo poi il simbolo che lo designa - preceduto da ere di rappresentazione zoomorfa e antropomorfa. Tutta l'umanità, dalle Grotte di Lescaux all'Action Painting di Pollock, si esprime attraverso segni, grafemi, pittogrammi, infine parole. Segno è il vibrante colare della pasta vegetale sulle pareti delle grotte - appena illuminato dall'estatica danza della fiamma delle torce -, ma pure il casuale dripping di vernice sulla tela, nel tempo in cui la Civiltà si addensa intorno al caos delle aree urbane. La nostra esistenza, dall'alba della prima origine, si connette intimamente alla presenza di segni.., il famoso mondo "come foresta di simboli ". Se ci fenniamo un attimo a riflettere vediamo il nostro cervello saturo traboccare milioni di grafemi, vomitare miriadi di segnali accumulati in millenni.. .molti espressivi, altri no. Roland Barthes ha voluto inscenare un Giappone immaginario, non geopolitico, per designare l'universo linguistico dell'estraneità.. .noi portiamo l'estraneità nel nostro serbatoio interiore, incapaci di leggere - se solo lo volessimo - persino i calligrammi della nostra lingua madre.

Vi sarà capitato di scorgere un'insegna luminosa in lonfananza - quella di un cartello pubblicitario o di un Motel lungo una tangenziale - e di leggere un significato affatto diverso da quello reale. Per uno strano fenomeno di dislessia visiva, lo straniero che è in noi prende il sopravvento: legge parole che non ci sono, le riassembia secondo logiche oscure.. . con la smania ipnotica di una sibilla consulta l'oracolo del suo inconscio: legge in modo diverso. I segni sono aprioristici: precedono il gesto del tracciarli o dell'interpretarli. Jung sarebbe d'accordo.. . forse anche Platone.

2
L'arte conosce due tipi di segni: quelli che significano e quelli che non significano. La calligrafia, ossia la bella scrittura, percorre il duplice binario della grazia estetica e del significato che per suo tramite è veicolato. Gli esempi sono molteplici: i codici miniati dell'Occidente cristiano medievale, la calligrafia Zen e quella arabo-islamica. Segni e simboli che rimandano alle altezze delle più disparate spiritualità, che aprono un varco nella via della Gnosi e della mistica.

Vi è qualcosa di più elevato di un'arte al servizio dell'evoluzione interiore?

L'Occidente, dimenticata per lungo tempo la malìa della calligrafia, finisce per subire il fascino della scrittura Zen e riscopre la gioia del segno tracciato con mano rapida e sicura, del gesto secco e pre-razionale dei calligrafi giapponesi. Il cardiogramma intelligente di Alechinsky, gli ideogrammi di Franz Kline, la non figurazione psichica di Mathieu, gli alfabets di Michaux e l'automatismo di Hartung, nell'intento di liberare la pittura dalla gabbia della rappresentazione - figurativa o astratta che sia - si appropriano dell'alfabeto estraneo del buddismo Zen, tralasciandone i precetti. I segni sono stravolti, reinventati. Nasce un tipo di segno nuovo: quello che non dice altro che se stesso, ed esprime la dimensione pre-razionale dell'immagine. Gli artisti giapponesi ne rimangono scioccati, osservano gli occidentali stravolgere la loro tradizione calligrafica e giocare come bambini dispettosi con alfabeti che non conoscono. L'invidia di questa libertà fa nascere formazioni artistiche come il Gruppo Gutai, che trasforma il segno in gesto, azione e performance. Il significato diventa atto. Ma anche questo non è Zen?

3
Meno popolare della calligrafia zen e forse non troppo propagandata dai pittori orientalisti europei, l'arte calligrafica islamica continua indisturbata la sua gloriosa tradizione. Per secoli le scritture corsive e cufiche dei calligrafi musulmani restano una delle principali forme d'arte dell'Islam. I versetti del Corano sono scritti e riscritti in forme sempre nuove, soprattutto la Basmala, che apre la preghiera ricorrente. La calligrafia diviene addirittura una forma di rappresentazione figurativa. Con versi coranici si compongono figure di animali, personaggi, piante e ogni altro oggetto di rappresentazione. La calligrafia comunica un triplice messaggio: quello del significato (il versetto coranico, l'hadit del profeta Maometto o il verso di una poesia mistica), quello del significante (lo stile cufico o corsivo) e quello della figurazione (la forma composta dalla scrittura). In questo senso il valore segnico della calligrafia araba si trova agli antipodi rispetto alle sperimentazioni dell'arte informale occidentale: qui un segno pazientemente meditato, una sovrabbondante ipertestualità, là un segno istintivo, un'assenza totale di premeditazione. Ancora oggi quest'arte antica si rinnova mantenendo intatti i presupposti di partenza, come nella calligrafia di Lassad Methoui che talvolta sembra confinare con le tag della cultura hip hop.

Un capitolo a parte della storia dell'arte è quello dell'arabesco - che è pure segno -, della decorazione a intrecci geometrici o fitomorfi che in Occidente ha il suo corrispettivo nelle grottesche di derivazione romana imperiale. I motivi geometrici, composti dalla ripetizione di figure semplici, intrecciate o sovrapposte, sono impiegati soprattutto nella produzione tessile (tappeti e tessuti) e in quella ceramica. Oltre ai tralci vegetali e ai motivi zoomorfi, anche la calligrafia è impiegata per comporre arabeschi. I motivi di sviluppo di questo tipo di arte sono molteplici: il portato delle popolazioni nomadi con il loro gusto per un'arte aniconica e decorativa e la proibizione di raffigurare l'immagine divina e umana all'interno delle moschee, la meraviglia dei fulgidi esempi di decorazione greco-romano-bizantina, ripresi poi dalle espressioni artistiche delle popolazioni turche. Anche la storia dell'arabesco ha una sua circolarità: parte dall'arte classica per raggiungere quell'islamica e ritorna in Occidente influenzando molta arte romanica, gotica e rinascimentale. Per il tramite della Spagna islamizzata, dei commerci di Venezia con l'Oriente e dei semi saraceni lasciati nel Regno delle due Sicilie, l'Europa intera, dalle Fiandre in giù, riceve costanti stimoli dalla cultura musulmana. Mentre il pensiero speculativo islamico permea con i suoi trattati di astrologia, medicina e matematica il mondo delle Scienze e delle Lettere, il piacere per i ricchi tessuti d'Oriente si diffonde presso le corti. Oreficerie, tessuti e tappeti continuano ad affluire. I nomi dei tessuti rimarranno nel vocabolario tessile europeo: la mussolina (da Mossul), il baldacchino (da Baghdad), il damaschino (da Damasco), il drappo d'Antiochia, il siglaton e il taffetà (prodotti in Iran), il camocato (che dalla Cina raggiunge la Francia attraverso la Persia e Cipro), il maramato, i dabicki d'Egitto, i veli alessandrini ecc...

Dove sono dunque le famigerate barriere tra Oriente e Occidente?

Inaugurazione: lunedì 9 Settembre alle ore 18.30

apertura: dalle ore 16.30 alle ore 20.00 e su appuntamento
Chiuso:venerdì, sabato e festivi.

Tel. Fax. 02-700442

Circolo Culturale Bertolt Brecht
Via Padova, 61_20127 Milano Tel/fax_02 26820454

IN ARCHIVIO [91]
Fuoristagione 2012 e Spunti di Vista
dal 27/5/2012 al 12/6/2012

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede