Elvio Arancio, Licia Brescia, Ale Goffy, Andrea Raggi. A cura di Ivan Quaroni
Elvio Arancio, Licia Brescia,
Ale Goffy, Andrea Raggi.
A cura di Ivan Quaroni
"L'agglomerato frusciante d'una lingua sconosciuta costituisce una deliziosa
protezione, avviluppa lo straniero
(per poco che il paese non gli sia ostile) in una pellicola sonora che trattiene
alle soglie delle sue orecchie tutte le della lingua materna: l'origine,
regionale o sociale, di chi parla, il suo livello di cultura, d'intelligenza, di
gusto, l'immagine attraverso cui si costituisce come persona e che vi chiede di
riconoscere.
Così, che riposo all'estero! Sono protetto contro l'imbecillità , la volgarità ,
la mondanità , la nazionalità , la normalità ."
(Roland Barthes - L 'Impero dei segni)
I
Il segno è l'atto di una mente ordinatrice, consapevole della propria esistenza
e perciò in grado di generare un'auto-rappresentazione. In ordine di tempo
succede al suono che formula la prima espressione vocale. Prima è il verbo poi
il simbolo che lo designa - preceduto da ere di rappresentazione zoomorfa e
antropomorfa. Tutta l'umanità , dalle Grotte di Lescaux all'Action Painting di
Pollock, si esprime attraverso segni, grafemi, pittogrammi, infine parole. Segno
è il vibrante colare della pasta vegetale sulle pareti delle grotte - appena
illuminato dall'estatica danza della fiamma delle torce -, ma pure il casuale
dripping di vernice sulla tela, nel tempo in cui la Civiltà si addensa intorno
al caos delle aree urbane. La nostra esistenza, dall'alba della prima origine,
si connette intimamente alla presenza di segni.., il famoso mondo "come foresta
di simboli ". Se ci fenniamo un attimo a riflettere vediamo il nostro cervello
saturo traboccare milioni di grafemi, vomitare miriadi di segnali accumulati in
millenni.. .molti espressivi, altri no. Roland Barthes ha voluto inscenare un
Giappone immaginario, non geopolitico, per designare l'universo linguistico
dell'estraneità .. .noi portiamo l'estraneità nel nostro serbatoio interiore,
incapaci di leggere - se solo lo volessimo - persino i calligrammi della nostra
lingua madre.
Vi sarà capitato di scorgere un'insegna luminosa in lonfananza - quella di un
cartello pubblicitario o di un Motel lungo una tangenziale - e di leggere un
significato affatto diverso da quello reale. Per uno strano fenomeno di
dislessia visiva, lo straniero che è in noi prende il sopravvento: legge parole
che non ci sono, le riassembia secondo logiche oscure.. . con la smania ipnotica
di una sibilla consulta l'oracolo del suo inconscio: legge in modo diverso. I
segni sono aprioristici: precedono il gesto del tracciarli o dell'interpretarli.
Jung sarebbe d'accordo.. . forse anche Platone.
2
L'arte conosce due tipi di segni: quelli che significano e quelli che non
significano. La calligrafia, ossia la bella scrittura, percorre il duplice
binario della grazia estetica e del significato che per suo tramite è veicolato.
Gli esempi sono molteplici: i codici miniati dell'Occidente cristiano medievale,
la calligrafia Zen e quella arabo-islamica. Segni e simboli che rimandano alle
altezze delle più disparate spiritualità , che aprono un varco nella via della
Gnosi e della mistica.
Vi è qualcosa di più elevato di un'arte al servizio dell'evoluzione interiore?
L'Occidente, dimenticata per lungo tempo la malìa della calligrafia, finisce per
subire il fascino della scrittura Zen e riscopre la gioia del segno tracciato
con mano rapida e sicura, del gesto secco e pre-razionale dei calligrafi
giapponesi. Il cardiogramma intelligente di Alechinsky, gli ideogrammi di Franz
Kline, la non figurazione psichica di Mathieu, gli alfabets di Michaux e
l'automatismo di Hartung, nell'intento di liberare la pittura dalla gabbia della
rappresentazione - figurativa o astratta che sia - si appropriano dell'alfabeto
estraneo del buddismo Zen, tralasciandone i precetti. I segni sono stravolti,
reinventati. Nasce un tipo di segno nuovo: quello che non dice altro che se
stesso, ed esprime la dimensione pre-razionale dell'immagine. Gli artisti
giapponesi ne rimangono scioccati, osservano gli occidentali stravolgere la loro
tradizione calligrafica e giocare come bambini dispettosi con alfabeti che non
conoscono. L'invidia di questa libertà fa nascere formazioni artistiche come il
Gruppo Gutai, che trasforma il segno in gesto, azione e performance. Il
significato diventa atto. Ma anche questo non è Zen?
3
Meno popolare della calligrafia zen e forse non troppo propagandata dai pittori
orientalisti europei, l'arte calligrafica islamica continua indisturbata la sua
gloriosa tradizione. Per secoli le scritture corsive e cufiche dei calligrafi
musulmani restano una delle principali forme d'arte dell'Islam. I versetti del
Corano sono scritti e riscritti in forme sempre nuove, soprattutto la Basmala,
che apre la preghiera ricorrente. La calligrafia diviene addirittura una forma
di rappresentazione figurativa. Con versi coranici si compongono figure di
animali, personaggi, piante e ogni altro oggetto di rappresentazione. La
calligrafia comunica un triplice messaggio: quello del significato (il versetto
coranico, l'hadit del profeta Maometto o il verso di una poesia mistica), quello
del significante (lo stile cufico o corsivo) e quello della figurazione (la
forma composta dalla scrittura). In questo senso il valore segnico della
calligrafia araba si trova agli antipodi rispetto alle sperimentazioni dell'arte
informale occidentale: qui un segno pazientemente meditato, una sovrabbondante
ipertestualità , là un segno istintivo, un'assenza totale di premeditazione.
Ancora oggi quest'arte antica si rinnova mantenendo intatti i presupposti di
partenza, come nella calligrafia di Lassad Methoui che talvolta sembra confinare
con le tag della cultura hip hop.
Un capitolo a parte della storia dell'arte è quello dell'arabesco - che è pure
segno -, della decorazione a intrecci geometrici o fitomorfi che in Occidente ha
il suo corrispettivo nelle grottesche di derivazione romana imperiale. I motivi
geometrici, composti dalla ripetizione di figure semplici, intrecciate o
sovrapposte, sono impiegati soprattutto nella produzione tessile (tappeti e
tessuti) e in quella ceramica. Oltre ai tralci vegetali e ai motivi zoomorfi,
anche la calligrafia è impiegata per comporre arabeschi. I motivi di sviluppo di
questo tipo di arte sono molteplici: il portato delle popolazioni nomadi con il
loro gusto per un'arte aniconica e decorativa e la proibizione di raffigurare
l'immagine divina e umana all'interno delle moschee, la meraviglia dei fulgidi
esempi di decorazione greco-romano-bizantina, ripresi poi dalle espressioni
artistiche delle popolazioni turche. Anche la storia dell'arabesco ha una sua
circolarità : parte dall'arte classica per raggiungere quell'islamica e ritorna
in Occidente influenzando molta arte romanica, gotica e rinascimentale. Per il
tramite della Spagna islamizzata, dei commerci di Venezia con l'Oriente e dei
semi saraceni lasciati nel Regno delle due Sicilie, l'Europa intera, dalle
Fiandre in giù, riceve costanti stimoli dalla cultura musulmana. Mentre il
pensiero speculativo islamico permea con i suoi trattati di astrologia, medicina
e matematica il mondo delle Scienze e delle Lettere, il piacere per i ricchi
tessuti d'Oriente si diffonde presso le corti. Oreficerie, tessuti e tappeti
continuano ad affluire. I nomi dei tessuti rimarranno nel vocabolario tessile
europeo: la mussolina (da Mossul), il baldacchino (da Baghdad), il damaschino
(da Damasco), il drappo d'Antiochia, il siglaton e il taffetà (prodotti in
Iran), il camocato (che dalla Cina raggiunge la Francia attraverso la Persia e
Cipro), il maramato, i dabicki d'Egitto, i veli alessandrini ecc...
Dove sono dunque le famigerate barriere tra Oriente e Occidente?
Inaugurazione: lunedì 9 Settembre alle ore 18.30
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