Galleria del Carbone
Ferrara
via del Carbone, 18/A
0532 761642 FAX 0532 761642
WEB
Luciano Longo
dal 29/10/2010 al 20/11/2010
lun - ven 17-20, sab e festivi 11-12.30 e 17-20

Segnalato da

Paolo Volta



approfondimenti

Luciano Longo
Laura Gavioli



 
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29/10/2010

Luciano Longo

Galleria del Carbone, Ferrara

Opere 1998 - 2010. L'artista dipinge con tempi lunghi e una tecnica meticolosa, ma oltremodo sintetica, dei soggetti scarni e isolati come possono essere un fiore, due cedri, qualche reperto antico.


comunicato stampa

L'arte si rafforza dei propri contrasti, che sono spesso delle contrapposizioni linguistiche.

In Italia ha conosciuto gli stimoli delle avanguardie così come il ritorno all'ordine, la grande figurazione e l'astrattismo, quindi le numerose espressioni del secondo dopoguerra, capaci di tenere vivo un dibattito culturale molto vivace e complesso. E noi conosciamo soltanto le linee principali del confronto, quello che si è svolto nelle grandi città e che ha avuto degli interpreti di alta levatura. Ma possiamo dire che questo è tutto? O non sarà che la provincia, in certi momenti, ha avuto una parte, seppure collaterale, minoritaria, estemporanea, nello svolgimento di ricerche e proposte legate alla produzione artistica nazionale? Una buona indagine sul '900 italiano, dentro la nostra amata provincia, potrebbe riservare delle sorprese, e non solo relativamente all'alto numero degli artisti e delle artiste che hanno svolto ricerche importanti e prodotto alti risultati, ma proprio per l'originalità della loro proposta, spesso perfino per l'unicità dell'essere, come nel caso di Antonio Ligabue.

Gli ultimi decenni, quelli che hanno portato la rivoluzione informatica, sono senza dubbio caratterizzati da una maggiore opportunità di adeguamento delle informazioni e degli standards di vita, tra nord e sud, tra città e periferia... E' una grande conquista anche se non andrà ad intaccare, spero ardentemente, le proprietà qualitative proprie della nostra provincia, quelle per esempio che hanno consentito ad un artista come Giorgio Morandi di realizzare una ricerca così meditativa ed intimista nella pittura, senza ansia di presenzialismo. Bologna, fino ai primi anni Sessanta, non era la città che vediamo oggi ma aveva le caratteristiche proprie della migliore provincia italiana e infatti Morandi non se ne allontanava quasi mai perchè nello studio di via Fondazza c'era la quiete necessaria e quelle sue bottiglie polverose, cioè tutto il mondo!
Dunque la provincia può essere una buona protezione per concentrarsi nel lavoro artistico quando si è sicuri delle proprie scelte e si cerca la pace che consente alle idee di progredire e alle opere di completarsi.

Luciano Longo è un giovane pittore, vive in un piccolo paese della Basilicata, ai margini di una delle riserve naturali più belle ed incontaminate, lungo quella estrema parte degli Appennini che si protende verso il Mediterraneo: il Parco del Pollino. Egli quindi è immerso in una vegetazione sublime e protettiva che consente una concentrazione totale e bene ossigenata. Non per caso egli dipinge con tempi lunghi e una tecnica meticolosa ma oltremodo sintetica, dei soggetti scarni e isolati come possono essere un fiore, due cedri, qualche reperto antico, che rimanda a quella straordinaria qualità e quantità di archeologie custodite nei musei di Metaponto e di Policoro, oltre che nel magnifico Museo Archeologico Nazionale di Potenza.

Conosco il suo lavoro dai primordi quando mi mostrava i suoi dipinti con umiltà e però anche con l'ansia evidente di voler raggiungere nuovi traguardi, di impadronirsi di uno stile, di confrontarsi con i grandi maestri del passato di ambito figurativo, le opere dei quali sono state esposte nelle diverse rassegne potentine negli ultimi anni. E Longo è uno dei giovani artisti lucani più attenti e sensibili a quel proposito, anche didattico, che ha caratterizzato le ricerche espositive sui realismi, perchè l'appassiona l'osservazione della natura e la scoperta di quei valori interpretativi della luce che sono per lui oggetto di curiosità e di stimolo. Da questo motivo nasce l'interesse tecnico per una pittura di raffinate velature, come nella tradizione Secentesca e Settecentesca della natura morta, fiamminga e spagnola, oltre che italiana, tenuto conto della lezione del grande Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779), per il quale la magistrale interpretazione del dato luce-ambiente ha consentito di individuare impalpabili valori espressivi e di trasmetterli a noi in enigmatiche e sospese composizioni. Secondo Eugenio Battisti, la pagina più appassionata scritta sulla natura morta, rimane quella dedicata da Edmond e Jules Goncourt alle “cose senza interesse” dipinte da Chardin: “Su uno di quei fondi sordi e confusi che egli sa velare tanto bene, e dove si confondono vagamente frescure di grotta e ombre di credenza, sopra una di quelle tavole dai toni di muschio con un marmo terroso, abituate a portare la sua firma, Chardin ha riversato piatti di frutta: ecco il velluto felpato della pesca, la trasparenza d'ambra dell'uva bianca, la brina zuccherosa della susina, la porpora umida delle fragole, i chicchi compatti con l'appannatura azzurrastra, le rughe e le verruche dell'arancia, il merletto in rilievo dei poponi, il rossore delle vecchie mele, i nodi della crosta del pane, la buccia liscia delle castagne, e perfino il legno della nocciola. Tutto è qui davanti a noi, nella luce e nell'aria, quasi a portata di mano”.
La luce dunque è l'elemento che tutto può svelare, o nascondere. E la natura morta, genere “senza qualità” dal significato essenzialmente domestico e profano, come l'hanno definita i massimi esperti, recupera un ruolo nella storia dell'arte, dagli affreschi di Pompei ad oggi, e conquista l'interesse anche degli artisti contemporanei.

Su questa linea della ricerca sono anche le opere di Longo degli ultimi anni, dipinti destinati ad un ciclo imminente di mostre e che potranno testimoniare, a noi e all'artista stesso, a quali risultati è approdato il suo lavoro.

In questo dorato isolamento, Longo ha dipinto negli ultimi dodici anni una serie di nature morte di straordinaria ricchezza e di notevole impegno compositivo, come la Natura morta palatina, 2000, oppure Monocrome, 2001; e L'ultimo Cotán, 2003: omaggio al grandissimo Juan Sanchéz Cotán (1561-1627) e ai suoi rari bodegones con melone e verdure varie, a volte appese al filo, verso il quale Luciano Longo esprime tutta la sua devozione citando in suo onore il melone aperto con tutta la sua ostentazione pregustativa.

Di questo stesso tempo sono diverse composizioni, pregevoli per la cura dei particolari e lo studio espressivo di una leggerezza perseguita ai massimi valori, tra natura e artificio. Tra gli altri si notano Ricordo barocco, 2005 e Melograni chiusi, 2006, dipinti che testimoniano una raccolta meditazione, come si addice a questo genere della pittura che propone, insieme con l'osservazione della caducità della “natura in posa”, una riflessione inevitabile sullo scorrere del tempo.

Nei lavori più recenti, abbandonate le sontuose composizioni della memoria classica e anche della volontà orgogliosa dell'artista di misurarsi con i grandi esempi dei maestri, Longo sembra incamminarsi per una direzione della ricerca più aggiornata alle istanze della contemporaneità, ancora prendendo spunto dalla natura, ad esempio i fiori bellissimi ma ricordando e recuperando anche il paesaggio, forse in modo stravagante, come in Sahara casalingo, 2007, oppure nella Natura morta con cineseria, 2007 o come nella Natura morta con vaso attico, 2009 dove i vasi con fiore sono composti sul tavolino davanti alla finestra oppure frontalmente sullo sfondo del cielo.

E' del 2008 un avvenimento inaspettato: deve dipingere due tele molto grandi per la cattedrale di Tursi (Matera) su committenza dell'Arcidiocesi. E' un'esperienza unica per l'appartato pittore di nature morte perchè deve progettare e realizzare, nell'arco dell'anno, due scene complesse con molti personaggi: Le nozze di Canaa e Il miracolo dei pani e dei pesci; ogni dipinto misura cm. 210 x 425 e naturalmente deve rispettare tutti gli aspetti della tradizione iconografica. Dopo un attimo di perplessità e di preoccupazione comincia subito la stesura dei disegni, che posso vedere per prima per non far mancare un incoraggiamento necessario. A Gennaio 2009 le opere sono finite e collocate sulle pareti della chiesa con solenne cerimonia (le precedenti erano state distrutte da un incendio); Longo può ritornare ai suoi oggetti, ai fiori delicati e caduchi, alla frutta fragrante.

Tra i lavori dell'ultimo anno compaiono alcune novità come L'intruso, 2009: una composizione con tulipano nel vaso sulla spiaggia notturna e un piccolo paguro, l'intruso appunto, che si è infilato nella vite di una lampadina rotta come per ricordarci le nostre responsabilità verso l'ambiente. E poi Vanitas, 2010, un dipinto tondo su tavola che rappresenta un elmo di guerriero corinzio come un portafiori nel paesaggio del deserto, e Mnemosyne, 2010, ancora un'opera su tavola dal contenuto misterioso: un vaso attico antropomorfo (la testa di una fanciulla), autentico reperto archeologico nel ruolo di natura silente.

Due nature morte nel paesaggio notturno attirano il nostro sguardo: Natura artificiosa e Artificio, 2010. Esempi di una condizione malinconica, crepuscolare dell'animo e, allo stesso tempo, forse più semplicemente, desiderio di misurarsi con aspetti particolari della luce: sempre la natura morta in primo piano, illuminata, e sullo sfondo una bucolica apertura verso il mare e il bosco. Ancora luce e ombra, interno-esterno.
Longo da ragazzo ha praticato il restauro dei dipinti antichi e questa attività ha segnato la sua scelta di vita, oggi molto impegnativa e controcorrente: lunghi tempi di meditazione e di stesure, con le mèstiche leggere che devono asciugare... quindi produzione limitata di opere.
Ma questa condizione non lo preoccupa, anzi, da tempo, ha fatto coincidere la pittura con la vita e, se la vita stimola il suo sguardo curioso, allora si realizza la pittura, in una perfetta circolarità!

Egli conosce lo sguardo complesso: da una parte l'atto di vedere e percepire gli stimoli luminosi, quindi l'aspetto scientifico, ottico; dall'altro la visione propria dell'artista, immagine interna della coscienza che si esprime formativamente nella originale struttura sensibile dell'opera d'arte.
Di recente una leggera inquietudine, forse un piccolo mistero si è insinuato tra i vasi greco-italici del pittore lucano il quale si identifica da un lato con la storia e l'arte della sua terra, e si compiace di tanta ricchezza e della fresca natura; dall'altro gode dell'immensa libertà visionaria che intercorre tra sé e il piano della tavola o della tela sulla quale lavora con la lentezza dei suoi maestri antichi, giorno dopo giorno...
Luglio 2010 Laura Gavioli

Galleria del Carbone
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