L'Idioma
Ascoli Piceno
via delle Torri, 23
0736 254740 FAX

Agata Bulla
dal 26/11/2010 al 14/12/2010
feriali 18-20, festivi 10.30-12

Segnalato da

Augusto Piccioni



approfondimenti

Agata Bulla
Alberto Agazzani



 
calendario eventi  :: 




26/11/2010

Agata Bulla

L'Idioma, Ascoli Piceno

Persistente immanenza. Nelle tele dell'artista si ritrova un'attenzione quasi ossessiva verso la natura e le sue forme, verso i suoi colori puri e verso la reinvenzione di una pittura piu' lirica che epica.


comunicato stampa

La persistenza mentale di un'immagine è proporzionale alla quantità di espressività che contiene. La persistenza retinica di un'immagine è proporzionale alla forza della sua riconoscibilità. Quando le due persistenze si ritrovano, equilibratamente armonizzate, in una stessa immagine si ha un'opera d'arte autenticamente tale. Il passaggio sembra pleonastico, ma, come spesso accade in una modernità relativista e priva di riferimenti valoriali riconosciuti, è proprio nell'apparente ovvietà che si cela la chiave di volta di una questione. La pittura di questa modernità terminale nella quale siamo condannati a vivere si compiace di un sapere che s'alimenta con i brandelli, con i frammenti di quel corpus universalis che per secoli ha retto la grande tradizione iconografica occidentale. Impossibilitati a possedere tale corpus nella sua difficile interezza, i nonni dei nostri eroi di celluloide, i protagonisti della scena artistico d'oggidì, hanno cominciato a smembrarlo, spartendosene ogni brandello. “Taluno si appropria di uno dei suoi materiali, il telaio, la tela, il pigmento, la vernice e pretende di fare un'opera con uno solo di quegli elementi, talaltro riduce il mestiere all'abilità di un gesto che ingigantisce in maniera mostruosa, oppure si appropria della teoria, o piuttosto ne rabbercia alla meglio i frammenti per costruirne a caso un mostro di carta; altri, infine, esalta unicamente il proprio potere di stupire”. (1) Stupore inteso anche come scandalo, provocazione, gratuito dileggio, quando non scaltra e pelosa citazione, alimentata da un'ignoranza sempre più diffusa e sempre più compiaciuta di sé stessa.

Jean Clair non poteva immaginare nel 1983, al tempo della sua Critica della modernità, quali temibili demoni si sarebbero materializzati dalle sue lucide considerazioni e quali terribili conseguenze avrebbero esse generate. La pittura all'alba del terzo millennio è infarcita di sterile autoreferenzialità, incapace nella stragrande maggioranza dei casi di celebrare solo sé stessa e, nel migliore dei casi, l'ombra ormai stinta di grandezze opportunisticamente dimenticate. La pittura del terzo millennio ha un eccellente, superficiale aspetto. Così come smaglianti appaiono le manifestazioni che la ospitano, espongono, celebrano: fiere, Biennali, Quadriennali, Musei e Fondazioni pullulano di quadri e sedicenti pittori. Mai si è assistito ad un tale numero di pubblicazioni, e che pubblicazioni!, dedicate alla pittura. E mai, nemmeno negli anni '80 che Clair evoca tragicamente, si è assistito ad una tale noia, ad una tale inutilità, ad tale vuoto. Il vuoto, ancorché ben vestito, pare dominare il nostro tempo. Dai sepolcri imbiancati, splendenti fuori ma all'interno pieni di corpi putrescenti, si è passati al cenotafio, al monumento splendente fuori e vuoto al suo interno, un vero e proprio monumento al Nulla. Sorgono musei dalle forme impressionanti, affidati alle più altisonanti “archistar” del momento, ma che al loro interno custodiscono ed espongono il Nulla assoluto o, nel migliore dei casi, i frammenti o le brutte ombre (quando non i cadaveri ancora putrescenti) di un'arte che fu. Per non dire della pletorica abbondanza di mostre senza senso e senza utilità, di artisti, sempre i soliti condannati in certi casi ad un'eterna novità, senza colpe né meriti, rese possibili dalla complicità interessata di curatori e galleristi il cui unico scopo nella vita (e interesse per l'arte) è quello di ottenere denaro, fama e potere, magari strappandoselo a vicenda in un gioco al parassitismo ed una gara all'opportunismo indegno anche del più basso degli imperi. I valori sono pervertiti e l'unica espressività possibile è rappresentata dal denaro, dalla fama, dal potere. La forma e la provocazione trionfano su qualunque barlume d'espressività.

E' il trionfo della sola, effimera persistenza retinica. Quindi del Nulla.

Agata Bulla appartiene ad una significativa generazione di pittori che ha conosciuto molto da vicino le drammatiche questioni sin qui sollevate. E se non proprio direttamente (nonostante il suo curriculum vanti un'attività espositiva evidentemente ragguardevole), Bulla deve aver sentito forte su di sé la pressione di un sistema tanto interessato alle vuote necessità dell'imminenza quanto lontano dai ben più complessi valori dell'Immanenza. Il suo percorso artistico, che è percorso d'espressività quindi di vita, ne è la riprova più evidente. Nella sua formazione, è più ancora nella definizione di quella che possiamo iniziare a chiamare “prima maturità”, il vivere in Sicilia, in una terra, cioè, ricca di tradizione ma storicamente (e fieramente) isolata, ha costituito finalmente una salvezza. Bulla muove ufficialmente i propri primi passi espressivi da quella straordinaria scuola che è (stata?) l'Accademia di Belle Arti di Catania, alla quale si devono molti dei più interessanti giovani talenti della scena artistica siciliana (e quindi nazionale), sotto la guida di Salvo Russo, insieme tra i più immaginifici, colti e rigorosi pittori italiani del nostro tempo. Da Russo Bulla ha evidentemente assimilato l'amore per le Bellezza ed il senso illimitato della Libertà espressiva, prima ancora che uno stile propriamente detto. Bellezza intesa come complesso sistema di valori, in rapporto stretto ma non vincolante con la tradizione, che infatti ella rinnova con delicato ma inquieto vigore, allontanandosi sempre più dalle iniziali (ed inevitabili) suggestioni espressive dell'illustre maestro. La necessità impellente di inventarsi di un proprio mondo, sempre più lontano dalle solari creazioni neobarocche degli albori, la porta ad un'attenzione quasi ossessiva verso la Natura e le sue paniche forme, ai suoi colori puri, alla reinvenzione di una pittura più di lirica impressione che di epica visione.

Caso più unico che raro nella pittura italiana contemporanea, Bulla riscopre il piacere di un'immagine quasi impressionista, che non si consuma dunque al primo sguardo, ma che utilizza l'arma sottile della seduzione per svelarsi. Non esiste, dunque, nella sua pittura il bisogno di stupire e rapire al primo sguardo, tutt'altro. Piuttosto il desiderio di svelarsi lentamente, nel tempo e nella luce: quello stesso tempo e quelle stesse luci che ella aspetta, coltiva, cattura e, finalmente, fissa sulla tela attraverso colori decisi ma mai invadenti e, soprattutto, un uso della materia pittorica e della pennellata grassa lontano dalla gratuita strumentalità di tanta pittura d'effetto. Ecco, dunque, che la persistenza mentale s'insinua e cresce in immagini che non si donano gratuitamente all'osservatore e, nel contempo, generano la persistenza retinica di una conquista visiva destinata a trasformarsi in un'esperienza emotiva assolutamente unica e personale. In ciò sta il valore dell'esperienza pittorica di Agata Bulla; un'esperienza che dall'empireo dell'espressività si tramuta in immagine dipinta e da qui in esperienza visiva senza ritorno, come in un enigma figurato la cui soluzione è abilmente celata in segni e grumi di colore, in luci che vivono con la nostra vita e con essa prendono a loro volta mobile espressione riservata a chi si può concedere il lusso di vedere oltre l'apparenza del visibile.
Alberto Agazzani

1) Clair Jean, Critica della modernità. Considerazioni sullo stato delle Belle Arti, Torino 1983

Inaugurazione 27 novembre ore 18

L’IDIOMA Centro d’Arte
Via delle Torri, 23 - Ascoli Piceno
Orari: feriali: 18 – 20, festivi: 10,30 – 12
ingresso libero

IN ARCHIVIO [41]
Omar Galliani
dal 17/1/2014 al 1/3/2014

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede