Warehouse
San Nicolo' (TE)
via Giulio Canzanese, 51
0861 232189
WEB
Anja Puntari / Raffaella Crispino / Alessandro Gabini
dal 15/12/2010 al 28/1/2011
Mart e Merc 15:30-19:30, Giov, Ven e Sab 10:30-13:30, 15:30-19:30

Segnalato da

Warehouse




 
calendario eventi  :: 




15/12/2010

Anja Puntari / Raffaella Crispino / Alessandro Gabini

Warehouse, San Nicolo' (TE)

Negli spazi Mono room + Main gallery, Anja Puntari presenta 'Cosi' lontano, cosi' vicino', con due lavori: Oblazione e Naidaan; Underworld, e' la personale di Raffaella Crispino pensata a partire da una foto, Untitled #1 (2009), immagine sfocata di un uomo sul ciglio di una strada; nella Project Room il progetto di Alessandro Gabini, The Atrocity Exhibition, che ruota attorno a Fontana, scultura robotica di un uomo, realizzato in cartone.


comunicato stampa

a cura di Francesca Referza

ANJA PUNTARI
Così lontano, così vicino
Mono room + Main gallery, Warehouse Contemporary Art, Teramo

Giovedì 16 dicembre 2010 Warehouse Contemporary Art presenta Così lontano, così vicino, una mostra personale di Anja Puntari (Germania, 1979) a cura di Francesca Referza. Il progetto presentato dall’artista finlandese alla Warehouse di Teramo ruota, tecnicamente attorno al disegno. Profili mossi e incerti di uomini e donne occhieggiano da una parete all’altra degli spazi della galleria, su diversi supporti: tela, video e carta da parati. Tematicamente i lavori in mostra, Oblazione e Naidaan, fanno riferimento a due mondi apparentemente distanti l’uno dall’altro eppure uniti da un sentire comune. Oblazione sono 8 disegni animati che alludono alla condizione della vittima. Il termine ‘oblazione’ viene dal latino ed indica un’offerta e in effetti i volti disegnati e mossi come se fossero sott’acqua, sembrano chiedere l’offerta di un aiuto a chi guarda. Recuperando sulla carta stampata le immagini di notizie relative ad eventi tragici accadute in diverse parti del mondo, Anja Puntari ha isolato varie scene, spesso affollate, che diventano una silenziosa galleria del dolore fatta di volti sgomenti e rassegnati, dignitosamente persi nel vuoto del bianco su cui sono disegnati. Anche i volti di Naidaan in fondo sono delle vittime. Si tratta di primissimi piani di donne, i cui gesti, cancellati eppure intuibili, sono tratti da scene di fellatio di film amatoriali in cui l'intimità è quella di una casa comune. A ben guardare – precisa l’artista - il rapporto tra carnefice e vittima è molto sottile e da un momento all’altro il ruolo si può invertire.

Naidaan, che provocatoriamente in finlandese significa sposarsi in lingua aulica e scopare in lingua volgare, occupa in una versione piuttosto intima due opposte pareti della mono room e, in scala maggiore, un’intera parete della main. In Naidaan – spiega l’artista - il limite tra chi comanda e chi è comandato è sottile: la Lei della scena è sottomessa in una, spesso violenta, scena pornografica, ma disegnata su uno sfondo di carta da parati, che è il simbolo della dimensione femminile di casa, ma anche della perversione che l’immagine sottende. Per la mostra alla Warehouse ho in mente di realizzare alcune versioni di Naidaan di maggiori dimensioni, ottenute con una pittura sottile stesa su stoffe di casa (lenzuola, tende e coperte). Dunque l’intimità di una casa che nella mono room è evocata da luci soffuse e da due diversi tipi di carta da parati, nella main gallery passa attraverso stoffe domestiche, solitamente neutre e private, come le lenzuola e le tende. I volti di Naidaan in questo caso assumono le dimensioni di un manifesto pubblico. Le immagini che contengono, pur essendo potenzialmente oltraggiose rispetto all’idea del matrimonio tradizionalmente inteso, sembrano diluite nel vuoto del tessuto e dunque da molto vicine, come appaiono nella mono room, diventano paradossalmente molto lontane e quindi, come sottoposte ad una lente di ingrandimento, meno riconoscibili.

Così lontano, così vicino è la traduzione italiana di In weiter Ferne, so nah!, un film diretto da Wim Wenders nel 1993, sei anni dopo Il cielo sopra Berlino. Il titolo allude al punto di vista del protagonista Cassel che da angelo, che guarda il mondo dall’alto, si trasforma in Karl Engel passando così da una visione in bianco e nero ad una a colori molto prossima a tutta quella umanità che prima appariva lontana. Il punto di vista di Anja Puntari sul mondo in cui vive è, a mio avviso, come quello dell’angelo Cassel, allo stesso tempo lontano e vicino. Lei stessa dichiara - Nel mio lavoro mi interessano le persone e le immagini e il rapporto tra i due. Sono un’artista audio-visiva che basa il lavoro su materiale già esistenti. Sono interessata a tematiche sociali come la visibilità / invisibilità della persona nella società contemporanea e come il tabù sociale è costruito e percepito attraverso immagini e suoni. I suoi soggetti, quasi sempre scelti attraverso il filtro di un media (giornali, televisione, film, web), apparentemente risultano essere freddi e distanti. Poi, come per effetto di un close-up selettivo messo in atto dallo sguardo dell’artista, Anja Puntari passa dal generale al particolare e dal lontano al vicino. La messa a fuoco su temi di carattere sociale o di interesse collettivo, tuttavia, non ha mai una connotazione emozionale. Il lavoro di Anja Puntari, le cui tematiche sembrano avere un sapore familiare, attraverso la scomposizione analitica a cui l’artista sottopone il materiale che le interessa, tende ad avere una connotazione scientifica. Dunque lo sguardo dell’artista sulla società contemporanea è al contempo vicino e lontano, come dimostra la studiata formula installativa con cui ha deciso di presentare Naidaan alla Warehouse.

Anja Puntari (Germania, 1979) vive e lavora a Milano.

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RAFFAELLA CRISPINO
Underworld
Main gallery

Giovedì 16 dicembre 2010 Warehouse Contemporary Art presenta Underworld, una mostra personale di Raffaella Crispino (Napoli, 1979) a cura di Francesca Referza. La mostra di Raffaella Crispino alla Warehouse di Teramo è stata pensata da curatrice e artista a partire da una foto, Untitled #1 (2009). Si tratta dellʼimmagine piuttosto sfocata di un uomo prono a terra sul ciglio di una strada asfaltata, la cui testa scompare alla vista, inghiottita da un buco che risulta quasi invisibile. Da qui lʼidea di Underworld, titolo, tra gli altri di uno straordinario romanzo dellʼitalo americano Don DeLillo. Quello proposto da Raffaella Crispino in Underworld attraverso due fotografie, 24 disegni e un video, sembra proprio un sottomondo, lunare, rarefatto, filtrato comʼè dagli occhi dellʼartista, napoletana di nascita, ma cosmopolita nel DNA. In effetti si tratta di lavori che Raffaella Crispino ha realizzato in due paesi, Giappone e Israele, in cui è stata invitata in residenza tra il 2009 e il 2010. Scattata a Kitakyushu in Giappone, lʼimmagine dellʼomino la cui testa si immerge in un vuoto e scompare è dunque il punto di partenza di questo viaggio da fermi in un mondo apparentemente invisibile, ma che in effetti è a portata di sguardo.

Raffaella Crispino sembra avere in Underworld uno sguardo distante. La distanza geografica, ma soprattutto emotiva documentata dallʼartista attraverso foto, video e disegni, tuttavia, non annulla, ma semmai accentua, il suo giudizio su ciò che la circonda. La capacità di isolare, distanziare, dilatare, aggiunge, invece che eliminare, stratificazioni di senso. Nel caso delle foto, lʼeffetto estraniante è dato da un particolare tipo di macchina fotografica analogica, completamente di plastica, prodotta negli anni Sessanta da unʼazienda di Hong Kong, la “Great Wall Plastic Company”. Il nome con cui è conosciuta questa macchinetta-giocattolo è Lomo Diana+. Tale macchina fotografica, per via di una lente plastica di bassa qualità, produce immagini con delle sfocature che producono esiti visivi tanto imprevedibili quanto interessanti.

Da Untitled #1 ad Untitled #2, immagine della periferia di Kitakyushu in cui 4 torri di cemento dominano un orizzonte desolato. La stessa immagine ritorna in Suburbia, un video del 2009 realizzato da Raffaella Crispino durante la sua permanenza in Giappone presso il Center for Contemporary Art di Kitakyushu. Se il romanzo di DeLillo attraverso una divisione in sei blocchi narrativi procede a ritroso dagli anni Novanta agli anni Cinquanta, Suburbia è diviso in cinque capitoli, crane, space world, one legged man e modern samurai, del tutto privi di narrazione. Suburbia - spiega lʼartista - è un lavoro sulla violenza latente della periferia di Kitakyushu. Nel video la musica dei centri commerciali e degli arcades fa da sottofondo sonoro ad un paesaggio costruito in modo brutale. Mischiando tradizione, memoria e simboli, le immagini rivelano la manipolazione della società.

Dal lontano Giappone al più vicino Israele con una installazione appositamente studiata per mostrare 24 Senza titolo, disegni a matita su carta. Si tratta di una serie di disegni, 23 x 22 cm, che documentano gli oggetti portati con sé dai lavoratori palestinesi dopo una giornata di lavoro in Israele. Questi oggetti passano insieme ai palestinesi attraverso i tornelli di metallo dei numerosi check point esistenti tra Palestina ed Israele ed è proprio il loro ingombro ad avere colpito lʼartista tanto che, su ogni disegno, in basso, vengono indicate le dimensioni reali di ciascun oggetto. Mostrati in occasione della project room del Madre di Napoli curata dal duo Rispoli/Viola e da Mayaan Sheleff, i disegni per Warehouse vengono presentati in una differente formula espositiva che si adatta alle dimensioni dilatate dello spazio della main. I 24 disegni infatti vengono esposti su un tavolo da disegno disposti su tre file e come sospesi in assenza di gravità perché non poggiano sulla superficie, ma piuttosto sembrano galleggiare grazie a semplici spilli che li separano ordinatamente lʼuno dallʼaltro e li distanziano dal tavolo. Contribuisce a dare questa impressione di sospensione, la luce di tre lampade da tavolo che li illuminano in modo intimo, lasciando qua e là qualche zona dʼombra.

Raffaella Crispino (Napoli, 1979) vive e lavora a Napoli

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ALESSANDRO GABINI
The Atrocity Exhibition
Project Room

Giovedì 16 dicembre 2010 Warehouse Contemporary Art presenta, negli spazi della project room, The Atrocity Exhibition, una mostra personale di Alessandro Gabini (Pescara, 1976) a cura di Francesca Referza. Il progetto allestitivo pensato dallʼartista e musicista pescarese per la project room della Warehouse ruota attorno a Fontana, scultura stilizzata e piuttosto robotica di un uomo, realizzato in cartone, che vomita acqua nera dʼinchiostro, e a cinque disegni a china 70x100 cm affollati di personaggi, animali e oggetti aggrovigliati lʼun lʼaltro a formare cinque grandi spirali tematiche: la storia, gli accoppiamenti, le religioni, la dialettica case/alberi e la catena alimentare. La scultura di Gabini, pur essendo precaria e fragile, perché interamente realizzata in cartone, apparentemente ha la consistenza solida di una scultura in marmo, per via del colore rosa dellʼevidenziatore, con il quale lʼartista ha pazientemente ricoperto tutta la superficie. Se la sagoma antropomorfa di Fontana ricorda da vicino le note sculture di Anthony Gormley o di Stephan Balkenhol, lʼazione che compie la avvicina alle provocazioni di Martin Creed che nel suo Sick Film, documenta 19 persone che vomitano davanti alla telecamera. The Atrocity Exhibition è un romanzo del 1970 di James Graham Ballard composto da 15 racconti in cui si mescolano diverse ossessioni del visionario scrittore inglese, come la guerra del Vietnam, la psicopatologia, la pornografia, il potere dei media, le vittime di incidenti stradali e le icone del sogno americano. Il libro di Ballard si apre così: Apocalisse.

La mostra di questʼanno, alla quale i pazienti non erano stati invitati, aveva un segno inquietante: tutti i quadri insistevano sul tema della catastrofe planetaria, come se questi pazienti, così a lungo segregati, avessero avvertito nelle menti dei dottori e delle infermiere una specie di sconvolgimento sismico. Atrocity Exhibition è anche il titolo della prima traccia del secondo ed ultimo disco dei Joy Division, pubblicato nel 1980 dopo il suicidio del cantante Ian Curtis. La band inglese dagli umori post punk, dedica dunque al capolavoro di Ballard una traccia dalle sonorità dark che è la somma di batteria, chitarra e invadenti tracce di diversi tipi di rumore.

La critica, che in The Atrocity Exhibition Alessandro Gabini muove alla società dellʼuomo, senza tuttavia far mai venir meno la sua ironia leggera, è quella di aver prodotto, nel tempo, una involuzione capace di produrre scenari grotteschi e patetici, degni della migliore scrittura di fantascienza. Come in una dantesca voragine infernale, ciascuna spirale conduce lo sguardo in un loop di segni che prospettano mondi onirico–surreali, tanto assurdi quanto possibili.

Dopo aver usato spesso lʼimmagine del cane, sorta di firma dellʼeccentrico artista/musicista pescarese che ha intitolato Cane anche il suo primo album da solista con lo pseudonimo di GABEN, Alessandro Gabini per la mostra alla Warehouse per la prima volta passa allʼuomo. Realizzato ancora in cartone, stavolta colorato di rosa, invece che di nero, Fontana ha un volume sfaccettato come il carattere del protagonista del romanzo ballardiano dai molti nomi, tutti accomuni nati dalla T (Travis, Talbot, Traven, Tallis, Talbert, Travers), ma ha anche la forza centripeta dellʼAutoritratto in bronzo ideato da Alighiero Boetti nel 1993. Fontana è in effetti il perno concettuale e fisico attorno al quale si muove tutta la project room.

Per la mostra lʼartista/musicista ha anche immaginato una performance sonora di Andrea Moscianese, prima chitarra e poi voce dei Giuliodorme di cui lo stesso Gabini ha fatto parte come bassista dal 1995 al 1997. La performance - ha dichiarato Alessandro Gabini - riprodurrà suoni di cibo masticato, del grugnito di maiali, del razzolare di galline e del muggire delle mucche da allevamento, suoni industriali e alimentari insieme. Io sarò affianco al performer e mangerò patatine. Il pavimento della project room, completamente coperto di varie granaglie, aggiungerà, sia a livello visivo che sonoro, attraverso il rumore causato dal calpestio del pubblico, lʼeffetto estraniante di trovarsi in una di gabbia per animali da cortile.

Alessandro Gabini (Pescara, 1976) vive e lavora tra Pescara e Roma.

Immagine: Anja Puntari

Inaugurazione 16 dicembre 2010, ore 19

Mono room + Main gallery, Warehouse Contemporary Art, Teramo
via Giulio C. Canzanese, 51 64020 San Nicolò (TE)
Orraio: Martedì e Mercoledì 15:30-19:30
Giovedì, Venerdì e Sabato 10:30-13:30 15:30-19:30
ingresso libero

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