BT'F Gallery
Bologna
via Castiglione, 35
340 2529265 FAX
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Massimiliano Pelletti
dal 1/4/2011 al 26/4/2011
lun-ven dalle 16:00 alle 19:00 o su appuntamento

Segnalato da

Marco Aion Mangani



approfondimenti

Massimiliano Pelletti



 
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1/4/2011

Massimiliano Pelletti

BT'F Gallery, Bologna

Quando e' buio si sta in casa. Sculture in marmo, fedeli riproduzioni di organi interni, fusioni in bronzo di vecchi cappelli di lana sono testimenianze di una poetica caustica e vesionaria.


comunicato stampa

Comincerò con un postulato, in seguito una domanda cercherà di stabilire le regole applicative dello stesso entro i margini dialogici qui richiesti. Tutto ciò si dovrebbe intendere come una premessa a quello che infine sarà l'adeguamento delle nozioni così determinate nei confronti dell'opera di Massimiliano Pelletti. Postulato: tutta l'arte opera su un piano simbolico. Oggetto e risultato della Creazione è quell'unico livello della realtà in cui non è più possibile separazione alcuna. Qui ciò che è dato come origine (dato da simbolizzare) è al contempo anche il risultato finale (simbolo). I due termini (simbolo e simbolizzato) dialogano tra loro in un'osmosi continuativa in cui quello che è, la dimostrazione tangibile simboleggiante, è al contempo anche la sua negazione (l'origine ri-definita e simbolizzata). Questo tipo di realtà è diverso e qualitativamente superiore a quello più basso, materialistico - funzionale comunemente inteso. È superiore poiché illimitato. In questo tipo di realtà, tutto artistico e tutto umano, le cose sono quello che sono, per così dire, a livello archetipico: l' Uno, l'assoluto. È necessaria materia degli artisti maturare il coraggio. Poiché scegliere di non potere, seppure quando lascito di un principio di volontà, fa paura. Ove cessa il controllo finisce l'arbitrio delle possibilità funzionali, lì dove “controllo” è retaggio della moderna pedagogia economica. Domanda: dove si colloca la linea di separazione tra la vita è la morte? Cosa ci separa dalla morte? Perché qualcosa lo fa, qualcosa relega diritti e doveri, strutture e modalità alla vita che alla morte non sembrano concesse e viceversa. Qualcosa stabilisce, differenzia, separa.

L'uomo, un po' come nel processo di sviluppo dell'individuo così in quello della sua specie, nel suo cammino evolutivo ha sempre di più stabilito confini: tra sé e le cose del mondo, la natura, Dio...finanche i pensieri di un certo tipo, le emozioni. Tutto è altro, ogni cosa è differente dalla precedente. Perché? Perché è così che la cosa diventa socialmente reale e, in ultima istanza, funzionale. Qualsiasi cosa si venga a definire la rende oggettivamente reale e soggettivamente immaginaria; valevole quindi della possibilità (o meno) di essere posseduta, controllata. In che senso è immaginaria? Nella definizione stessa, in quel momento della separazione in cui il disgiunto diviene altro, l'immaginario è quanto esterno, quanto alieno, non conosciuto, nel senso in cui è diversa da chi determina, è l'alterità assoluta, la cesura. Niente di strano, dunque, pensare a quanto sforzo l'uomo abbia e stia dedicando al processo di definizione. La definizione è necessaria alla società perché ne stabilisce i valori, le norme di consumo, rafforzandone la coesione e garantendone così la stabilità e la durata dei privilegi a tempo indeterminato. Al tempo stesso è artefice del valore immaginario soggettivo che ne stanzia l'utilizzo o il rifiuto a discrezione. Esiste però, in qualche maniera, una stretta connessione tra determinare e negare. Se determinare qualcosa, socialmente, significa condurre il dato al valore oggettivo di realtà, significa donare alla comunità un termine di consumo e di libertà è anche vero che con chi separa, voglia e possa, se del caso, dichiarare la non appartenenza al dato stabilito. Determinare è un'operazione tutta moderna, dicevamo, tutta civilizzata. Distinguere significa innanzitutto rendere reale e utilizzare. E' un'operazione dedita all'acquisizione di un unico potere: quello del controllo. Per questo è conveniente, perché, fino a prova contraria (e cioè fino a quando non si diventa casomai giudicati o non si abdichi questa presunzione regia alle leggi della natura) questo è ciò che fa chi possiede, chi determina le qualità del possibile referente (e quindi, in ultima istanza, il suo grado di realtà oggettiva) per le proprie necessità soggettive. Se io invento la parola “mano” determino un patto di reciprocità tra l'oggetto mano (arto), la mia mano (possesso) e la mia mano come un arto qualunque.

Stabilisco tre cose: oggettività, soggettività e possibilità o meno di possesso. Le Tre Sedie di Kosut parlano di questo: La definizione, estratta da un vocabolario, del termine “sedia” (oggettivazione), la fotografia di una sedia (soggettivazione) e la sedia fisica (possibilità) sono, tutte assieme, un discorso sull'omologazione tautologica in cui i termini, diversamente formali, vantano del medesimo valore di realtà. Più semplicemente è come dire, appunto, sono tre sedie. Quello che però forse è ancora più intrigante è che con questo procedimento l'artista ha posto l'accento su un altro tipo discorso: in quale senso la sedia è reale? Nell'unico modo possibile. Nella sua, cioè, seppure eterogenea, definizione: codice dialettico (oggettivo), rappresentazione formale (soggettivo) o presenza fisica (possibilità di possesso) che sia. Ma arriviamo al dunque: “Quando è buio si sta in casa” e il suo Autore. Irriverente, sagace, caustica, crepuscolare ma anche profondamente “classica”, per quell'accezione, così intesa nel termine, che indica un alto controllo della resa formale di un'opera tale da “definire con essa generi e modelli”. E ancora organica, fisiologica, razionale, visionaria...la poetica di Massimiliano Pelletti è tutto questo e anche di più. Qualcosa di perennemente in fuga è presente in ognuno di questi lavori. Un'entità di precipuo movimento anche quando, se interrotto, è abbandonato alla stasi di un nostalgico errare perduto (Broken Horse, 2009) o che dall'informe conduce alla consumazione stessa della forma (1522, 2010).

“Quando è buio si sta in casa” non è solo la mostra qui presentata, un insieme di oggetti , di cose, solo in parte sufficienti a raccontare della totale ed eterogenea (soprattutto nei termini linguistico - formali) produzione dell'artista: la mirabile perizia tecnica delle sculture in marmo, fedeli riproduzioni di organi interni (Untitled, (heart), 2010 o Untitled, (stomach), 2010), fusioni in bronzo di vecchi cappelli di lana resi vacuo sembiante d'orrore (fuori) e demonico smile (dentro), come due inesorabili facce della stessa medaglia (David headless, 2011) o quel moderno Vaso di Pandora la cui entrata divelta, qui dunque dal contenuto già liberato, è piantonata da sedicenti mosche-sentinelle (Untitled “Hole”, 2011) E ancora: giocattoli scampati al tempo e condannati a una nuova vita di perpetua consumazione (Allo “Esso è” viene data una rappresentazione allucinata, 2011). Tutto quanto è detto qui dall'artista riconduce a quell'operazione di cesura e congiunzione che da un lato determina e non vuole determinare, dall'altro. Stabilisce una presa di posizione forte nei confronti della caducità. Lì dove la presunta evoluzione civilizzante relega i morti al di fuori della cerchia sociale, in un illusorio tentativo di scardinarne le qualità terrificanti Pelletti ha il coraggio di annullare questa separazione e lo fa con coraggio, con una saggezza dell'ironia e una rara, sottile mestizia. All'ombra della certezza di una fine ineluttabile, egli dice, la cosa più sensata da fare è “restare chiusi in casa”. Ennesima provocazione o mero consiglio? Non vale la pena scegliere ora una qualsiasi delle due possibilità. A ognuno rimanga come compito, innanzitutto verso se stessi. Qualcuno qui conosce bene cosa significa coraggio. Per chi la pensa altrimenti non resterà che accontentarsi di vedere solo una bella mostra.

Immagine: David headless 2011 Fusione in bronzo di passamontagna in lana patinata con ossidi di fegato
 Misure: 33 x 24 x 28 cm

BT'F Gallery
via Castiglione, 35 - Bologna
orari lun-ven dalle 16:00 alle 19:00 o su appuntamento
ingresso libero

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