Fotografie di Davide Carrari. (...) immagini, che sono, nel complesso, credo (nuovamente), un viaggio nel tempo, più che nello spazio, nella dimensione temporale che supera l¹aggancio al 'qui e ora'. E la visione allora non è una 'visione del mondo' ma una visione 'ai confini del mondo', uno sguardo che pare 'vedere per la prima volta' (...) (Bruno Boveri).
Fotografie di DAVIDE CARRARI
La prima reazione, davanti a queste immagini di Davide Carrari, è quella di
andare a cercare rimandi e radici, incanalare le reazioni in direzioni
sentimentali e oltre-la-visione in senso stretto, accettarle e catalogarle
sotto canoni estetici, ridare loro realtà e comprensione grazie a
etichettature conosciute, vederle e guardarle per ciò che ricordano o per
quello che evocano. E sarebbe sbagliato, riduttivo, ingiusto.
E allora, il primo che dice 'immagini oniriche', giuro, lo picchio.
Se qualcuno dice 'visione metaforica', stessa fine.
Stessa cosa per 'trasfigurazione pittorialista' o 'lirismo poetico'.
Non si accettano altresì giochini verbali, voli pindarici, arzigogoli
sentimentali, cortine fumogene e involuzioni romantiche.
L¹unica è fare 'tabula rasa' dei vari trucchetti da mestierante, eliminare
riferimenti e non abbellire con citazioni ricercate.
E allora, io per primo, cancello il nome del pittore Caspar David Friedrich
(la figura stagliata sull¹infinito), stessa fine faccio fare a Timothy
O¹Sullivan e alla sua 'Tufa Domes, Pyramid Lake' (rocce e promontori
sull¹acqua) e a certi paesaggisti giapponesi più recenti, per cercare di
arrivare ad una sorta di 'grado zero' della visione, non condizionata da
presupposti e riferimenti ad 'altro'.
Solo così, credo, si può cogliere il nucleo centrale di queste immagini, che
sono, nel complesso, credo (nuovamente), un viaggio nel tempo, più che nello
spazio, nella dimensione temporale che supera l¹aggancio al 'qui e ora'. E
la visione allora non è una 'visione del mondo' ma una visione 'ai confini
del mondo', uno sguardo che pare 'vedere per la prima volta', collocando
questa 'finis terrae' al di fuori (o agli inizi) della storia, piuttosto che
volerla debitrice di una qualche teoria estetica.
Così si afferra la
ricognizione, quasi 'stupita', degli oggetti (alberi e rocce) e delle
atmosfere, così si comprende la nebulosità di fondo, più pre-adamita o
post-umana che pittorialista, più frutto di un qualche 'spirito del tempo'
che occhiuta riflessione. Che poi lo sguardo stupito e 'ingenuo' possa
essere raffinato ed eloquente, che il paesaggio assuma forza e valenze
evocative, che l¹immediatezza non sia scevra di rigore e intensità , sembrano
più conseguenze (o doti) naturali che presupposti cervellotici.
Restano, e primeggiano, evidenti, la forza fisica delle cose e il respiro
aperto degli spazi.
Bruno Boveri
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