Personale. A Tomasinelli interessano le conseguenze che guardare l'opera d'arte ha per i visitatori. Un percorso linguistico autonomo e seguito d'istinto viene riprodotto quasi 'surrealisticamente', prende forma in una sorta di scrittura automatica pensata e scorrevole, ma praticamente indecifrabile. (Adolf Loos)
L’essenza dell’immagine e del linguaggio
di Alessandro Trabucco
Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può discorrere, si deve tacere.
Ludwig Wittgenstein
La parola come strumento portatile rende portatile anche l’uomo.
Vincenzo Agnetti
Viviamo in un’epoca caratterizzata da una certa facilità comunicativa (dal punto di vista tecnologico): grazie alla larga diffusione dei media più disparati, e soprattutto dei social network, le distanze si sono minimizzate, si viene mostrati più di quanto si vorrebbe, si conoscono gli altri senza mai incontrarli e, paradosso tutto contemporaneo, anche in maniera più approfondita rispetto alla “presa diretta”. Certo, perché di fronte al filtro di uno schermo digitale, aprirsi e mostrare la propria interiorità è più agevole che in un rapporto faccia a faccia. Quando non ci sono intermediari, comunicare intimidisce e rende più circospetta l’espressione dei propri moti d’animo.
D’altro canto, oggi pare si parli molto, ma resta la difficoltà di trasmettere emozioni e contenuti; lo stesso linguaggio sembra subire significative metamorfosi sintattiche ed ortografiche, pervaso com’è da neologismi e abbreviazioni che proliferano per semplificazioni e riduzioni espressive, dovute all’uso smodato della velocità e alla frenetica simultaneità delle attività quotidiane.
Di conseguenza, la “parola detta” non sembra avere più il peso di un tempo, cioè la correttezza semantica, oltre che morale, di una presa di posizione ben definita e senza ombra di dubbio. Quando si dice una cosa non la si dice con convinzione, né pare si abbia più il coraggio di sostenerla con fermezza e di confermarla nel tempo. Le opinioni, comprese le più solide, tendono piuttosto ad adattarsi alle necessità contingenti, al tornaconto personale, alla mutevole situazione del giorno.
Il “tacere” invocato da Wittgenstein è divenuto mera utopia, soprattutto se si pensa alla vita sociale e ai rapporti interpersonali anche intimi, dominati come sono dalla vertigine della parola alleggerita ai limiti del vuoto. E, certo, il filosofo austriaco si riferisce alla logica del linguaggio e alla dimostrazione concreta della verità o falsità (o anche al senso o nonsenso) di un’asserzione, e non alla reale consistenza dei suoi contenuti. Tutta la “prima fase” della sua ricerca, quella del Tractatus, si basa sull’essenza del linguaggio, cioè su ciò che accomuna tutti i linguaggi e i segni con cui essi sono espressi (Luigi Perissinotto). E’ al linguaggio comune e non a quello “ideale” (sul quale si concentrerebbe la filosofia) che Wittgenstein rivolge la propria attenzione, quel linguaggio con cui Max Tomasinelli evoca i discorsi effettivi, ricordati, letti, immaginati, nelle proprie immagini.
Parole nel vuoto
Adolf Loos
Insisto: ciò che lascia più perplessi nel comunicare è proprio la mancanza di fiducia nella parola e nei significati che una sequenza di singole lettere e frasi complesse è in grado di veicolare. Nella ricerca fotografica di Max Tomasinelli, è questa la delicatissima questione posta: quante e quali parole si scelgono e si spendono (o si sprecano) per la diffusione dell’arte contemporanea presso il grande pubblico, con l’obiettivo di superare la “barriera della solitudine” nella quale si è auto-reclusa? La confusione capace di creare il tentativo di “tradurre” in modo comprensibile ai più un linguaggio per sua natura differente (il medium, la tecnica, gli elementi fisici che materializzano l’idea dell’artista) è il sintomo del problema più esteso, cioè la mancanza di una effettiva volontà di comunicare e le idee meno che chiare di chi ci prova. Un problema inevitabile, tenuto conto del crescente, tremendo squilibrio tra la comunicazione verbale quotidiana (“comune”, direbbe Wittgenstein), il linguaggio iper-semplificato del web (mail, chat, social network) e l’eremo su cui certa critica d’arte si è ritirata in una sorta di “Aventino” linguistico riservato ad una cerchia elitaria e snob.
Teatro simbolico e materiale, o significante/significato, dello squilibrio, il Museo diventa così l’inquieto, e inquietante, protagonista degli interrogativi critici di Tomasinelli, epitome perfetta del rapporto tra immagine e linguaggio, come discusso da Wittgenstein e, dopo di lui, dagli argomenti di Vilelm Flusser sulla centralità storica di quel rapporto: uno scambio permanente si dipana dalla riduzione unidimensionale dell’immagine prodotta dal linguaggio (o dalla scrittura), alle quattro dimensioni del mondo reale e le due della sua rappresentazione iconica.
Ecco, dunque, i temi: l’ambiente museale, declinato in quattro varianti emblematiche (Musée d’Art Moderne (Bruxelles, arch. Roger Bastin), Bonnefanten Museum (Maastricht, arch. Aldo Rossi), Hamburger Bahnhof (Berlin, arch. Josef Paul Kleihues), Centre Pompidou (Metz, arch. Shigeru Ban); e, appunto, il linguaggio, le parole che accompagnano il visitatore, proferite da una guida autorizzata o virtuale, presentate nei testi critici, vergate sui muri.
Queste “parole nel vuoto” diventano, nelle immagini di Tomasinelli, elementi architettonici, presenze fisiche evanescenti ma strutturali, velature a due dimensioni sovrapposte alla tridimensionalità virtuale dell’immagine, simulano talvolta delle prospettive, talaltra accentuano le componenti costruttive dell’ambiente, o ne creano di nuove: evidenti, dal punto di vista stilistico, i precedenti di Candida Höfer e Thomas Struth, quest’ultimo con i suoi scatti proprio dedicati ad alcune stanze museali affollate.
A Tomasinelli, però, non interessa tanto la presenza umana, quanto le conseguenze che guardare l’opera d’arte ha per i visitatori. Un percorso linguistico autonomo e seguito d’istinto viene riprodotto quasi “surrealisticamente”, cioè prende forma in una sorta di scrittura automatica pensata e scorrevole, ma praticamente indecifrabile. La leggibilità della sequenza fraseologica è al limite della comprensione, non si coglie più che qualche parola che dia appena l’indizio del pensiero manifestato e dell’atmosfera che l’artista vuole infondere all’immagine.
SenseOut (cioè, “estrapolare il significato di/da qualcosa”), non è titolo nuovo, ricorda volutamente quello di Regards sur l’Architecture, l’importante mostra di Tomasinelli con Gabriele Basilico, Frédéric Hubert e Caroline Bach (Museo della Fotografia, Mougins, 2008). Torna, quindi, la questione del “significato”, del “senso” delle parole, o proposizioni, elementari o complesse, e dell’opportunità o meno di usarle per veicolare i contenuti dell’arte visiva.
D’altro canto, le frasi di Tomasinelli - monolitiche ma allo stesso tempo leggere, disposte in modo calibrato e perfettamente integrate nello spazio, volutamente accessorie e decorative - conferiscono all’economia compositiva delle immagini il valore aggiunto della parola, quanto meno eco della necessaria presenza umana, o anche solo ricordo o suggestione.
Le riflessioni sul linguaggio non sono rivolte comunque solo alle argomentazioni estetico-logico-critiche delle presentazioni delle opere d’arte contemporanea nei musei, ma investono sopratutto il comunicare quotidiano, così spesso marcato da reali difficoltà di espressione e comprensione delle proprie sensazioni. Torno, quindi, a sottolineare una probabile, dilagante e preoccupante incapacità di esprimere, ascoltare, capire, comprendere le parole che “formalizzano” il pensiero. Proprio come nelle fotografie di Max Tomasinelli, le nostre frasi sembrano restare lì, immobili, congelate, sospese nel vuoto, appese ad una parete, distese sul pavimento, in attesa che qualcuno sappia ritrovarvi l’aspetto più puro di “immagine interiore”, interpretazione di moti d’animo profondi e testimonianza concreta della vitalità dei propri sentimenti e della voglia di condividerli.
Vernissage Friday 03 June 2011, 7 pm-12 pm
ARTECONTEMPORANEA
rue des Chevaliers 3rd floor -1050 Bruxelles
Opening hours: Tue - Fri | 4 pm - 8 pm or by appointment