Lea Belooussovitch
Joao Freitas
Giorgia La Rocca
Gianpaolo Lauretta
Valentina Lucia Barbagallo
La Visione Non Ordinaria di uno sguardo meditativo e mediato attraverso le opere di Lea Belooussovitch, Joao Freitas, Giorgia La Rocca, Gianpaolo Lauretta.
Artists
Lea Belooussovitch, Joao Freitas, Giorgia La Rocca, Gianpaolo Lauretta
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by Valentina Lucia Barbagallo
Contemporaneo per Now, l’immediato; e per N.O.V., la Visione Non Ordinaria di uno sguardo meditativo e mediato, capace di decifrare la trasversale natura dell’osservato e di estrarne, se c’è, il significato inedito, provocatorio o, perché no, rivoluzionario. Due dimensioni, dunque, per riflettere su questa mostra. La prima parte dalla vista - dalla percezione ottica - per generare una visione, cioè il percepito intellettuale, in cui il pensiero disincarna il senso in forme intelligibili, in concetti. La seconda è la dimensione visionaria, lo svelamento del non ancora, del possibile, sostenuto e sostenibile con l’impegno etico dell’artista e del pubblico. Questa dialettica essere-cambiamento è declinata esteticamente, ma in sostanza antropologica, connaturata all’uomo: nessuna sorpresa, quindi, che i lavori presentati mostrino qualcosa per dimostrare qualcos’altro, e che si tratti di altro a venire e da costruire. Tuttavia, il proprio dell’artista è la combinazione di libertà di linguaggio e concretezza del medium, a beneficio della massima efficacia semantica e comunicativa dei concetti sottintesi. L’immagine, i materiali e le tecniche possono essere manipolati all’infinito, senza perdere, ma anzi rinnovando e moltiplicando, visibilità, tattilità, sonorità, ecc. Così, una mostra come questa, pervasa di “intenzionalità” (alla Husserl), e di estremo rigore progettuale-ideale, mobilita altrettanto vigorosamente tutti i sensi degli spettatori sugli emblematici, o perfino archetipici, materiali che veicolano la creatività degli artisti.
João Freitas (Portogallo, 1989), presenta due lavori complementari inediti, un video e un disegno-plastico, che sviluppano tuttavia precedenti ricerche e riflessioni dell’artista sul processo di trasformazione e modellamento della carta, leit motiv della sua produzione. Il video – Cycle,2013 - riproduce una successione di movimenti iterativi, ognuno dei quali dà luogo a risultati casuali. Una scatola di kleenex contenente ottanta fazzoletti, è ripresa mentre questi sono estratti l'uno dopo l'altro, a brevi intervalli di tempo. Ciascun fazzoletto assume una forma aleatoria, prima di lasciar posto al successivo. Il lavoro allude al ciclo della vita, procede dalla nascita (il primo fazzoletto tirato fuori dalla fessura) alla morte, (l'ultimo) che lascia dietro di sè uno iato, a sua volta evocatore dell'Incipit…. Prendendo forme sempre differenti, i fazzoletti mimano l'incessante evoluzione dell'uomo, plasmato dalle molteplici circostanze della vita e accompagnato dal segno evidente, se non preponderante, del lutto. Nel disegno plastico - Shroud, 2013 - uno strato di inchiostro di china, lucido e aderente alle superfici, è applicato su ambo i lati di un grande foglio, in modo da ottenere una superficie piana nera. Il foglio è stropicciato e trasformato in una sagoma precaria, una sorta di sindone (tanto più che a misura di corpo umano), seppur aperta a decifrazioni multiple. La mutevolezza di cose e persone, fondamentale nella ricerca dell’artista, acquista in questa installazione un inedito valore estetico attraverso il classico artificio del trompe-l'oeil: da sinonimo di leggerezza, la carta stropicciata deposta a terra prende volume e si carica di una certa pesantezza.
Gianpaolo Lauretta (Italia,1985) tematizza la crisi d’identità dell'uomo contemporaneo, assimilando la sua condizione a quegli animali che reagiscono alla cattività mutilandosi e suicidandosi. Piombando sul dissuasore incurante dell’istinto di conservazione, il piccione di ,#Témoin 2013 è allegoria trasparente della nostra disperata rassegnazione a una condizione di crisi senz’altra via di uscita. La riflessione filosofica controbilancia “crisi” (in greco, malattia) con “critica”, riflessione su quanto fatto e quanto possibile fare; ma se l’associazione è perduta, non restano che crasi, separazioni, disgregazioni, perdita di senso e di centro, creature solitarie in società inumane. L’esito non può allora che essere l’autodistruzione: nell’installazione #Témoinage, 2013, l’artista analizza il fenomeno su un registro più radicale, enfatizzato dall’eleganza della ricerca formale, e con una torsione che non si saprebbe dire se più ironica o grottesca. Il dissuasore, non più riconosciuto nemico dagli animali, diviene suppellettile d’arredo e simbolo ulteriore di una società rigurgitante di oggetti e di uomini privati della loro “funzione” e dunque ridotti a meri repertori d’esposizione su cui lo sguardo tende a posarsi, ma senza soffermarsi. In bilico lungo il confine fra umano e animale, naturale e urbano, utile e inutile, vita e morte, il lavoro di Lauretta trasmette convincentemente il disagio della verità.
Una mucca di cartone di taglia naturale sventrata, martirizzata da un lato, e sana, opulenta, dall’altro - Untitled, 2013, di Giorgia la Rocca (Italia, 1986) - campeggia davanti alla grande vetrata da cui si scorgono alberi e case di Bruxelles. In questione, il rapporto uomo-natura, problematizzato fin dalla scelta del materiale: cartone riciclato, raccolto per strada o chiesto ai negozianti del quartiere. Una scelta artistica di valenza politico-sociale, biasimo dello spreco e percorso attraverso il ciclo della produzione e dei suoi rifiuti: i cartoni portano i loghi della merce contenuta, il luogo di provenienza, tracce di polvere, umidità, cioè dell’uso che ne è stato fatto, componendo così una sorta di storia dei quartieri e delle attività della città. Quest’ultima fa da sfondo materiale, non solo concettuale, al simulacro dell’animale, che è il fulcro della dissociazione fra natura e cultura predatrice dominante, nonché memento del tempo in cui gli animali venivano allevati in casa per l’autoconsumo – in contrasto con il forsennato sfruttamento industriale delle risorse agroalimentari. E tuttavia, l’immagine di tanta distruzione trasmette una certa staticità, un mutismo in qualche modo placido, tranquillo (ma non tranquillizzante), come segnalasse che l’uomo è non meno predatore che predato, carnefice e vittima, e la sua orgogliosa sovranità universale a rischio di convertirsi in universale Trionfo della Morte.
Di disagi sociali e esistenziali parla anche Léa Belooussovitch (Francia, 1989). Nei suoi lavori, il disegno diventa “segno di senso”: la grafite sulla carta crea volumi, simmetrie, crasi, sfumature, che richiamano una pluralità di elementi naturali: volte stellari; faglie continentali; coni vulcanici; brecce di cui esplorare le profondità o da cui attendere nascite. La visione assume un taglio psicologico: l’installazione site specific – Attraction, 2013 – sovra-stimola l’attitudine voyeuristica dell’uomo contemporaneo sollecitandone, ad un tempo, la vista e l’udito. Una fessura sulla parete è l’unico punto da cui sia possibile “entrare” in uno spazio da cui sembrano provenire le voci di un uomo e di una donna, frammiste ad altri suoni. La tentazione di “spiare” i “nostri pseudo vicini” ci induce ad affinare la vista così da dare un volto a quelle voci; ma alla nostra curiosità non viene restituita che una parete nuda, buia. Eppure, l’iperbole ascendente dell’eccitazione sensoriale invece di arrestarsi cresce, facendo compiere un’ulteriore scoperta: non aver visto nulla genera ugualmente una visione, frutto dell’unione dell’ immaginazione a elementi che ci sono sembrati reali (le voci umane). L’artista testa così la capacità della vista (sensoriale e mentale) di discernere la finzione dalla realtà. In Forfait double, 2013, invece, la psicologia della visione interroga la capacità dell’uomo di sopportare immagini di violenza. Un disegno viene realizzato partendo da una fotografia scattata sulla scena di un crimine e schedata negli ’archivi della polizia francese. L’artista riprende così un soggetto tipicamente warholiano, anche se Warhol usa la fotografia per “fermare” un evento reale e raccontarlo come l’ha visto; mentre la Belooussovitch sottrae alla fotografia il proprio codice narrativo, trasformandola in disegno e sottoponendoci un’altra interpretazione della scena fotografata. Vetri in frantumi, uomini grondanti di sangue, riversi a terra feriti, sottopongono il nostro sguardo a una lancinante tensione emotiva. La violenza domina incontrastata la scena: quanto siamo tolleranti, indifferenti, suscettibili ad essa?
E’ un’altra volta l’essenza della mostra: la vista si fa visione e dalla visione emerge lo sguardo visionario.
Opening Friday 15th November,2013 H:from 6 pm
ArteContemporanea
22, rue Des Chevaliers / 3rd floor - Bruxelles
Opening Hours Tuesday - Friday 4-8 pm