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13/12/2002

Outside the White House

Malacarne, Verona

Mircko Gelmetti. ''Credo che l'ironia non sia semplicemente un espediente, se si guardano i lavori con impazienza si leggera' soltanto il punto di vista ironico, ma il messaggio non deve partire da questo, ci si possono trovare anche altri elementi che coinvolgono un certo modo di pensare che e' piu' riflessivo e meno divertito.''


comunicato stampa

Mircko Gelmetti

a cura di Annapaola Passarini

AP: I lavori che presenti fanno parte di un disegno più ampio, che prevede altri cicli su diverse nazioni. Hai già precedentemente svolto una serie sulla Francia e stai progettando un altro gruppo di opere su Germania e Gran Bretagna. Stai definendo un atlante simbolico personale, cioè si tratta del tuo sguardo sull'Altro?

MG: Il tutto nasce da un'esigenza di forma. Non mi interessa analizzare un contesto ben definito e non mi piace essere ascritto in una determinata situazione, figurativo o altro. E' il motivo per cui i lavori devono essere guardati di volta in volta e visti singolarmente, e credo che solo in un secondo momento si possa inquadrare il lavoro nel suo complesso. Non è detto che questo comunque sia continuativo, può anche interrompersi ad un certo punto.
Mi interessa il linguaggio pittorico e vorrei che questo mezzo riflettesse in un qualche modo la poetica che sto analizzando. E' più una ricerca su un linguaggio che è commistione tra le arti, quindi c'è un'indagine anche sul design, sull'architettura, sull'insieme delle arti visive e non (anche letterarie), appartenenti e proprie delle diverse nazioni, con retaggi e tradizioni molto diverse. Quindi l'analisi non si limita ai simboli, ma anche a quelli che sono i risultati della coscienza collettiva di quei Paesi, dei loro metodi, della loro delicatezza o indelicatezza'

AP: Per quanto riguarda l'aspetto formale, sei passato da un lavoro pittorico ad un metodo quasi installativo. Queste 'protesi' che avanzano dalle superfici sono un'evoluzione del tuo linguaggio o sono semplicemente una modalità più appropriata al ciclo sugli Stati Uniti?

MG: Forse si tratta di aggiunte non strettamente necessarie e possono assumere un significato altro. Le ipotesi sono entrambe valide; la differenza formale tra i lavori su Francia e Stati Uniti è dovuta sicuramente ad un diverso approccio dei rispettivi linguaggi e delle rispettive storie. Nel caso degli Stati Uniti siamo abituati a leggere con eccesso di plusvalore ogni messaggio che ci giunge, la comunicazione è molto più urlata e dinamica, forse tendiamo addirittura a sopravvalutare ciò che ci arriva da oltreoceano, mentre la Francia è molto più vicina a noi, anche storicamente parlando. E' sicuramente più meditativa e meno palese o forte. La vedo accostabile ad un soggetto molto più fine, letterario e poetico. Per gli Stati Uniti l'immagine è più vicina ad una pubblicità, ad un logo o ad una sponsorizzazione.

AP: L'ironia è una componente fondamentale?

MG: Tutti i lavori hanno in effetti uno sfondo piuttosto ironico, anche se nel precedente ciclo è più velato, assomiglia ad un sarcasmo teatrale da fine Settecento.
Credo che l'ironia non sia semplicemente un espediente, se si guardano i lavori con impazienza si leggerà soltanto il punto di vista ironico, ma il messaggio non deve partire da questo, ci si possono trovare anche altri elementi che coinvolgono un certo modo di pensare che è più riflessivo e meno divertito.
Ogni lavoro ha un suo punto di partenza. La fase iniziale può prendere le mosse da un'idea, da una raffigurazione, da una frase, uno scherzetto o una goliardata, per poi arricchirsi con altro; ma può partire anche da un riferimento colto e assolutamente non ironico e da lì sviluppare un aspetto divertito e spiritoso. Le due cose sono ovviamente scambievoli.
La prima persona a cui devono rispondere i lavori sono io, devono rispondere cioè ad un'impressione tattile, epidermica, ottica che mi appartiene. Sono quindi ben lontani dall'essere 'messaggio' con predeterminati requisiti.

AP: Sacro e cultura di massa: la religione è l'oppio dei popoli o non c'è più religione?

MG: E' come immaginare una donna del Quattrocento che entra in una chiesa e vedendo le pareti affrescate trae spunto dalle figure dei Magi o dei cortigiani per vestire il proprio marito' Una sorta di Postalmarket' Potremmo immaginare che prima dell'invenzione della stampa le enciclopedie della moda e dei costumi, dei dettami e dei dettagli architettonici si 'sfogliassero' nei grandi cicli pittorici dei palazzi e delle chiese.
Oggi il percorso è contrario. E' molto difficile che una madre, sfogliando un catalogo di Nan Goldin, tragga spunto per vestire il proprio figlio (senza incorrere in qualche strano malinteso'). Non credo che sia popolarmente desiderabile allestire nel proprio salotto una trentina di donne nude alla Vanessa Beecroft. L'arte non è più spunto per la cultura popolare. C'è una saturazione di cultura di massa e il sacro si confonde con qualcosa di esotico, di inspiegabile; forse è più un mistero ciò che è sacro ora che 500 anni fa.
Non c'è misticità in una modella della Beecroft, in una sedia di Mies van der Roe o in Guernica di Picasso. Si tratta più di un coinvolgimento sensoriale, perché sono gli stessi sensi che hanno creato gli obiettivi a cui vogliamo arrivare. E' un po' come guardare a Dio come a colui che ci ha creati, ma accettare una top model è sicuramente ambire ad uno status a cui potremmo tranquillamente arrivare. Rendere sacro un oggetto serve a gratificarci perché possiamo possederlo. Non c'è nulla di veramente sacro nelle creazioni dell'uomo: sono vicine alla materia sensibile, culturale, alla materia intellettiva. Non è una questione di spirito, è assoluto corpo. Enfatizzare gli elementi porta ad un'immagine nitida e definita, tutto ciò che vediamo è un proliferare di icone. C'è chi riesce a rendere assoluto un elemento, ma si tratta di processi creativi, niente di metafisico. Non c'è astrazione neanche nelle correnti artistiche più astratte, è comunque un'invenzione, un definire e oggettivare ciò che non era perscrutabile in un'indagine.
Sacro e cultura di massa' Se vedo la cosa dal punto di vista personale, mi piace la storia del nostro sacro, ma non è un fattore permanente, e non esiste più. La cultura di massa ha preso il posto a mano a mano di tutto questo e ha sostituito cose impalpabili in qualcosa di molto tangibile. E' tutto molto più definito, più levigato, più patinato, molto lucido, laccato e verniciato'
La cosa che non mi dispiace è che su quella superficie si creano comunque delle imperfezioni, dei 'peletti', come dei capillari che lasciano insinuare quello che sta fuori con quello che sta dentro e viceversa.

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