Giovanni Anselmo
Alighiero Boetti
Pier Paolo Calzolari
Luciano Fabro
Jannis Kounellis
Mario Merz
Marisa Merz
Giulio Paolini
Pino Pascali
Giuseppe Penone
Michelangelo Pistoletto
Emilio Prini
Gilberto Zorio
Germano Celant
Attraverso 50 opere si percepisce come le ricerche degli artisti si siano modificate nel tempo, passando da una presentazione inizialmente affidata ad entita' segniche primitive come fuoco e pietre, carbone e igloo, ghiaccio e vegetale, piombo e gesso, tubo fluorescente e vetro, nylon e specchio, acqua e stoffa, ad articolazioni complesse e in grande scala sviluppate in installazioni avvolgenti che mettono in relazione corpo e oggetto, movimento e architettura.
a
cura
di
Germano Celant
Dal
25
ottobre
2011
si
tiene
presso
la
Triennale
di
Milano
“Arte
Povera
1967-‐2011”.
L’esposizione
fa
parte
di
“Arte
Povera
2011”,
la
mostra-‐evento
a
cura
di
Germano
Celant,
che
sarà
presentata
dall’autunno
2011
fino
ad
aprile
2012
in
diverse
istituzioni
italiane.
Ha
come
fulcro
il
movimento
nato
nel
1967
con
gli
artisti
Giovanni
Anselmo,
Alighiero
Boetti,
Pier
Paolo
Calzolari,
Luciano
Fabro,
Jannis
Kounellis,
Mario
Merz,
Marisa
Merz,
Giulio
Paolini,
Pino
Pascali,
Giuseppe
Penone,
Michelangelo
Pistoletto,
Emilio
Prini
e
Gilberto
Zorio.
Presenta
su
scala
nazionale
e
internazionale,
gli
sviluppi
storici
e
contemporanei
di
questa
ricerca,
distribuendo
le
varie
fasi
e
i
singoli
momenti
linguistici
in
differenti
città
e
istituzioni.
Un
insieme
di
mostre
che
con
la
collaborazione
di
parte
del
“sistema
museo”
italiano
e
attraverso
diverse
situazioni
architettoniche
e
ambientali,
mette
insieme
oltre
200
opere
storiche
e
recenti
e
si
propone
come
un
viaggio
nel
tempo
dal
1967
a
oggi.
La
Triennale
di
Milano
che
insieme
al
Castello
di
Rivoli
Museo
d’Arte
contemporanea
promuove
“Arte
Povera
2011”,
presenta
per
la
prima
volta
a
Milano
una
rassegna
antologica
sul
movimento:
in
uno
spazio
di
circa
3000
metri
quadrati
in
cui
sono
esposte
oltre
sessanta
opere,
la
mostra
vuole
testimoniare
l’evoluzione
del
percorso
artistico
a
partire
dal
1967
fino
al
2011.
L’iniziativa
è
il
frutto
della
preziosa
collaborazione
con
gli
artisti,
gli
archivi
e
le
fondazioni
loro
dedicate
ed
è
stata
possibile
anche
grazie
alla
generosa
partecipazione
di
importanti
musei
italiani
e
internazionali
e
collezioni
pubbliche
e
private.
Sviluppandosi
sui
due
piani
dell’edificio
progettato
da
Muzio
nel
1931,
la
mostra
si
compone
di
due
parti:
la
prima,
dedicata
alle
opere
storiche
realizzate
dal
1967
al
1975
circa
e
che
segnano
l’esordio
linguistico
dei
singoli
artisti,
è
allestita
al
piano
terra,
nella
Galleria
dell’Architettura
disegnata
da
Gae
Aulenti.
La
seconda,
ospitata
nei
grandi
spazi
aperti
del
primo
piano
del
Palazzo,
aspira
a
documentare
lo
spirito
fluido
e
spettacolare
delle
imponenti
opere
realizzate
dai
singoli
artisti
dal
1975
al
2011,
le
quali,
poste
in
dialogo
tra
loro,
si
intrecciano
a
formare
un
arcipelago
di
momenti
intensi
e
contrastanti.
Il
termine,
usato
per
la
prima
volta
nel
settembre
1967
da
Celant
in
occasione
della
mostra
“arte
povera
+
Imspazio”
a
Genova,
tende
a
definire
un
territorio
aperto
di
materiali
e
di
espressività,
che
arrivava
a
comprendere
qualsiasi
manifestazione
naturale
e
artificiale,
corporale
e
meccanica,
così
da
includere
elementi
quali
animali
e
vegetali,
acqua
e
fuoco,
tela
e
pietra,
tubi
fluorescenti
e
alberi.
Un’attitudine
a
lasciar
esprimere
le
materie,
così
che
l’opera
d’arte
potesse
sviluppare
dall’interno
mutamenti
ed
energie,
non
controllati
esteticamente
o
plasticamente,
quanto
un
muoversi
libero
nell’ambito
delle
immagini
e
delle
tecniche,
tradizionalmente
artistiche.
In
particolare
a
Milano,
in
Triennale,
il
pubblico
potrà
percepire
come
tale
ricerca
si
è
modificata
nel
corso
del
tempo,
passando
da
una
presentazione
di
elementi
che
all’inizio
presentavano
una
grande
compressione
materica
perché
affidata
a
entità
segniche
primitive
come
fuoco
e
pietre,
carbone
e
igloo,
ghiaccio
e
vegetale,
piombo
e
gesso,
tubo
fluorescente
e
vetro,
nylon
e
specchio,
acqua
e
stoffa,
ad
articolazioni
complesse
e
in
grande
scala
dove
il
discorso
linguistico
si
sviluppa
in
un’installazione
che
avvolge
e
confronta
l’osservatore
e
il
visitatore
così
da
mettere
relazione
corpo
e
oggetto,
movimento
e
architettura.
Di
sala
in
sala
e
di
piano
in
piano
le
persone
arriveranno
a
confrontarsi
in
Jannis
Kounellis
con
cumuli
di
pietre,
di
carbone
e
di
tele
grezze
quanto
con
una
porta
murata
e
una
sequenza
di
superfici
metalliche,
attraversate
da
fiori
e
da
cere,
da
cotone
e
da
ferro,
dove
le
materie
rimandano
alla
intensità
del
tempo
compresso
e
alle
gestualità
umane
primarie,
mentre
con
Mario
Merz
si
troveranno
dinanzi
gli
intrecci
sorprendenti
di
tele
e
oggetti,
attraversati
dal
neon,
e
l’igloo
di
vetri
e
di
fascine
nonché
con
l’enorme
tavolo
a
spirale
in
cui
l’artista
ha
voluto
significare
una
potenziale
coesistenza,
quanto
un
drammatico
scontro
tra
società
artigianale
e
industriale.
A
tali
momenti
di
intensità
iconica
e
energetica,
corrispondono
la
convergenza
e
la
sintonia
tra
le
articolazioni
puriste
e
formali,
ad
immagine
di
cubo
e
di
struttura
ortogonale,
in
ottone,
di
Luciano
Fabro
e
le
riflessioni
sulle
icone
plastiche,
tipo
la
colonna
e
le
sue
variazioni
nello
spazio
di
Giulio
Paolini:
artisti
che
a
partire
dagli
anni
ottanta
fanno
esplodere
la
loro
narrazione
plastica
immettendo
forti
componenti
cromatiche
e
scultoree.
A
questo
arcipelago
contribuisce
Michelangelo
Pistoletto
che
sin
dall’inizio
del
suo
lavoro
si
è
impegnato
sul
tema
della
pittura
come
strumento
di
riflessione
e
di
moltiplicazione
della
realtà
esterna.
Una
polarità
tra
superficie
riflettente
e
immagine
riflessa
che
si
è
articolata
dall’interno
all’esterno
e
viceversa
portandolo,
dal
1965,
alla
creazione
di
“oggetti
in
meno”,
perché
costruiti
direttamente
dall’immaginario
cangiante
e
mutante
dell’artista,
quanto
alla
propagazione
infinita
di
frammenti
di
materia,
dallo
specchio
allo
straccio,
e
di
idee
o
di
segni
con
cui
costruire
un
terzo
paradiso.
Nell’ambito
della
stessa
pluralità
di
approcci
sia
concettuali
che
materiali
all’arte
si
inseriscono
anche
gli
assemblaggi
di
piombo
e
di
ghiaccio,
di
scritte
e
di
foglie
di
tabacco
prodotti
da
Pier
Paolo
Calzolari.
Qui
la
ricerca
è
per
un
equilibrio
quasi
sublime
tra
forme
e
vicende
energetiche,
che
si
legano
all’atmosfera
dell’ambiente
quanto
al
contesto
architettonico.
Un
dialogo
tra
intensità
cromatiche
e
superfici
tattili
che
passano
attraverso
l’uso
di
sale
combusto,
di
piombo
e
di
feltro
che
innestandosi
l’uno
nell’altro
producono
variazioni
epidermiche
sottili
e
fragili,
quanto
effetti
di
innesto
sorprendenti
e
meraviglianti.
Il
piacere
di
un
racconto
personale
e
intimo,
condotto
con
materiali
fragili
come
il
filo
di
nylon
e
le
foglie
secche,
i
frammenti
di
tronco
o
la
morbida
creta
segnano
il
percorso
di
Marisa
Merz
che
partita
da
una
scarpetta
con
cui
segnare
una
distesa
di
morbida
sabbia,
nel
tempo,
è
approdata
a
storie
articolate
e
complesse,
generate
dall’incontro
di
frammenti
di
vita
e
di
città.
Qualcosa
di
profondamente
vissuto
giorno
per
giorno
che
è
arrivato
alla
costruzione
di
testine
decorate
con
oro
e
colore,
e
alla
stesura
di
ampi
cartoni,
intrecciati
a
veline
e
a
ritagli
di
stoffa
e
carta,
dove
il
femminile
racconta
la
sua
storia.
La
messa
in
immagine
di
percorsi
effimeri
e
leggeri
accomuna
Pino
Pascali
e
Alighiero
Boetti
che
si
sono
impegnati
in
una
narrazione
iconica
del
loro
mondo
fantastico
e
avventuroso.
Il
primo
tracciando
universi
archetipi
di
animali
preistorici
o
di
momenti
naturali
primari,
come
il
dinosauro
o
l’orca,
quanto
il
mare
o
i
campi
arati,
mentre
il
secondo
ha
continuamente
pensato
il
suo
nomadismo,
fisico
e
filosofico,
traducendolo
in
scritture
e
oggetti
che
riflettessero
il
flusso
della
vita
e
dei
luoghi
attraversati,
spesso
magici
e
mitici:
una
serie
di
frammenti
giocosi
e
felici
che
mescolano
biografia
con
storia.
Un
racconto
inventato
e
mnemonico
a
cui
si
contrappone
il
silenzio
e
l’assenza
degli
standards
apprezzati
da
Emilio
Prini
che
ha
sempre
indirizzato
la
sua
attenzione
estetica
e
linguistica
sulle
componenti
primarie
ed
essenziali,
quasi
sempre
immateriali,
dell’azione
e
del
contesto
ambientale
in
cui
la
figura
umana,
spesso
l’artista
stesso,
si
è
mossa.
Le
sue
fotografie,
quanto
le
sue
costruzioni
rivendicano
un’autonomia
assoluta
e,
quasi,
solitaria,
quasi
entità
effimere
non
tendono
a
collocarsi
né
a
trovare
un
luogo,
oppure
come
tutti
gli
standard
si
ripetono
e
sono
ovunque.
Infine
le
opere
di
Giovanni
Anselmo
e
di
Giuseppe
Penone
che
portano
l’attenzione
su
motivi
cosmici
che
si
rifanno
a
una
crescita
arcaica,
quanto
naturale
dei
materiali
litici
e
lignei:
un
procedere
concrentato
sulle
origini
e
sugli
itinerari
delle
sostanze
che
formano
il
mondo.
Entrambi
operano
sul
patrimonio,
quasi
archeologico
dello
spazio
fisico
quanto
della
crescita
floreale
del
contesto
naturale,
sia
che
riguardi
l’orientamento
zenitale,
quanto
la
cognizione
costruttiva
del
nucleo
fecondante,
rigido
quanto
fluido,
che
danno
corpo
pulsante
e
fluttuante
alla
nostra
sfera
terrestre.
Lavori
che
mettono
in
sospensione
la
posizione
perduta
di
un
nido
o
di
una
linea
di
mare,
quanto
il
canto
interiore
di
una
trave
che
trova
all’interno
di
sé
il
suono
dell’antico
albero
che
la
ospitava.
Processi
di
scultore,
in
sintonia
con
il
cosmo,
che
in
Gilberto
Zorio
si
traducono
in
entità
simboliche,
come
la
stella
o
il
giavellotto,
strumenti
di
collegamento
tra
cielo
e
terra,
quanto
patrimonio
di
conoscenza
sull’energia
che
si
sviluppa
dai
rapporti
luminosi
del
sistema
stellare,
quanto
dall’irruzione
in
aria
di
uno
strumento
il
cui
movimento
è
provocato
dall’azione
umana.
Una
serie
di
costruzioni
che
sono
invocazioni
di
una
potenza
immaginaria
dell’arte,
che
aspira
a
rifondare
la
sua
lettura
della
realtà
senza
alcuna
costrizione
o
senza
alcuna
limitazione.
Una
processo
artistico
che
crea
spazi
e
situazioni
magnetiche
che
si
inseriscono
nello
spazio
della
Triennale,
a
Milano,
per
creare
un’ulteriore
prova
di
una
ritualità
estetica
ed
energetica,
tipica
dell’Arte
Povera.
Promossa da
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
e Triennale di Milano
Coordinamento e catalogo Electa
Immagine: Pino Pascali, 32 Mq. Di mare circa, 1967. 30 zinc-coated aluminum tubs and blue aniline-dyed water 113 x 113 cm each. Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. With the permission of the Ministry of Heritage and Cultural Activities
Ufficio Stampa e Comunicazione:
Antonella La Seta, Responsabile
Alice Angossini, Marco Martello
T. +39 0272434.205/247/240 | F. +39 0272434239 press@triennale.org
Conferenza stampa e visita in anteprima lunedì 24 ottobre ore 11.30
Triennale di Milano
viale Alemagna 6
Orari:
martedì - domenica 10.30-20.30
giovedì e venerdì 10.30-23.00
La biglietteria chiude un’ora prima delle mostre
Ingresso: intero € 8 ridotto € 6,50