Bahr el Ghazal. Il fotografo Marco Vacca si e' recato nel sud del Sudan, raggiungendo sia la zona del Bar El Ghazal, sia l'ospedale da campo di Lopedeng, al confine con il Kenya. Proteso a evitare inutili estetismi ed esasperazioni drammatiche, Marco Vacca costruisce un racconto visivo dove l'intensita' e la partecipazione umana si coniugano con la volonta' di documentare tanto l'intervento del Lifeline Sudan, quanto la vita quotidiana dei rifugiati e dei malati accolti in questi campi.
Bahr el Ghazal
mostra a cura di Gigliola Foschi
Qual è il conflitto più lungo nella storia dell'Africa? Per aiutarvi a
rispondere vi diremo che si tratta di una guerra civile cominciata nel 1955
e non ancora conclusa: una tragedia epocale che, secondo le stime delle
Nazioni Unite, ha finora causato, nel sud del Paese, oltre due milioni di
vittime, delle quali ben 250.000 sono morte per fame nel solo 1988.
Se non sapete ancora dare un nome a questa terra martoriata vi diremo che si
chiama Sudan. Finita l'epoca delle colonie, laggiù è subito iniziata quella
delle violenze, delle lotte efferate fra il nord islamico e schiavista e il
sud ricco di petrolio, abitato da pastori seminomadi cristiani e animisti, i
quali, dal 1955 al 1972, hanno imbracciato i fucili per difendere la loro
autonomia. Sopraggiunge una tregua durata dieci anni, finché nel 1983 il
governo islamico di Khartoum vuole imporre a tutto il paese la sharia, cioè
la legge islamica. E il sud precipita di nuovo nella guerra, in un
susseguirsi di rivolte capeggiate dall'Esercito di liberazione del Sudan,
devastazioni perpetrate da milizie che saccheggiano e si combattono tra
loro, bombardamenti da parte delle forze di Khartoum su villaggi inermi,
tratte di schiavi verso il nord, arruolamenti forzati di bambini-soldato.
Così, in una terra che avrebbe potuto essere il granaio dell'Africa, manca
il cibo, i campi sono abbandonati, è impossibile seminare, impossibile
raccogliere. In una quotidiana routine dell'orrore, la gente muore per fame
o a causa di eccidi terribili.
E tutto questo nel solito 'silenzio assordante' dei media: mancando infatti
l''evento eclatante' o il coinvolgimento delle grandi potenze, è giocoforza
che la guerra in Sudan non faccia notizia, per rimanere semplicemente
relegata nel desolato ghetto delle tante tragedie di cui non mette conto
parlare. Non rimane che la compassione degli aiuti internazionali:
nell'aprile 1989 parte Lifeline Sudan, una tra le più vaste operazioni
umanitarie promossa dagli organismi delle Nazioni Unite, a cui partecipano
più di 40 organizzazioni non governative insieme all'Unicef e al World Food
Program.
Il fotografo Marco Vacca, proprio per raccontare questo dramma
della fame e della guerra, si è recato nel sud del Sudan, raggiungendo sia
la zona del Bar El Ghazal (dove si trovano i vari centri di alimentazione
allestiti da Unicef, World Food Program e Medicins Sans Frontieres), sia
l'ospedale da campo di Lopedeng, al confine con il Kenya. Proteso a evitare
inutili estetismi ed esasperazioni drammatiche, Marco Vacca  che con questa
sua ricerca è stato uno tra i fotografi premiati nel prestigioso World Press
Photo del 1999  costruisce un racconto visivo dove l'intensità e la
partecipazione umana si coniugano con la volontà di documentare tanto
l'intervento del Lifeline Sudan, quanto la vita quotidiana dei rifugiati e
dei malati accolti in questi campi. Una vita / non-vita  come raccontano
bene le sue immagini  scandita solo da interminabili, ordinate attese:
quella per il cibo, o per una visita, o per la rieducazione dopo le
amputazioni... Vediamo così una madre sorridere affettuosa al bimbo che ha
in braccio; poi alcuni uomini vaganti con le stampelle tra i capanni; altri
ancora intenti ad ammazzare il tempo con un gioco improvvisato nella sabbia.
Certo gli affetti resistono, certo molti verranno salvati dalla fame e dalle
malattie grazie ai provvidenziali aiuti.
Ma come può un popolo conservare
identità e cultura, dopo essere stato deprivato di tutto quel che costituiva
la sua vita? Oltre al dramma dei feriti e dei bambini denutriti, simili
immagini  proprio perché rinunciano saggiamente a ogni spettacolarizzazione
del dolore e s'impegnano a raccontare la quotidianità  rivelano un'altra
conseguenza di questa guerra interminabile, un esito forse ancora più triste
e irrimediabile: la progressiva perdita d'identità , lo spegnimento di ogni
speranza da parte di popoli che un tempo vivevano in un mondo senza
frontiere, spostando le loro mandrie in sintonia con le stagioni.
Ora queste
tribù del sud, che per esistere avevano bisogno di vasti orizzonti aperti ed
erano note per la loro dignità , sono divenute solo bocche da sfamare, una
dolente somma di fragili creature bisognose e delle quali si parla  se va
bene - in statistiche sulla guerra, la denutrizione e la mortalitÃ
infantile. Del loro arcaico mondo, dove la cultura si rivelava anche
attraverso la bellezza di una capigliatura o di un manufatto, rimangono
appena esili tracce, come le semplici collanine che anche i bambini
indossano mentre gli misurano i polsi per stabilire l'indice di
malnutrizione. Certo, permane la speranza di un cambiamento positivo, ma di
una cosa possiamo essere sicuri fin da ora: nel sud del Sudan, dopo questa
tragedia, la cultura antica di queste genti non tornerà mai più e sarà una
grave perdita per tutti.
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Conferenza in galleria:
29 gennaio, ore 18.15
AFRICA, UNA TERRA 'SCOMPARSA'?
Quante sono le guerre dimenticate dell'Africa? Come intervengono gli aiuti
umanitari?
Che fine ha fatto la cultura tradizionale dei popoli di questo continente?
Intervengono:
Marco Vacca (fotografo), Gigliola Foschi (critico della fotografia); Enrico
Casale (giornalista)
Spazio Aperto
via hoepli 3a-b 20121 Milano
tel 02 86352.233 fax 02 86352.236