Luciano Mereghetti in "Segni Generazionali" ritrae personaggi o icone di una generazione per porre l'attenzione anche su quelle dell'era contemporanea. Fausta Dossi con "La fuga" propone dipinti e sculture che rappresentano due concetti diversi: andare/fermarsi, fuggire/affrontare.
Luciano Mereghetti
Segni Generazionali
Dal 15 novembre al 3 dicembre 2011
Da Bob Dylan a Malcom X, da Muhammad Ali a Twiggy. I personaggi o le icone di una generazione in una mostra per porre l’attenzione anche su quelle che stanno segnando l’era contemporanea
La generazione di Luciano Mereghetti ha vissuto a cavallo degli anni 60-70 eventi particolarmente significativi che hanno lasciato un segno, non solo nell’anima. Segni forti e trasversali che si sono offerti a molteplici chiavi di lettura e interpretazioni, segni che continuano a rimbalzare da una generazione all’altra, da un’epoca all’altra diventando contemporanei e dimostrando ancor oggi la stessa energia di allora. Rintracciare nei quadri di Luciano Mereghetti questi segni e il loro potere evocativo è ciò che si propone la mostra, nient’altro che una personalissima visione di un illustratore convertitosi alla pittura. O solo, semplicemente, di un osservatore che ha cercato di raccontare un periodo della sua e della nostra storia. Senza nostalgia, offrendo lo spunto per riflettere e capire come mai quel periodo è ancora così attuale nell’immaginario collettivo.
Musica Moda, Sport
Per l’immaginario di Luciano Mereghetti, confuso nell’immaginario collettivo di un’adolescenza confusa, niente è stato più potente, liberatorio e rivelatore dei cambiamenti che si sono verificati in quegli anni, soprattutto nella musica, nella moda e nello sport. Miti che si sono creati, icone che sono entrate per sempre nel cuore e nella mente, simboli di un viaggio culturale ed emotivo che proprio in quel preciso momento ha cambiato destinazione, concedendosi altri orizzonti, più suggestivi, e inserendosi in scenari e contesti sociali più ampi e internazionali. Il percorso della mostra – che non vuole essere né didascalico, né tantomeno descrittivo o esaustivo di una certa epoca (a questo ci hanno pensato altre mostre specifiche) – si snoda attraverso una serie di opere che reinterpretano alcuni miti e icone di allora (e di oggi), o ne traggono ispirazione. Da Muhammad Ali a Twiggy, da Bob Dylan a Paco Rabanne, uno sguardo sui paesaggi interiori di una generazione che non ha mai
smesso di sognare.
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Fausta Dossi
La fuga
I segni e i loro significati, così come le loro simbologie si moltiplicano nell’opera di Fausta Dossi per raccontare una realtà in cui tempo e spazio si annullano per proporre una dimensione onirica che raccoglie in sé la condizione dell’uomo contemporaneo. L’artista ne racconta la presenza attraverso l’icona di un uomo che corre. Sembra fuggire da un continente, da un’area geografica all’altra, dagli attacchi di un aeroplano, dalla terra verso il mare o verso il cielo. Ma da cosa fugge? Dalla guerra? Dalla sua nazione di appartenenza? Dalla realtà? Per andare dove? Per raggiungere quale obiettivo? Quale meta, quale traguardo, quale spiaggia?
Un argomento, quello della fuga, che è tanto d’attualità, che racconta di esodi di popoli, di emigrati clandestini, di uomini che scappano dalla fame, che fuggono dalla povertà. Un movimento perpetuo, un affanno continuo, una corsa che non si trasforma mai in un cammino, in viaggio, in percorso. Per portare in un luogo che non è mai oggettivo, ma solo ed esclusivamente interiore. Trovano allora senso, in questo correre, le sedie scultura che Fausta Dossi propone in seno a questa esposizione. Sono collocate qua e là, sparse tra un’opera e l’altra a creare un invito, forse un’esortazione a fermarsi, a sottrarre tempo alla fuga, a prendere fiato.
La relazione tra le tele esposte e le sedie diventa un dialogo tra due concetti diversi: andare/ fermarsi, fuggire/affrontare. Le sedie esortano: fermati! Siediti! Affronta! Rappresentano l’unica alternativa all’interrogativo del “da cosa fuggo”? Dove vado? Sono, nel contesto espositivo una presenza importante, imponente. Le loro forme squadrate, dagli schienali sontuosi sembrano troni di principi fiabeschi, di paesi delle meraviglie, dove, nella rigida struttura si insinua sempre un elemento mobile. Spesso è un disco che gira e, improvvisamente, cambia aspetto alla sedia, modifica la postura, così come potrebbe modificare il pensiero di chi si siede. Rappresentano dei troni per fuggitivi, delle fantastiche poltrone su cui adagiarsi e lasciar scorrere i pensieri anche se tutto intorno corre e fugge e forse mai ritornerà.
Tuttavia non c’è mai niente di triste nel lavoro di Fausta Dossi, c’è sempre una componente ludica e giocosa, un colore che restituisce tono, speranza, atmosfera ed emozione, anche là dove sembra non poter esserci spazio alla fantasia, altro da vedere se non la paura ed il dolore. Il rifugio non si trova mai, ma forse, per Fausta ciò che conta non è questo, ma il senso del divenire che si consuma inevitabile e cambia situazioni e persone trasformando tutto e lasciando, come unico luogo rifugio, la nostra mente in cui trovare riposo ed energia per un nuovo traguardo.
Per ulteriori informazioni: Melina Scalise, cell.3664584532 ms@spaziotadini.it
Inaugurazione 15 novembre ore 18.30
Spazio Tadini
Via Jommelli, 24 Milano
Dal martedì a sabato dalle 15 alle 19
Ingresso libero