Differenze superficiali. Sono esposti un dittico e un alfabeto, entrambi in legno, realizzati con l'espediente del doppio pannello: in un caso separato, nell'altro unito; uno naturale, color del legno, l'altro tinto con vernici acriliche. A cura di Anna Comino.
a cura di Anna Comino
Tra i giochi di pazienza il puzzle è uno dei più magici: smontato è un insieme di tessere apparentemente uniformi, in fase di assemblaggio richiede un'attenta selezione, uno studio del pezzo singolo e dell'incastro.
La complessità della costruzione genera quel piacere perverso, misto a frustrazione, dovuto al tempo dilatato nel quale si porta a termine l'operazione.
E' anche il gioco che più si avvicina al processo compositivo di Francesco Ceriani e di Franco Tripodi. Uno scultore, l'altro pittore, sono artisti impuri, nel senso che non rivestono il ruolo “classico”, tradizionale, che solitamente si attribuisce alle due professioni. Procedono su un filo, proprio sulla linea di confine, aderendo ad un ambito, certo, ma senza per questo giurare fedeltà assoluta.
Le “differenze superficiali”, come loro amano chiamarle, trovano in due lavori chiave la loro ragion d'essere. Un dittico e un alfabeto. Entrambi in legno, entrambi con l'espediente del doppio pannello: in un caso separato, nell'altro unito. Uno naturale, color del legno, l'altro tinto con vernici acriliche.
Uno disegnato, l'altro scritto.
Così diversi, eppure così simili.
Francesco Ceriani inizia il suo processo compositivo con la ricerca di tavole di legno, di listelli, di elementi in qualche modo già pronti per l'uso ma, fondamentalmente, mancanti di qualche cosa. Li recupera e li lascia decantare in studio. Quando la lunga frequentazione fatta di sguardi, di riposizionamenti, di confidenza tattile è giunta al giusto stadio di maturazione, il materiale è pronto per essere assemblato. Con pazienza, nella penombra del suo laboratorio, Francesco smista i numerosi frammenti e seleziona quelli che reputa più idonei al completamento di quel contorno ideale che ha vagamente ipotizzato.
Una dopo l'altra le piccole tessere vanno ad occupare i vuoti, mentre le schegge occludono gli interstizi movimentando il piano a livello cromatico e percettivo (i tasselli sono infatti di legni differenti, con venature contrarie, con “paste” di variabile ruvidezza a causa dei tagli) e andando, invece, ad appianare in modo parziale le disconnessioni. L'immagine finale è quella che l'artista sente sotto le mani, che cresce piano piano quasi dettata dal ricordo incompleto di qualcosa di già conosciuto, cui si tenta faticosamente di ridare forma. Un disegno geometrico illusoriamente simmetrico, un'assonanza di incastri tra parte scura e parte chiara che si trasforma in una sottile variazione di ritmo e armonia degli incroci ortogonali: il primo piano si abbassa, l'orizzonte si alza, le sequenze di moduli verticali si fanno più fitte e irregolari. E' trascorso del tempo. Qualcosa è cambiato. Configurazione, luce, percezione. Tutto.
Ceriani si serve delle caratteristiche intrinseche della materia per “dipingere” a piccoli tocchi un insieme di tratti privo di quei risvolti semantici presenti invece nei lavori di Franco Tripodi.
Il suo segno è così carico di rimandi che è diventato un codice immaginario. Criptico, misterioso, quasi la traslitterazione di un linguaggio dei gesti, è una successione ordinata di simboli priva di riferimenti oggettivi.
Le sagome incise occupano il pannello, scandite da una griglia inesistente. Una cesura netta, anche cromatica, divide il piano nel centro. Le due metà sono complementari: ciò che è tolto da un lato, è a rilievo dall'altro. Una parte mostra il carattere rialzato, in positivo, l'altra lo “scarto”, con in negativo l'impronta vuota dalla cifra mancante. Un'appendice nera sconfina nel rosso e viceversa, creando un rettangolo centrale in cui lo schema sinistra-destra subisce una rotazione di 90°, modificandosi in un sopra-sotto. Supponendo di trattare la superficie come un libro (chiudendo quindi una sull'altra le due “copertine”), i ritagli affondano perfettamente nel loro opposto, incastrandosi, sigillando all'interno l'articolato sistema grafico.
Quasi un alfabeto runico, ma dall'andamento tondeggiante, scavato nel legno, impresso netto, nella sua essenziale struttura segnica, è anche questo un puzzle. Ogni lettera coincide con una tessera del corpo d'insieme. Da sola oppure accostata ad un'altra, fornisce informazioni parziali che sono lontane, e a volte contrarie, al disegno globale che, nello specifico, è la sequenza regolare dei caratteri, ma potrebbe tranquillamente essere un testo. Variare la sequenza degli elementi significa scrivere un altro messaggio, così come per Ceriani la modifica equivale a disegnare un'altra composizione.
Georges Perec sostiene che il pezzo singolo è “il punto d'avvio di un'informazione ingannevole”, infatti “lo spazio organizzato, strutturato, significante” del complesso, viene spezzettato in tasselli “inerti, amorfi, poveri di significato e informazione, ma anche in elementi (…) portatori di false” indicazioni. Sta al giocatore-artista ricomporre lo schema, dare ordine al caos. Ceriani e Tripodi, partendo dalla stessa intuizione (il gioco di incastri) procedono in direzioni opposte, uno aggiungendo, l'altro togliendo, uno rincorrendo i pieni, l'altro inseguendo i vuoti. Il bilancio conduce ugualmente, in entrambi i casi, a quella media che è lo zero, o più precisamente la parità: quanto manca è stato immesso, quanto si è sottratto è stato reintrodotto. Per improvvisare uno schizzo, per comporre un pensiero.
Differenze superficiali. O forse, superficiali differenze.
Catalogo in Galleria
Immagine: Francesco Ceriani, Disco, 2006, diametro cm 105, legni
Inaugurazione: martedì 15 novembre ore 18,30
Quintocortile
viale Bligny, 42 Milano
orario: da martedì a venerdì dalle 17,00 alle 19,00
Ingresso libero