Luca Bendini
Gianluca Chiodi
Alessia De Montis
Valentina D'Accardi
Francesca Galliani
Angela Loveday
Claudio Magrassi
Luca Reffo
Chiara Scarfo'
Giacomo Vanetti
Emanuele Beluffi
Marco Aion Mangani
Dieci artisti accomunati dall'attitudine voyeuristica della relazione osservatore/osservato, che nella fattispecie prende la forma della relazione fruitore/opera d'arte.
a cura di Emanuele Beluffi e Marco Aion Mangani
mostra collettiva con gli artisti Luca Bendini, Gianluca Chiodi, Alessia De Montis, Valentina D'Accardi, Francesca Galliani, Angela Loveday, Claudio Magrassi, Luca Reffo, Chiara Scarfò e Giacomo Vanetti, a cura di Emanuele Beluffi e Marco Aion Mangani.
La mostra Il soggetto sconosciuto si propone di definire le qualifiche morfologiche ed emotive indotte da una particolare tipologia del guardare in cui il soggetto, privato delle caratteristiche identitarie viene a mancare di se stesso nella magnificazione dei suoi principi arcaici.
Vuoto oggetto di desiderio e di una privazione del medesimo, dunque, si fa medium, luogo di transizione o semplice contenitore in cui si riversano gli estremi di un sentire, l'eccesso e il morboso, come attributi statutari. Le varie modalità dello scrutare, qui di frequente mediate da un intrinseco erotismo e da una forte eterogenia formale, saranno indagate nel tentativo di connotare quella particolare destrutturazione delle identità (e intrinsecamente del reale) che si rivela nel dualismo osservante-osservato, datosi come una delle variabili epifaniche del sacro o teofanie. Termine, quest'ultimo, inteso nella sua accezione spoglia da qualsivoglia riferimento dottrinale e riferibile piuttosto a quegli ambiti in cui la conoscenza nega, superandosi, la conoscenza stessa.
Marco Aion Mangani
Cosa accomuna questi dieci artisti? Nulla. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che
l’opera dello spirito è sempre autonoma, individuata e singola nella sua unica irripetibilità. Ma un
sostrato comune v’è, per la supercontemporaneità che caratterizza la produzione in mostra. E tutti e
dieci gli artisti mirano a un unico orizzonte di senso.
Questa è una mostra sul voyeurismo intrinseco alle arti visive. Meglio, sull’attitudine voyeuristica
della relazione osservatore/osservato, che nella fattispecie prende la forma della relazione
fruitore/opera d’arte. La relazione fra soggetto (d’esperienza) e oggetto (d’arte) resta sempre una
relazione biunivoca fra due termini, ma cessa d’essere una relazione di conoscenza.
Mi spiace buttare a mare quattro secoli di storia dell’Estetica, ma l’arte non gode di alcuno statuto
epistemico (d’altro canto nemmeno la psicanalisi è un’impresa scientifica, però vedete quanto è
importante). Sarò un neopositivista simile a quei giapponesi i quali non sapevano che la Seconda
Guerra Mondiale fosse finita da un pezzo, ma certamente Hegel non era nel torto quando compilò il
certificato di morte dell’arte. Anche se, in qualche maniera, essa è il tramite di una corrispondenza
epistemica tutta particolare, quale appunto la corrispondenza d’onerosi sensi della relazione
voyeuristica.
Ma v’è di più. Il voyeurismo soppianta l’usuale coordinazione rappresentazionale fra soggetto e
oggetto: il soggetto non è più soggetto e l’oggetto non è più oggetto.
Avviene, con l’oggetto d’arte voyeuristico, l’incontro inverso che il soggetto realizza con l’oggetto
d’esperienza, che sartrianamente - nel senso, à la Jean Paul Sartre - è quell’in sé opaco, quella
cosa del mondo esterna alla coscienza e pronta a ricevere i significati che il per sé, cioè la
coscienza soggettiva, attribuisce ad essa nullificandola. Io vedo una bottiglia d’acqua, la guardo, la
disegno, l’inserisco in un universo di discorso, la prendo a pretesto per un racconto oppure me la
scolo. In ogni caso, questa bottiglia, se io sto nei paraggi, perde la propria opaca datità sensibile e
cessa d’essere altro da me. Coprendola di significati - i significati che decido io - la interiorizzo e da
quel momento non c’è più partita per lei. Al massimo può intervenire un Giorgio Morandi che,
decidendo di salvarne la bottiglità, ne fa un quadro.
Nella relazione voyeuristica il soggetto d’esperienza conta meno di zero: è impotente, non dispone
di alcuna forza significante con cui rapportarsi all’oggetto, che permane l’in sé opaco opposto agli
assalti dell’occhio epistemico.
Nell’attitudine voyeuristica delle arti visive (e qui rientra anche il cinema: in alcuni film di Dario
Argento i guanti neri dell’assassino/a, che noi stiamo osservando, altro non sono che le mani del
regista stesso, il quale si concede il lusso dell’autocitazione voyeuristica) la relazione è totalmente
riorientata a favore dell’oggetto, non del soggetto che guarda. Il sartriano per sé, la coscienza
osservatrice intesa come potenza nullificante del dato sensibile, perde la propria libertà e diviene
succube dell’oggetto.
Soggetto e oggetto s’invertono (ma non dialetticamente!): il soggetto diviene soggetto all’oggetto
che si fa soggetto.
Non solo: nell’inversione diversa e perversa della relazione voyeuristica soggetto d’esperienza VS
oggetto d’arte il concetto stesso di raffigurazione si sfalda. Noi non conosceremo mai, dico MAI,
nella sua intima essenza il soggetto raffigurato. Non a caso si usa qui il termine soggetto : titolo (e
complemento del titolo) di questa mostra sono fortemente voluti per lo slittamento semantico che
essi rappresentano, per quall’ammiccare al soggetto che, sottraendosi alle categorie interpretative
dello sguardo indagatore, si apre a una moltitudine ermeneutica comunque impotente a nullificare
la pura datità del soggetto, QUEL soggetto oggetto del per sé, di quella coscienza che guarda -
L’uomo che guarda, per fare il verso al romanzo voyeuristico per eccellenza di Alberto Moravia.
L’oggetto d’arte conculca la libertà di quel soggetto d’esperienza che investe di sé le cose del
mondo negandone la datità alla luce dei suoi stessi significati, che in qualche modo padroneggiano
l’oggetto attraverso la formulazione di giudizi di gusto o di valore: la relazione voyeuristica è
totalmente incentrata sull’oggetto soggetto della raffigurazione. Esso sta lì, fisso e sussistente nella
sua enigmatica inconoscibilità, profonda come la notte senza fine. Esso è il capolavoro sconosciuto
di Honoré De Balzac (Le Chef-d'œuvre inconnu, racconto breve del 1831, dove solo il pittore che
l’ha realizzata vede l’opera finale nella sua verità).
L’unico modo di approcciarsi sensatamente all’oggetto d’arte è lo sguardo di sotto in su: upskirt,
espressione idiomatica inglese con cui ci si riferisce al modo in cui le minigonne inguinali delle
donzelle si offrono – si offrirebbero, dal momento che per una mal interpretata civiltà occidentale
urge tenere un atteggiamento minimamente urbano – allo sguardo indagatore: di sotto in su,
appunto. Certamente come il ficcare l’occhio nel buco della serratura, situazione in cui l’impotenza
della coscienza verso il dato si appalesa nel suo splendore.
Il soggetto sconosciuto. Upskirt, dunque. Le arti visive rappresentano veramente il territorio tutto
particolare della conoscenza, dove il soggetto conoscente si assoggetta al soggetto raffigurato, il
capolavoro che si lascia guardare preservando la propria intoccabilità e sacrale inconoscibilità .
Emanuele Beluffi
Immagine: Angela Loveday - stampa lambda su dbond,con retrodistanziali in alluminio e plastificazione opaca anti-UV e antigraffio, 100x66 cm
Inaugurazione: Venerdì 16 Dicembre 2011, ore 19:00
BT'F gallery
Via Castiglione 35 - Bologna
Orario: da lunedì a venerdì dalle 16.30 alle 19.00 o su appuntamento
Ingresso libero