Alessandro Quaranta
a.titolo
Giorgina Bertolino
Francesca Comisso
Nicoletta Leonardi
Lisa Parola
Luisa Perlo
La project room di Alessandro Quaranta, fa il punto su un progetto iniziato nel febbraio 2002 e non ancora concluso. E' il risultato intermedio della frequentazione assidua dell'artista di uno dei ''campi di sosta'' Rom a Torino, l'accampamento dei Rom slavi di via Arrivore, e degli insediamenti abitativi di alcuni membri del gruppo. E' un insieme ancora aperto sulla presenza, gli interrogativi, le cose comprese e incomprese, la disponibilita' e l'accoglienza di un gadjo all'interno di una specifica comunita', parte a sua volta di un'etnia che, più di ogni altra, e' comunemente percepita come inassimilabile e ''altra''.
La project room di Alessandro Quaranta, negli spazi a piano terra della Luigi
Franco, fa il punto su un progetto iniziato nel febbraio del 2002 e non ancora
concluso. È il risultato intermedio della frequentazione assidua dell'artista di
uno dei "campi di sosta" Rom a Torino, l'accampamento dei Rom slavi di via
Arrivore, e degli insediamenti abitativi di alcuni membri del gruppo. È un
insieme ancora aperto sulla presenza, gli interrogativi, le cose comprese e
incomprese, la disponibilità e l'accoglienza di un gadjò all'interno di una
specifica comunità , parte a sua volta di un'etnia che, più di ogni altra, è
comunemente percepita come inassimilabile e "altra". Il termine gadjò è quello
con cui i Rom designano colui che non è Rom, in una parola una non appartenenza,
il resto del mondo. L'artista la sceglie volutamente come titolo per la sua
stanza e come indice di un atteggiamento che si prende carico della propria
estraneità . Da straniero Alessandro Quaranta sceglie di far ingresso nel campo
rispettandone i codici di ospitalità , sceglie cioè una gradualità di forme di
relazione che muovono sulla lentezza del fare conoscenza. I gesti e i riti della
quotidianità costituiscono del resto la materia di lavori come Chain Reaction
(video installazione interattiva, 2000) e Organismi mediaticamente modificati
(video installazione, 2001) che, pur con modalità differenti, sono incentrati
entrambi sulla tavola, il cibo, il pasto comune.
Nato dal desiderio di comprendere per approssimazione, ciò che costituisce e
fonda l'idea di indesiderabilità , l'esperienza che converge in questa project
room apre necessariamente la propria riflessione a partire dai temi che
riguardano l'insediarsi, l'abitare, i significati di casa e di domicilio, di
identità e di cittadinanza. Misura, sposta e verifica questi stessi temi
attraverso la loro localizzazione sul territorio, assumendo la rappresentazione
cartografica della mappa come strumento che nel sintetizzare una realtà è in
grado di descriverla e mostrarla da un'altra prospettiva. Il punto di partenza è
una casa, O Ker (appunto casa nella lingua romanes), un grande cubo di cartone
sui cui quattro lati corre il sonoro di una serie di testimonianze raccolte fra
i Rom sull'idea di abitare. L'installazione, che invade l'ingresso della
galleria, è un meccanismo che costringe a un ribaltamento. Per ascoltare che
cos'è una casa secondo uno zingaro - per noi sinonimo per eccellenza del nomade
- siamo costretti a camminare, a girarci intorno con un movimento fisico che è,
in questo caso, anche un senso figurato. In Kames te pijas kafa? (Vuoi un
caffé?) - una postazione video che ricrea per il visitatore uno spazio-
l'artista ha realizzato una mappa parziale del campo. La telecamera si muove al
livello del suolo, registra le sollecitazioni del terreno durante lo spostamento
che una donna compie attraverso l'abitato, per preparare il caffè. I gesti
necessari alla preparazione - l'approvvigionamento dell'acqua, la ricerca di una
tazza o dello zucchero dai vicini - fanno risultare, senza retorica, condizioni,
usi e relazioni. Proprio le relazioni - ma questa volta su una scala molto più
allargata - sono gli elementi costitutivi di una mappa di fili realizzata a
parete e intitolata Famiglie. Il territorio è questa volta lo spazio sottinteso
del "mondo", sul quale l'artista segna con fili colorati le distanze dei gruppi
parentali legati ai membri della comunità stanziata a Torino. La mappa funziona
così a molti livelli: racconta della separazione e, nello stesso tempo, della
presenza localizzabile di un'etnia, raccoglie le tracce della dispersione,
effetto di qualsiasi migrazione, e la inverte nell'esercizio del ricordarsi.
Fornisce così uno spazio concreto a una memoria che, rifiutando tradizionalmente
la storiografia, trova nell'oralità le forme di attualizzazione della propria
identità . Lo strumento cartografico, che lascia invisibile il disegno dei
confini e delle forme degli Stati, ma gioca sul nostro saperli a memoria,
richiama infine l'attenzione sul fitto tessuto burocratico che regola, per
queste comunità , esodi, soste, fughe, permessi, asili e coercizioni
all'espatrio. Nata come mappa complessa che rileva in positivo presenze e
legami, l'idea di Famiglie è nata dalla situazione critica in cui oggi la
comunità locale Rom vive, relativamente all'abolizione delle "borse lavoro" che
viene a coincidere con le pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Durante il periodo di apertura della project room, sarà possibile iscriversi a
una mailing list per ricevere informazioni e considerazioni e portare il proprio
contributo (indicazioni bibliografiche, testi, domande etc.) alla riflessione
che l'artista ha inteso sollecitare attraverso il progetto.
a.titolo è gruppo a nome colletivo in campo critico e curatoriale. È attivo dal
1997 e ha sede a Torino. Ne fanno parte Giorgina Bertolino, Francesca Comisso,
Nicoletta Leonardi, Lisa Parola, Luisa Perlo.
galleria Luigi Franco Arte Contemporanea
via S. Agostino 23 q Torino