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Sam Havadtoy
dal 21/2/2012 al 21/4/2012
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Segnalato da

Piero Addis



approfondimenti

Sam Havadtoy
Arturo Schwarz



 
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21/2/2012

Sam Havadtoy

Grattacielo Pirelli, Milano

Enigmas. Le immagini delle tele di Havadtoy, che appaiono "astratte", non sono affatto tali. Esse sono "un'immagine del mondo interiore spirituale", ovvero hanno sempre un carattere autobiografico ed introspettivo. A cura di Arturo Schwarz.


comunicato stampa

Presentazione di Arturo Schwarz

Sam Havadtoy, ovvero la presenza dell’invisibile. Sam Havadtoy è un personaggio particolare, dalla carriera – se di carriera si può parlare – altrettanto singolare. E’ nato a Londra 59 anni fa, ma è cresciuto nell’Ungheria allora stalinista. Nel 1956, quando aveva 4 anni, il padre decise infatti di tornare nel proprio paese d’origine, prima che il sollevamento popolare fosse schiacciato dai carri armati russi. Ebbe un’infanzia povera e infelice. Sam ricorda che, essendo il minore di tre fratelli, dormiva con le lunghe gambe che sporgevano da una culla che la madre aveva preso in prestito, ma che era troppo piccola per lui. I genitori divorziarono e Sam finì in un orfanotrofio, insieme ai fratelli abbandonati dal padre. Da qui scapparono per andare a vivere, in condizioni molto precarie, con la madre.

L’abitazione era costituita da una singola camera, un minuscolo semiinterrato di 4 metri per 4. Finita la scuola superiore fece il cameriere in un ristorante dove, per arrotondare il magro stipendio, acquistava valuta ai turisti che rivendeva a uno zingaro. Questa conoscenza fu provvidenziale: la moglie dello zingaro gli procurò un visto per la Bulgaria. Sulla via della sua destinazione, Sam si fermò in Jugoslavia, dove il suo passaporto inglese era riconosciuto, potendo così raggiungere Londra, via Italia. Qui ebbe il secondo colpo di fortuna: dopo dieci mesi passati a servizio di un generale francese come maggiordomo, nel 1972 Sam incontrò un antiquario americano che gli offrì un biglietto aereo per New York e un lavoro nel proprio studio di interior design. Passano gli anni, ed ecco il terzo colpo di fortuna che cambiò il corso della sua vita: si ritrovò a decorare le case di John Lennon e Yoko Ono. Iniziò così un sodalizio che durerà oltre 20 anni. Da amico della coppia, Havadtoy diventerà il compagno di Yoko Ono nel 1980, dopo la morte del cantante. E’ dunque a New York nel 1975 che Havadtoy inizia a cimentarsi con la pittura mentre lavorava come interior designer. L’amore di Havadtoy per l’arte l’aveva accompagnato sin dalla prima gioventù, quando era un visitatore assiduo di musei e gallerie d’arte. Con il suo solito tempismo fortunato, Havadtoy arriva a New York al momento giusto, quando la scena è effervescente e attivissima; frequenta – oltre ai protagonisti della galassia americana dell’arte, non solo pittorica, quali Jasper Johns, Agnes Martin, Yoko Ono, Rauschenberg, Warhol – anche il compositore John Cage e la coreografa Mercy Cunningham, e i nuovi talenti emergenti, Basquiat, Keith Haring, ecc. Quanto alle sue predilezioni pittoriche va ricordata innanzi tutto quella per i pittori surrealisti; tra questi, Dalì, Magritte e Tanguy. Ma l’artista che lo affascinò maggiormente, non solo a livello artistico ma anche come persona, fu Warhol. Altri pittori tra i più amati e di cui ha subito maggiore influenza sono Giorgio Moranti – del quale ammira la qualità del dipingere per il piacere del dipingere e la ripetitività sia della tavolozza sia del soggetto –, e Alexej Jawlenskij.

Di quest’ultimo lo seducono in particolare le opere della stagione più tardiva, quella delle teste astratte del 1931, dove meditazione, introspezione ed essenzialità giocano il ruolo maggiore. Un altro particolare che ferma la sua attenzione è che, con entrambi questi artisti, un’immagine, anche di piccole dimensioni, può diventare un grande dipinto, laddove tra gli artisti che Havadtoy frequentava era nata invece l’esigenza di comporre opere sempre più grandi, a volte gigantesche: quasi che la bellezza di un dipinto fosse direttamente proporzionale alle sue dimensioni! Havadtoy condivide la forma mentis dei pittori che ammira e pensa che, anche in campo letterario, la concisione paghi: un singolo verso di una poesia può dire di più dell’intero capitolo d’un romanzo; così come un aforisma può esprimere maggior saggezza di un intero trattato. Havadtoy ha iniziato a dipingere seriamente – anche se la sua professione di interior designer lo aveva già familiarizzato con il disegno e la pittura – quando uno degli assistenti di Warhol, che aveva sviluppato il procedimento delle serigrafie, lo prese in simpatia e gli insegnò i trucchi del mestiere e stimolò la sua voglia di cimentarvisi personalmente. Havadtoy si dedicherà a tempo pieno a quella che diventerà la sua unica attività solamente poco più di dieci anni dopo, nel 1986. L’arte di Havadtoy s’ispira a una tripla esigenza: concisione, discrezione, essenzialità. La concisione si esercita sia nella dimensione del formato sia nella densità del messaggio; sembra obbedire alla regola dettata da Mayakovskij: “Il regime di economia in arte è la norma principale e perenne di ogni produzione di valori estetici” . La discrezione nasce invece da una pulsione archetipica – velare per meglio svelare – ma svelare solo a coloro che riescono a mettersi in sintonia con l’autore. Havadtoy la pensa come Duchamp; dopo tutto, aveva osservato il padre dell’arte moderna, “sono gli spettatori a fare il quadro” .

L’essenzialità s’ispira invece alla poetica Zen. La tecnica di Havadtoy è nata invece da un’esigenza psicoterapeutica. Colpito da una profonda depressione, seguì un breve trattamento psicanalitico. Il suo terapeuta gli consigliò di scrivere le ragioni delle sue insoddisfazioni per liberarsene. Inizia così a vergare un testo autobiografico, che poi riassume in storie sempre più concise che, a loro volta, assumeranno presto una valenza autonoma. Non desidera che questi esercizi letterari siano letti (e qui si ripresenta il fattore discrezione). Ma questa era la strada che doveva condurlo a ideare brevi racconti che poi continua a ridurre in testi sempre più brevi e più densi, ispirandosi ai mini-racconti di Istvan Örkeny, uno dei suoi scrittori preferiti. Nasce allora l’idea di trascrivere, con pennello sottile e pittura fluida, i suoi testi su una tela. Quando il racconto è troppo lungo per rientrare interamente nel formato del quadro, continua a trascriverne il testo sovrapponendolo a quanto già vergato. Una volta terminata questa prima operazione, copre il tutto con uno strato di colore. Subentra l’ultima fase preliminare, l’applicazione di un lembo di merletto, a sua volta dipinto. Il pizzo, così rielaborato, diventa l’opera in sé e per sé – quando non subirà interventi successivi – oppure costituirà la tela di fondo sulla quale nascerà l’opera definitiva. Ogni opera è quindi una storia nuova sia a livello semantico sia a livello estetico, e questo nonostante l’apparente permanenza del motivo cromatico e iconografico.

Le immagini di Havadtoy, che appaiono “astratte”, non sono affatto tali; esse sono “un’immagine del mondo interiore spirituale”, e cioè hanno sempre un carattere autobiografico a livello dell’Idea che si forma nell’ecosistema del suo creatore. L’artista è un viaggiatore solitario,ma partecipe della condizione umana. Egli ha il coraggio di spingersi in regioni ignote per farci condividere, insieme ai suoi stupori e alle sue ansie, anche le sue speranze e i suoi sogni. Havadtoy lo dimostra perché crede anch’egli che l’arte debba continuare a essere emozione e poesia, debba essere un’eco del “mondo interiore”. Si è detto prima che l’arte di Havadtoy s’ispira alla tripla esigenza di concisione, discrezione ed essenzialità. La discrezione nasce da una pulsione archetipica: velare per meglio svelare. “Rendere visibile l’invisibile”: con questa formula lapidaria Paul Klee espresse il desiderio divorante che l’ossessionò tutta la vita. L’intensa ambizione del nostro pittore è la medesima: anche per Havadtoy questa volontà è ineludibile, ed ha determinato l’orientamento, il logos e la praxis del suo intero percorso creativo. Rivelare l’invisibile (il testo sommerso) significa coglierne la “risonanza spirituale”, come venne definita dalla poetica del periodo classico cinese.

Se concisione, discrezione ed essenzialità sono gli elementi strutturanti delle sue opere – che parlano sempre sottovoce e si limitano, volontariamente, a suggerire piuttosto che a proclamare – la poesia e il silenzio diventano allora i fattori organizzativi dell’opera. Due parole a proposito delle tre procedure che il nostro artista impiega per ottenere quell’aura e consistenza uniche che caratterizzano il suo lavoro. In primo luogo bisognerebbe menzionare il tipo di colla utilizzata. Per attaccare il pizzo sulla tela, o anche per trasformare alcuni oggetti, il nostro artista utilizza, benché sia altamente tossico, il Plextol, un adesivo speciale di recente scoperta. Essendo un perfezionista, nella sua intransigente ricerca dell’eccellenza non c’era altra scelta per lui, visto che – come scoprì ben presto – Plexitol non è solo la miglior soluzione per incollare il pizzo sulla superficie della tela, ma è anche in grado di preservare il materiale ricoperto. Il secondo processo ha a che fare con il materiale da pittura. Per creare la luminosa, sottile e unica gamma di colore che caratterizza la sua tavolozza, Havadtoy elabora una miscela di differenti tonalità di una vernice acrilica che per lo più è utilizzata per la serigrafia commerciale. In ogni caso, la questione non è così semplice; non si arresta alla semplice scelta di una certa marca e nella mistura delle sue diverse tinte. Prima di iniziare una nuova serie di lavori, Havadtoy seleziona alcuni campioni di questi colori già pronti, e li mescola per ottenere la tonalità cromatica richiesta. In seguito fornisce queste tinte ad una piccola azienda chimica che fabbrica espressamente per lui la quantità di cui ha bisogno.

Ma questa non è ancora la fine del processo. Havadtoy in seguito rimescola questi nuovi colori per ottenere le raffinate tonalità che caratterizzano, a colpo d’occhio, i dipinti di questi ultimi anni. In alternativa, Havadtoy utilizza anche, per gli oggetti più grandi, un tipo di pittura – trattata secondo gli stessi procedimenti alchemici – adoperata dall’industria delle costruzioni, in modo tale che l’opera possa essere posta in esterno e resistere ad ogni tipo di clima. Infine, giungiamo alla terza procedura caratteristica. “Perché i puntini? L’ovvia risposta dovrebbe essere l’influenza dei grandi maestri Seurat e Signac. Ma no, la vera spiegazione è in qualche modo più complicata. In quanto ungherese, mi sono inizialmente concentrato nel collezionare gli artisti ungheresi che ammiravo di più, Kertesz e Moholy-Nagy. Sono stato abbastanza fortunato da riuscire ad acquistare un acquerello di quest’ultimo – uno dei suoi dipinti di campi fatti a piccoli puntini –mentre in seguito comprai un dipinto più tardivo del periodo di Chicago, intitolato Leu, costituito da puntini che creano uno scoppio geometrico. Ho sentito un’incredibile quantità di energia in questo quadro. Ed ero molto contento perché, per me, il titolo significava ‘leone’. Quando l’opera venne esposta a Budapest suo nipote era presente, cominciammo a parlare ed io espressi questa mia opinione a proposito del titolo. Poi venne la sorpresa, visto che il nipote mi corresse: Leu era un’abbreviazione della malattia che stava consumando il corpo di suo zio – Leucemia. Lo scoppio di energia era la volontà o il desiderio di Moholy-Nagy di espellere le cellule sanguigne malate fuori dal suo corpo e proiettarle sulla tela – un’idea che in trent’anni non ho mai dimenticato”.

Questo episodio ci riporta a dieci anni fa, il 2002, quando – in seguito a un viaggio alle Barbados dove fu testimone degli ultimi giorni di vita di un caro amico e mentore – Sam ricominciò a creare quadri pointillisti. Un altro evento responsabile di un drastico cambiamento dell’umore e della tavolozza del nostro artista fu, fortunatamente, un avvenimento positivo. Anni fa, incoraggiato da alcuni amici intimi, Havadtoy decise di andare a vivere più vicino a loro, sotto il sole del Mediterraneo. Trovò e scelse una magnifica casa affacciata sulle acque blu del mare, e qui allestì un confortevole studio. Per la prima volta, la casa gli diede, mi ha detto, “il tipo di tranquillità che pensavo fosse possibile solo nelle fiabe”. Il suo ritorno a una prospettiva più rosea sulla vita ed il desiderio di trasformare il difficile passato in un tranquillo presente sono responsabili dell’ultimo sviluppo della sua opera. Fu sopraffatto dal desiderio di celebrare il futuro che vedeva spalancarsi dinnanzi a sé. Il caso gli fu propizio. In un bellissimo pomeriggio di sole, Sam stava passeggiando per il lungomare, per curiosare al mensile mercato delle pulci. Qui trovò due sculture che rappresentavano umili eroi di Walt Disney, e nei mesi successivi trovò molti altri articoli di questo genere. Pensò allora che sarebbe stato appropriato esprimere il suo attuale stato mentale trasformando questi personaggi in un desiderio tridimensionale per un futuro più felice. I personaggi di Walt Disney sono carichi di suggestioni subliminali.

Ci riportano indietro a un ideale di fanciullezza; le loro storie hanno un lieto fine; sono piene di messaggi vitali e ottimistici. Inoltre, qui l’oggetto non è utilizzato nel suo stato grezzo e originale, né è interpretato, né diviene parte di un assemblage. Qui, i personaggi di Walt Disney sono vestiti molto poeticamente di pizzo, e questo è stato trattato con toni colorati, con il risultato di trasformarli in icone di felicità. Se è vero che, in ultima analisi, ogni opera d’arte è, in qualche modo, anche un autoritratto del suo autore, non è difficile capire che è proprio l’inconscio desiderio di Havadtoy di identificarsi con i personaggi felici di Disney ad aver motivato la scelta di questi nuovi modelli – oppure la relazione è quella inversa? Dopotutto, il concetto di sincronicità di Jung – un principio di connessione acausale che dà luogo ad una coincidenza significativa – potrebbe qui trovare un esempio paradigmatico. L’ultima fase dell’opera di Havadtoy giustifica il titolo di questo saggio, preso in prestito da un pensiero dello stesso artista. Per Havadtoy – come fu anche il caso di Magritte – il mistero rappresenta il modo più genuino per distruggere la compiacenza visuale e la logica del luogo comune. Molti anni fa,Magritte mi fece un’osservazione che è anche la chiave per comprendere il suo lavoro e – se posso aggiungere – anche quello di Havadtoy. “Per me è importante”, mi disse il surrealista belga, “evocare, il più fedelmente possibile, la dimensione misteriosa di un oggetto familiare attraverso l’atto del trasformarlo, così che la nuova immagine sarà in grado di contraddire completamente la nostra ingenua visione del mondo. Per me, l’arte è un modo meraviglioso per evocare il mistero, per nobilitare l’oggetto più comune, e renderlo degno di essere rappresentato” .

inaugurazione 22 febbraio ore 18.30

Grattacielo Pirelli
via Fabio Filzi, 22 - Milano
Apertura da martedì a venerdì 15-19 sabato e domenica 10-19- lunedì chiuso
Ingresso libero

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