Fondazione Morra Greco
Napoli
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Ryan Gander
dal 2/3/2012 al 17/5/2012
lun - ven 10-14

Segnalato da

Fondazione Morra Greco



approfondimenti

Ryan Gander



 
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2/3/2012

Ryan Gander

Fondazione Morra Greco, Napoli

Lost in my own recursive narrative. Pur restando legate ad una logica concettuale, le sue opere offrono frammenti di esperienza vissuta e fanno riferimento a diversi campi della conoscenza, ai luoghi comuni e al mondo dell'arte. In questa mostra Gander esplora il ruolo dell'artista come regista e soggetto stesso della sua opera.


comunicato stampa

Le opere di Ryan Gander nascono da un processo di ricerca, uno sviluppo che appare sempre frammentato, svolgendosi come una serie di cortine di fumo che portano lo spettatore verso sentieri inattesi. Una delle caratteristiche della pratica di Gander è la creazione di opere che abbracciano ogni forma d’arte possibile: dalla scultura, fotografia, pittura, installazioni, ai film, proiezioni di diapositive, oggetti e libri, ma anche conferenze ed altre forme d’arte completamente nuove, come l’invenzione di una parola inventata che egli cerca di inserire nel nostro linguaggio quotidiano. Ryan Gander ama sorprendere e turbare il suo pubblico.

Pur restando saldamente legate ad una logica concettuale, le sue opere offrono frammenti di esperienza vissuta e fanno riferimento a diversi campi della conoscenza, ai luoghi comuni, alla storia e al mondo dell’arte, e, più recentemente, alle modalità di apparire e mediare propri dell’arte stessa (i luoghi dell’arte, le mostre e i loro corollari, e la loro ricezione da parte della stampa). L’esperienza dell’arte, dalla frustrazione alla inaccessibilità, e l’impossibilità di trascriverla è l’essenza del progetto «Locked Room Scenario» presentato da Gander all’ArtAngel di Londra: lo spettatore viene calato nel ruolo di investigatore e utilizza le opere come delle prove o delle tracce, esaminando i dettagli materiali e immaginando quelli impercettibili, per poi piombare in una fastidiosa sensazione di confusione.

Lost in my own recursive narrative è il tentativo dell’artista di esplorare il ruolo di creatore quando questi è al contempo regista e soggetto della sua opera. La mostra segna un’interessante transizione per Gander, che ha spesso criticato gli artisti che appaiono nelle proprie opere, ed è forse la sua mostra più autobiografica fino ad oggi.

Appesa al soffitto all’ingresso della mostra, l’opera A Sad Deceit, 2011, consiste in un piccolo e fragile scacciasogni composto dagli elementi dell’emblema della Didactease, che usa simboli matematici per produrre la frase “Esiste solo una definizione per tutto, ovunque e allo stesso tempo”. Questa introduzione serve in realtà a ricordare che non c’è mai “una definizione per tutto, in ogni posto e allo stesso momento”.

In una vetrina, Investigation # 39 – Already aware of its own helplessness, 2009, è una targhetta in argento massiccio che rappresenta un ibrido tra il logo della Ferrari e quello della Peugeot. Questa collisione di forme è emblematica dell’opera di Gander.

Human’s being human (blue on yellow), 2012, si presenta come un manifesto pubblicitario. Una giovane modella francese vestita di blu viene sorpresa da un fotografo mentre all’interno della gb agency contempla un dipinto in cui è rappresentato un cerchio giallo su una tela bianca. Ma qui la modella non sta posando, il suo sguardo accusatorio è diretto al fotografo ma anche allo spettatore. Usando i codici delle immagini pubblicitarie ed integrandoli al contesto dell’arte e della sua mostra, Ryan Gander sembra mettere in dubbio la relazione intima con l’opera d’arte e la fragilità di questo legame.

The lady’s not for turning – (Alchemy Box No. 32), 2012, fa parte della serie di “Alchemy Box”, che sperimenta la fiducia del pubblico: le scatole sono sigillate e contengono oggetti rivelati al pubblico in una lista affissa su una parete vicina. L’unico modo per sapere se gli oggetti sono veramente nella scatola è aprirla, e quindi distruggerla. Cosa è più importante? Le idee contenute nella scatola, la ricetta e gli ingredienti di un nuovo lavoro che non esiste ancora o la scatola che li contiene, che sembra essere una scultura ed è considerata arte? Questa Alchemy Box si presenta come un doppio podio, uno circolare ed uno quadrato, che ci potremmo aspettare di trovare in uno studio di disegno nel quale potrebbe posare la modella. Tra gli elementi elencati sulla parete figurano oggetti relativi ai temi della ricostruzione, della documentazione, oltre che dell’esperienza mediata. Ad esempio si può leggere la descrizione di una fotografia a colori scattata durante la ricerca dell’artista, un’immagine che sfociò nella creazione dell’opera “Tell my mother not to worry” (I), anch’essa presente in mostra.

Un diagramma accartocciato e lasciato a terra, dal titolo Career seeking missile, 2011, che sembra scritto a mano, mostra l’assegnazione dei posti a tavola in occasione di una cena. Lo spettatore può prenderlo, osservarlo e portarlo via. Il foglio è stampato con inchiostro colorato quindi appare come un insieme unico di note un pò confusionarie. Ogni volta che il diagramma viene portato via da uno spettatore deve essere sostituito da un altro foglio accartocciato da lasciare sul pavimento. Osservandolo con attenzione, si capisce che sul foglio si fa riferimento alla gerarchia di alcuni artisti ed ospiti invitati ad una cena di vernissage, mentre le note spiegano i rapporti, i pericoli e i possibili scontri delle diverse personalità.

Posto sul pavimento, In front of you so to speak, 1985 by Aston Ernest by Ryan Gander, 2011, consiste in una serie di diapositive proiettate sulla parete. Il caricatore contiene 40 diapositive in bianco e nero raffiguranti la mappa della metropolitana di Londra e degli stralci di una poesia scritta da un artista immaginario, Aston Ernest, su un’opera d’arte del defunto artista Vivi Enkyo, intitolata Blood Fountain, 1983.

Negli ultimi anni quest’opera è stata erroneamente vista come una sorta di tributo alla vita e le opere del defunto artista Vivi Enkyo. In effetti essa apparteneva ad un corpus collaborativo di opere intitolato A physical discussion, 1982, in cui, come in una partita da ping pong, i due artisti rispondevano l’uno all’opera dell’altro completandone una nuova ed inviandola allo studio dell’ “avversario”. Quest’opera è stata precedentemente esibita al progetto di Ryan Gander all’ArtAngel a Londra.

We never had a lot of $ around here, 2010, è una nuova moneta da 25 dollari (un quarto di dollaro) disegnata da Ryan Gander, caduta dall’anno 2027 e il cui valore è stimato in base ad una proiezione del tasso d’inflazione americano. La moneta è rivolta col valore in alto ed è incollata al pavimento. L’opera è stata esibita per la prima volta ad Intervals, un progetto di Ryan Gander al Solomon R Guggenheim Museum di New York. La moneta del futuro di Gander solleva esplicitamente la questione del valore futuro del denaro. Malgrado quasi tutti pensino quotidianamente al denaro ed al futuro, sono rari gli artisti ad aver trattato l’argomento in maniera intelligente, il che è tanto più sorprendente dal momento che l’arte contemporanea non esula da una certa mercificazione.

Tell my mother not to worry (I), 2012, consiste in un lenzuolo bianco gettato sulla figlia dell’artista, Olive.?Ryan Gander la immagina mentre cammina nel suo studio, una piccola presenza, onnipresente nella sua coscienza e spettro per il pubblico. La scultura è la prima di una serie di opere che seguiranno la crescita di Olive. L’artista gioca con l’idea della scultura tradizionale utilizzando il marmo drappeggiato, e allo stesso tempo inserisce elementi della sua sfera intima, nascosta ma rivelata.

Posta sul pavimento, Lost in my own recursive narrative, 2012, è un’altra proiezione di diapositive di piccolo formato, consistente in 81 immagini dell’artista mentre dirige due attrici in uno studio fotografico. La stanza è piena di carta da sfondo accartocciata e ghiaccio secco, in una ricostruzione parziale di una scena del film di Antonioni, Blow Up, con Jane Birkin e Gillian Hills. Le due giovani donne, sovreccitate e a petto nudo, si divertono a distruggere l’attrezzatura del fotografo, creando un caos dal quale nasce la libertà – la ribellione della modella contro la dittatura delle immagini. La successione delle immagini crea una sensazione di tempo sospeso, come pause di un gioco noncurante.

Nell’ultima sala della mostra, un video digitale trasferito da una pellicola 16 mm intitolata Man on a bridge – (A study of David Lange), 2008, mostra una serie di riprese leggermente diverse della stessa breve sequenza: un uomo cammina lungo un ponte e sembra notare qualcosa sul parapetto alla sua sinistra. Mentre si avvicina per guardare più da vicino la pellicola si interrompe, ed è seguita da un’altra ripresa della stessa scena. In quest’opera appare uno dei personaggi fittizi di Gander, David Lange. Lo scenario è semplice: mentre un uomo attraversa un ponte, qualcosa al di fuori dell’inquadratura attira la sua attenzione. L’uomo si avvicina al parapetto del ponte per guardare più da vicino. Il video si interrompe e l’attore ripete la stessa scena. Ryan Gander ha chiesto all’attore Roger Lloyd-Pack di impersonare Lange. Lloyd-Pack, un robusto attore inglese famoso per la sua espressione da cane bastonato nel ruolo di Trigger in una serie tv della BBC e per aver impersonato il ruolo di Sherlock Holmes più volte di chiunque altro, ripete la stessa scena per ben 50 volte, ogni volta con una leggera variazione del linguaggio del corpo. Ognuna di queste interpretazioni potrebbe anche essere letta come un taglio fatto in sala di montaggio, suggerendo che da qualche parte c’è una scena perfetta, o forse che una versione “giusta” non esiste. La ripetizione dei gesti e l’insistenza sul motivo rivelano al pubblico la morale del film, vale a dire che quello che attira l’attenzione dell’attore è sempre nascosto, inaccessibile per lo spettatore. Man on a Bridge potrebbe celare un simbolismo – il ponte visto come transizione o collegamento che essenzialmente funziona a livello strutturale, mentre la variazione e la molteplicità delle scene è di per sé un’ode alla possibilità.

La mostra Lost in my own recursive narrative è una tensione costante, tra elementi biografici, narrativi e concettuali. Dall’interno della mostra stessa, come un mago, Ryan Gander inventa nuovi meccanismi e crea un movimento perpetuo nel quale lo spettatore può scivolare.

Inaugurazione sabato 3 marzo ore 19

Fondazione Morra Greco
Largo Avellino, 17 80138 Napoli
dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 14

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