Galleria MiES
Modena
piazzetta dei Servi, 44/a
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Francesca Corradini
dal 13/4/2012 al 15/6/2012
lun, ven, sab 10-13 e 16-19,30, dom. su appuntamento

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Francesca Corradini



 
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13/4/2012

Francesca Corradini

Galleria MiES, Modena

L'intreccio delle cose e' una mostra/show dedicata a creature immaginarie sottoforma di gioielli.


comunicato stampa

La Galleria MiES ospita dal prossimo 14 aprile e fino al 16 giugno 2012, la mostra monografica L’intreccio delle cose dedicata ai gioielli di Francesca Corradini.

Francesca Corradini nasce il 19 agosto 1973, tra il sole dell'estate e il mare di Rapallo.
Ornare il corpo è sempre stato l’oggetto del suo desiderio. E corpo vuol dire tutto il corpo e tutti i corpi, maschili e femminili. Per questo motivo realizza gli oggetti più disparati, tutti quelli che scaturiscono dalla sua immaginazione, come “creature” prendono le sembianze di gioielli. Monili dallo stile suggestivo, sensuale e carico di significati che hanno colpito l'elegante Silvia Mezzanotte dei Matia Bazar.

Sul palco del 62° Festival della canzone italiana di San Remo queste “creature” non sono passate inosservate. La prima uscita ufficiale di Francesca Corradini risale al 1998 a Milano. Una continua ascesa e l’accendersi dell’interessse verso le sue creazioni, la principessa del Marocco Lalla Hasna ne rimane affascinata a Londra, portano Francesca Corradini a Roma.

Presenta le nuove collezioni con Maria Grazia Cucinotta, Claudia Gerini, Nicoletta Romanoff e Paola Saluzzi. Le sue creazioni vengono scelte da LA PERLA per la campagna beachwear del 2005 e da WELLA. Camila Raznovich sceglie i suoi gioielli per Loveline su MTV.

É tra i 124 designer presenti alla Triennale di Milano per la mostra Il paesaggio mobile del nuovo design italiano, a cura di Alba Cappellieri che raccoglie il gotha del “new design” made in Italy.

La nostra pelle ci sta addosso, rimane incollata come uno sguardo al nostro corpo e prende le forme di noi come degli abiti, degli ornamenti e degli oggetti, che sovrapposti si stratificano nella dimensione esterna del corpo stesso. Questo per indicare che la nostra nudità, elemento che ci accomuna come esseri umani, è però anche una immagine infedele che ci limita ad una soddisfazione dell’immateriale frutto di una comprensione puramente superficiale, dello strato epidermico più esterno, esito di una estetica confusa e di cliché dettati dai ritmi dalla moda. “Ciò significa che, nonostante sia presente in ognuno di noi un’ampia quota di originalità, tutte le persone sono tra loro altrettanto ampiamente simili, al punto tale che da sempre i singoli individui hanno cercato di differenziarsi gli uni dagli altri, introducendo nella loro vita elementi che potessero renderli chiaramente identificabili”, come codici. (Bertirotti)

Ciò è ancor più vero dove l’affermazione dell’Io sulla identità collettiva, genera una differenza che diventa patrimonio linguistico, ossia patrimonio comunicativo, di intere classi sociali, in un epoca, dove il problema vero e reale tra la forma e lo status culturale nella quale essa si è generata, viene condizionato dai linguaggi dei new media e dall’ossessione di reificazione parte sia del “ nuovo” che del “rituale del vecchio”. Il metallo anch’esso può essere quindi trasformato come il corpo in artefatti. Come per le questioni della forma anche il linguaggio che ne deriva, è intimamente ed espressivamente destinato ad esiti del tutto diversi e a volte incomparabili tra loro; originale, si differenzia per sua natura anche anteponendosi. La materia può essere condotta alla forma compiuta anche attraverso l’esercizio di forze che in taluni casi nascono dalla cura e dalla delicatezza dell’immateriale, dove se stai costruendo qualcosa con materiali limitati, allora puoi utilizzare dei simboli su cui correre. Quando determiniamo l’essenza di un oggetto, non descriviamo semplicemente i meccanismi o lo stesso in virtù del peso di certe informazioni, l’arte non è solo un problema dell’arte: è anche un problema delle relazioni entro e nella quale essa si è generata, l’affermazione sulla identità di un preciso momento. Un rigoroso groviglio, dove i fili si annodano, si intrecciano e si attorcigliano, come le narrazioni di viaggi lontani o il brulichio della folla. Sinuose forme nascono come tessuto, generano un derma metallico che segue le stesse tappe di un percorso, mai lineare, ma fatto di continui rimandi e associazioni, richiami emotivi e formali convergenti in un’omogeneità strutturale.

Se è pur vero che i monili traggono origine da una introspezione di memorie anche arcaiche e rimandano al paesaggio della materia come luogo che attraversa simboli e linguaggi remoti, essi divengono patrimonio linguistico in quanto vi inseriamo i codici entro cui possiamo ricomporre e rendere reali le nostre esperienze differenziandole dalle altre in autenticità e purezza. Le creazioni di Francesca Corradini in forma di gioiello appartengono a quella categoria di oggetti che si intrecciano con le cose. Cose che si alimentano di una cultura dell’immateriale, non solo della natura intrinsecamente povera del metallo, nemmeno nella minuziosa e laboriosa tessitura di poca materia. Materia viva che muta nel tempo dove si evince la determinazione del suo operare, un operare che come un albero poderoso è leggibile nel tempo. “Ci sono materie che hanno un'anima”, lo si capisce subito: si trasformano incuranti del tempo mutando i colori e la luminosità. Sono materiali legati alla terra, all'acqua, all'aria. I gioielli di Francesca Corradini vivono: il vento li lucida, la salsedine li opacizza, la luce li rende iridescenti. Il giallo oro opaco dell'ottone, il rosato del bronzo, il rossiccio del rame, il bianco custode di ogni memoria dell'argento. Nella singolarità e nella sensibilità degli individui si intrecciano i suoi racconti dai tratti di filo, narrazioni di luoghi e paesaggi della materia, dove la diversità sollecita il vagheggiamento dell’immaginazione e con essa il sogno di una piena esplicazione della personalità: una autobiografia ideale.

Come leggendo una relazione di viaggio, mostra chiaramente l’intreccio di problemi aperti, o lasciati aperti, alle esplorazioni del singolo. Questi gioielli sono stati spesso riferiti alla natura e ai costumi dei popoli. Ben lontani dal rappresentare in essi il simbolo di una qualsiasi appartenenza ad una razza propria o di un popolo, non appartengono ad un luogo e ad un tempo preciso, ma si distendono solamente nella ritualità della modernità, che è cosa antica. La luce scivola sulla forma innovativa ma con una chiave espressiva insolita, morbida nelle linee anche quando rette, ma anche rigorosa nei tagli e nelle articolazioni degli intrecci che “osservano i movimenti e le forme della natura per violare la fissità del metallo”. (Cappellieri)

Questi lavori, nati spesso privi di alcun disegno o sketchbooks preparatori, sono realizzati da una sapienza di mano leggera con strumenti antichi: martelli, seghetti, cacciaviti, lime, punteruoli, pinze, tronchesi, forbici, carta vetrata e cuscini riempiti di sabbia di terre lontane. E’ da questo processo produttivo che prendono vita bracciali, anelli, collane, orecchini, gemelli, dai nomi evocativi e sempre legati al mondo naturale: Lisca, Zucca, Spiga, Pioggia, Orbite, Raggi. Collezioni che si distinguono per la loro mobilità e duttilità, ma anche per una intrinseca qualità spirituale, legata ai problemi dell'uomo, vanno oltre la rappresentazione e la contingenza quotidiana.

Inaugurazione 14 aprile ore 18.30

Galleria MiES
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