Castello di Rivoli
Rivoli (TO)
piazza Mafalda di Savoia
011 9565222 FAX 011 9565231
WEB
Merce Cunningham
dal 28/6/2000 al 10/9/2000
WEB
Segnalato da

Lorena Tadorni




 
calendario eventi  :: 




28/6/2000

Merce Cunningham

Castello di Rivoli, Rivoli (TO)

La mostra offre un percorso esaustivo attraverso i cinquanta anni di carriera artistica del più grande protagonista della danza contemporanea. La rassegna, curata da Germano Celant con la collaborazione di Melissa Harris e David Vaughan, presenta immagini e oggetti, costumi e disegni, film e video che riflettono la natura innovativa del lavoro di Cunningham, caratterizzato dall'intreccio con la musica di John Cage e Gordon Mumma, l'arte di Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Andy Warhol e altri artisti contemporanei.


comunicato stampa

La mostra offre un percorso esaustivo attraverso i cinquanta anni di carriera artistica del più grande protagonista della danza contemporanea. La rassegna, curata da Germano Celant con la collaborazione di Melissa Harris e David Vaughan, presenta immagini e oggetti, costumi e disegni, film e video che riflettono la natura innovativa del lavoro di Cunningham, caratterizzato dall'intreccio con la musica di John Cage e Gordon Mumma, l'arte di Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Andy Warhol e altri artisti contemporanei. Intreccio da cui è scaturito un nuovo universo coreografico, che è ormai parte della storia della performance. Nato nel 1919 a Centralia (Washington, USA), Cunningham danza come solista dal 1939 al 1945 nella compagnia di Martha Graham. Nel 1944 presenta a New York la sua prima coreografia con musica di Cage e nel 1953 fonda la Merce Cunningham Dance Company per la quale ha sino ad oggi creato circa duecento coreografie. Fondatore della danza contemporanea come "a moving image of life", propone negli anni Quaranta di separare la musica e la danza e ricorre al "chance method" che comporta il montaggio casuale dei movimenti. Negli anni Cinquanta e Sessanta il suo linguaggio entra in sintonia e in osmosi con gli artisti emergenti di quel periodo: dai new dada ai pop. Dagli anni Settanta utilizza film, video, computer che offrono possibilità sperimentali in cui la realtà della danza si mescola con il suo aspetto virtuale. Tra i numerosi premi internazionali riceve il Leone d'Oro alla carriera nell'ambito della Biennale di Venezia del 1995. La mostra è co-prodotta con la Fundació Antoni Tàpies di Barcellona, il Museu de Arte Contemporânea de Serralves di Porto, il Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna.


Germano Celant
Verso l'impossibile: Merce Cunningham
(dal catalogo Merce Cunningham, Charta, Milano, 2000)

"Trovare i limiti della danza". È questa la spinta che contraddistingue da sempre il lavoro di Merce Cunningham che, sin dagli anni Quaranta, ancora giovanissimo, ha impostato la sua ricerca su domande quali "Cosa sono i movimenti?", "Cosa sono il tempo e lo spazio?", "Cosa sono la materia e la realtà del gesto?", "Cosa sono io?", a cui ha dato risposta, sino ad oggi, cercando di annullare qualsiasi gerarchia tra le componenti che informano la danza. Annullamento quindi di ogni tradizione e di ogni preconcetto a favore di una razionalità che può portare il movimento e i gesti sopra ogni altra cosa, per condurli al punto in cui la danza si trasforma in qualcosa di impossibile ma reale, razionale ma irrazionale, ordinata ma caotica.
In questo senso, Cunningham si può considerare un iconoclasta delle figurazioni coreografiche, poiché rivendica un'idea pura di danza, là dove ogni rappresentazione diventa inadeguata. Da qui il suo rifiuto, sin da The Seasons (Le stagioni), 1947, di un rapporto normale tra musica, danza e arte. Insieme a John Cage rigetta infatti il dover essere di una relazione tra movimento e suono che ha sempre illuminato e rivelato il destino tra questi due linguaggi, per creare invece uno spettacolo che non si basa sul legame e sulla limitazione reciproche, ma vive sull'affinità, su un rapporto intimo, in cui danza e musica sono libere da una mutua subordinazione, arrivano piuttosto a produrre qualcosa di indipendente, ma carico di sintonie e di somiglianze. Siamo all'affermazione di una soggettività assoluta e radicale che si ribella all'ostentazione di un compromesso tra le arti. Con Cunningham, la danza ha la pretesa di essere altro dalla musica, di essere altro dall'arte, di rappresentare una sostanza a sé stante che può viaggiare indipendente dal suono o dall'immagine visuale. In questa richiesta di identità e di differenza sta l'affermazione di un gesto o di un movimento che si materializza nella sua originalità. Non costruzione artificiosa né passiva, ma prototipo di un esserci reale, che si può incontrare con gli altri linguaggi, accompagnarsi ad essi, ma nel vicendevole rispetto e correre paralleli. È mediante l'affermazione esagerata ed oltranzista di una realtà della danza quale movimento prototipo e originale, privo di un qualsiasi riferimento a qualcosa che preesiste, come la musica o la scenografia, che essa inizia a fissare una premessa e una garanzia della sua identità. La considerazione positiva di un muoversi in quanto muoversi è una prospettiva nuova, implica la chiusura di una metafisica del suo esserci a favore di una completa accettazione del suo presente.
Quando, nel 1953, Cunningham comincia a organizzare e definire i suoi movimenti by chance e poi inizia a far convergere, senza alcuna programmazione, cosicché essi si incontrino per la prima volta il giorno della première, i linguaggi della danza e della musica, della scenografia e dell'arte, arriva a sostenere che alle arti si deve lo stesso onore, vale a dire ognuna è dotata di propria autonomia e di una sua specificità. Egli spezza il rapporto tra movimento e suono, movimento e oggetto visivo, movimento e costume, cosicché la pregevolezza dei singoli segni non dipenda più da una dimensione esterna, ma dalla loro dimensione intrinseca, concreta e storica, nel senso di un loro assoluto presente. Adottando il caso come condizione costitutiva della danza, egli rinuncia all'affermazione ideale dei movimenti e dei gesti, delle sequenze e dei ritmi, li trasforma in oggetto indifferente, quindi in un elemento disponibile ad accettare, ad eleggere e a volere qualsiasi forma storica, senza attribuirle un valore assoluto. Diventano esperienze interiori, legate a processi autonomi, di un'applicazione di senso che rifiuta le soluzioni afisiche. La possibilità è allora quella di usare qualsiasi movimento, qualsiasi suono, qualsiasi immagine, qualsiasi stile. Ed è questa spregiudicatezza che, nel corso di cinquant'anni, porta la sua danza a passare attraverso tutte le esperienze spettacolari, dal vaudeville alla danza etnica e moderna, dal drammatico al narrativo, dal gestuale all'elettronico, dal sonoro al silenzio.
Al tempo la pregevolezza del suo fare coincide con l'affermazione della pregevolezza di altri, da Erik Satie a John Cage, da David Tudor a Morton Feldman per la musica, da Robert Rauschenberg a Jasper Johns, da Bruce Nauman a Andy Warhol per l'arte, da Viola Farber a Carolyn Brown, da Steve Paxton a Douglas Dunn per la danza. In tutti loro la coscienza dell'indipendenza del reciproco esprimersi è totale: ogni arte rifiuta infatti un originale esterno per porsi essa stessa come originale.
Nelle coreografia di Cunningham questo succede, nel senso che la concezione del linguaggio si sposta nell'applicazione di un esserci che scorre parallelo agli altri, con la possibilità di un reciproco riflettersi. La sua ricerca è la ricerca di una contemporaneità tra le espressioni dell'essere in cui tutto ciò che è possibile venga accettato. Se questo è vero, l'intreccio tra danza, musica e arte vive nei reciproci interstizi, esiste in movimento, quasi ognuna fosse sottoposta ad un passo epilettico che la trascina incessantemente di luogo in luogo, senza una cristallizzazione né un congelamento dei processi. Su questa dislessia tra le parti nasce nello spettacolo di danza, un movimento che sembra scagliato a caso, ritorna al punto di partenza o si discosta, senza avere concluso nulla, oppure senza dare una risposta che appaia logica e razionale, o inconscia e irrazionale.
Avendo sviluppato una prassi aperta, ogni immagine appena remotamente allusa va brutalmente cancellata o quanto meno messa in discussione dal suo contrario. Tutto il suo repertorio, da Minutiae, 1954, a Ocean (Oceano), 1994, sarà allora una ricerca dell'indefinibile. Creare o realizzare un'opera che non esiste, né può esistere perché automaticamente destinata ad essere negata dalla successiva. Se la danza per Cunningham è la rappresentazione del tutto possibile, lo è anche dell'impossibile, il tentare di fare quel che non è possibile fare. Se si interpreta correttamente il suo procedere da un linguaggio, nel 1953, per chance alla definizione, nel 1990, di una gestualità impossibile perché ispirata dalla logica del computer, che impone soluzioni impossibili per il corpo umano, si capisce che il modo di fare è, come in Samuel Beckett, rivolto alla dimensione del fallimento. La danza, come la scrittura, per continuare ad esistere, deve proporsi di fallire, arrivare ad una realizzazione talmente estrema che non è raggiungibile. La realizzazione di questo scopo, senza speranza, è la propensione a gettarsi in un vuoto, come Cage si era gettato nel silenzio, al fin di attingere all'impossibile. La speranza è quella di poter scoprire una nuova dimensione del muoversi che sia libero dal tempo e dallo spazio, e soprattutto dal linguaggio della danza. La lotta e lo sforzo sono rivolti ad un suo annientamento che costituisce una continua promessa di rinascita di una nuova dimensione del suo fare e del suo esistere.
Se si legge il testo in cui Cunningham esplicita i Four Events That Have Led Discoveries1 (Quattro eventi che hanno portato a scoperte), gli snodi della sua trasmutazione sono identificati nella separazione tra musica e danza, nell'uso del chance method, nel ricorso al cinema e al video, fino all'ultima sperimentazione con il computer. Tale peregrinare nell'astrazione pura, vale a dire in una dimensione che non appartiene alla danza e al suo "realismo" e che porta il danzatore verso una disintegrazione delle linee conosciute per portarlo verso un vuoto e un nulla sconosciuti, e il materiale base per una danza che si impedisce di capire chi e cosa è. Una danza affascinata dai numeri e dal caso, dalla matematica e dalle permutazioni, dalla registrazione quanto dal navigare impersonale legato ad una camera e ad un monitor, ad uno schermo e ad una finestra, che permette a Cunningham di condurre un attacco razionale alla roccaforte dell'inconcepibile e dell'infinito, dello sconosciuto e dell'impossibile.
In fin dei conti, sin dall'inizio, dopo gli esordi con Martha Graham, ha ripudiato l'esistenza della danza. Affiancandosi a Cage e poi a Rauschenberg è riuscito a creare un'antidanza, basata sulla nullità di un'immagine, di un corpo, di un suono. Un vuoto e un silenzio, una cancellatura - si ricordi Erased De Kooning Drawing (Disegno di De Kooning cancellato), 1953, di Rauschenberg - e un non-gesto che possono portare solo alla creazione di enigmi, quali i combine music-painting-dance, che sono serviti ad allontanare la musica, l'arte e la danza dai confini di una realtà per accostarsi ad un nulla, o meglio ad un azzeramento dei linguaggi, che non può essere espresso. Insieme hanno cercato di dire quello che non può essere detto: il vuoto rispetto al pieno - i White Paintings (Pitture bianche) dei primi anni Cinquanta sempre di Rauschenberg - il silenzio rispetto al suono, John Cage e l'impossibilità verso la realtà della danza, Merce Cunningham.
Anche la prospettiva rispetto al corpo è inusuale. Per Cunningham la sua funzione è quella di un oggetto, più che di un soggetto. Questo gli permette di portare avanti più di chiunque altro lo studio della destrutturazione dei gesti e dei movimenti, quasi il danzatore potesse diventare una terza persona, malleabile e trasparente, sottoponibile a qualsiasi tecnica. Il suo uso impersonale concerne il tentativo di risolvere il conflitto tra coscienza dell'impossibilità e possibile estensione concreta nel tempo e nello spazio. La consapevolezza è inadatta a definire l'assoluto, pertanto Cunningham cerca di superarla portandola attraverso chance e computer, al di là delle sue possibilità di comprensione e di fattibilità: là dove il corpo non ha una realtà propria, se non in senso utopico. Ecco allora la forte dialettica tra la coscienza di essere imprigionato nel tempo e nello spazio, sulla scena e nel perimetro carnale, e il desiderio di fuggire da questi limiti per andare al di là del tempo e dello spazio, là dove non c'è che lo sconosciuto nulla, la dove il corpo è nulla, e quindi può tutto.
Questa ribellione contro l'intollerabile prigionia del corpo accompagnata dal rifiuto del pensiero contro le loro sensate e motivate limitazioni segna tutta l'avventura di Cunningham, da Idyllic Song (Canto idilliaco), 1944, a Hand-drawn Spaces (Spazi disegnati a mano), 1998, ed è un pellegrinaggio in cerca del significato della danza. Egli è in continuo cammino, guidato da quell'oscuro impulso che tutti i creatori esperiscono e seguono, ma che nessuno di essi sa spiegare. Un ragionare che in termini essenziali può essere questo: è il corpo umano che separa la danza dall'essere un continuum senza forma tipico dell'universo. La caratteristica prima di un danzatore è di identificare questo linguaggio che non è fatto di elementi distinti ma è un divenire verso un nulla che è cosmico, in quanto contiene tutte le possibilità e le impossibilità del muoversi. Di questo non si può conoscere altro che le parti sperimentate ed esperite, pertanto Cunningham continua la sua ricerca, o meglio, continua a sapere dei movimenti relativi ai fenomeni di danza che ha già sperimentato. Sa di dover andare sempre avanti, così da trovare altri gesti e altre immagini. Per questo, negli ultimi anni, egli si è avvicinato al computer. Avendo identificato nel corso di decenni una struttura di movimenti e trovato per esprimerla una loro infinita articolazione, cerca ora di affidarne la memoria a tutte le possibili combinazioni elettroniche, così che dalle imprevedibili combinazioni escano altri gesti e movimenti al di là della danza. Niente gli è misterioso od ostile, né l'età, né la tecnologia, niente gli fa paura, quando ci siano le possibilità di muoversi per "spiegare" un ulteriore ampliamento dell'universo della danza.
Per Cunningham i singoli gesti o movimenti, sequenze o coreografia non hanno valore assoluto. Le ultime sono più confortanti, ma le nuove lo sono altrettanto: quale è quella giusta? Una è valida quanto l'altra e tutte sono ugualmente arbitrarie, ogni combinazione vale l'altra. Ci sono decine di spiegazioni, ma l'unica via d'uscita è di darle tutte o implicarne l'infinitezza, tenendo in considerazione che una è quella possibile, ma le altre impossibili sono altrettanto valide. In tale direzione il computer che egli usa dal 1990, tramite LifeForms, e con cui ha trovato espressioni da Trackers (Segugi), 1991, a Ocean (Oceano), 1994, adempie la funzione di una memoria di tutti i gesti e i movimenti che Cunningham ha realizzato. Sono liste interminabili che possono dare combinazioni semplici e spietate, grottesche e spossanti, là dove il corpo non dispone di possibilità concrete e reali, perché i movimenti diventano di una logica assurda e inconcepibile. Tuttavia la ricerca di una situazione che è incontrollabile e imponderabile del linguaggio della danza lo continua ad attrarre, perché sino ad oggi è riuscito a darne una spiegazione esorcizzante, così da oltrepassare la barriera del linguaggio, per cui: "Il mio lavoro è sempre stato un work in progress. Il fatto di terminare una danza è accompagnato dall'idea, anche se spesso ancor vaga, per la danza successiva. È per questo che non considero una danza come un oggetto ma piuttosto come una breve sosta nel cammino"2. Ancora oggi, 1999, il viaggio continua: verso l'impossibile.

1. Cunningham, Merce, Four Events That Have Led To Large Discoveries (19 settembre 1994), in Merce Cunningham, Fifty Years, Aperture, New York, 1997, p. 276.
2. Ibidem.


A cura di Germano Celant

Inaugurazione
Giovedi 29 Giugno
ore 19.00

Sede
Castello di Rivoli
Museo d'Arte Contemporanea
Piazza Mafalda di Savoia
10098 Rivoli (TO)

Orario
da martedi a venerdi ore 10-17
sabato e domenica ore 10-19
primo e terzo sabato del mese ore 10-22
chiuso il lunedi'

info@castellodirivoli.torino.it

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