Spettacolo tratto dal romanzo/saggio scritto con un linguaggio simbolico e poetico tra il '75 e il '76, e frutto dell'esperienza di Ben Jelloun come psicologo in un centro di accoglienza per immigrati a Parigi. Jaume Plensa, uno dei piu' significativi artisti internazionali contemporanei, cura la scenografia. Il silenzio e il buio avvolgono la sua installazione, si entra con una torcia in mano.
dall'opera di Tahar Ben Jelloun
regia, progetto drammaturgico Massimo Luconi
scene Jaume Plensa
musiche live Maly Dialy, Cissoko, Mirio Cosottini
costumi Paola Marchesin
luci Roberto Innocenti
con Fernando Maraghini
Dall'8 aprile al Fabbricone di Prato "Le pareti della solitudine": un
romanzo/saggio scritto con un linguaggio simbolico e poetico tra il 1975 e
il 1976, e frutto dell'esperienza di Ben Jelloun come psicologo in un
centro di accoglienza per immigrati a Parigi. Quel che desta l'interesse di
Ben Jelloun non è il lavoratore nella fabbrica o nel cantiere, ma quello
stesso uomo fuori dalle ore di lavoro: la sera, le domeniche, i giorni
festivi.
La struttura narrativa dello spettacolo - regia e progetto drammaturgico di
Massimo Luconi - riprende e sviluppa in forma poetica, non realistica, il
tema della solitudine e dell'estremo malessere nello scontro tra differenti
culture. Il protagonista è uno dei tanti emigranti che trascina la propria
vita ed il proprio corpo in una città a lui estranea. Una persona invasa
dai sogni che sopravvive grazie alla capacità di inventarsi una vita anche
se fatta di chimere e nostalgia.
Quell'uomo, quell'emigrante potrebbe essere nato in qualsiasi paese, sotto
qualsiasi orizzonte, poco importa la sua nazionalità .
Il percorso sonoro, musica e canto di Maly Dialy Cissoko (uno straordinario
musicista senegalese che vive da alcuni anni in Italia) e Mirio Cosottini
con la tromba, si intreccia con il linguaggio simbolico e poetico della
narrazione; si inserisce sulla valenza sonora della parola e ne amplifica
la forza comunicativa diventando parte integante del progetto
drammaturgico.
Jaume Plensa, uno dei più significativi artisti contemporanei, cura la scenografia con un allestimento che sfrutta gli ampi spazi del contenitore Fabbricone.
INSTALLAZIONE DI J.PLENSA
Nell'installazione di Plensa, l'artista riesce a coniugare tecniche
tradizionali con materiali altamente innovativi ritrovando quella
sensibilità originaria e quelle sue radici legate alla civiltà africana.
'Il risultato è di un'intensità tragica. Il silenzio e il buio avvolgono
l'opera, si entra con una piccola torcia in mano.
Subito colpisce il delicato gocciolio d'acqua, in un secondo momento il fascio
di luce viene attratto verso la fonte del suono. Mani diafane atteggiate a
contenitori protettivi non trattengono l'acqua che scivola su di esse e le
deterge. Catarsi come ricongiungimento alla propria memoria, all'invisibile. E
maschere di volti strazianti e straziati. Occhi vitrei, carichi di rancore
fissano punti diversi. Non trovano soluzioni alla disperazione e piangono,
lacrime che bagnano i volti trasfigurati e si raccolgono in contenitori di
dolore e purificazione.
JAUME PLENSA
Nato nel 1955 a Barcellona, dove vive e lavora.
Nell'installazione di Plensa, Freud's children l'artista ha saputo
coniugare tecniche tradizionali con materiali altamente innovativi
ritrovando quella sensibilità originaria e quelle sue radici legate alla
civiltà africana.
Il risultato è di un'intensità tragica.
Il silenzio e il buio avvolgono l'opera, si entra in pochi e con una
piccola torcia in mano.
Subito colpisce il delicato gocciolio d'acqua, in un secondo momento il fascio
di luce viene attratto verso la fonte del suono. Mani diafane atteggiate a
contenitori protettivi non trattengono l'acqua che scivola su di esse e le
deterge. Catarsi come ricongiungimento alla propria memoria, all'invisibile. E
maschere di volti strazianti e straziati. Occhi vitrei, carichi di rancore
fissano punti diversi. Non trovano soluzioni alla disperazione e piangono,
lacrime che bagnano i volti trasfigurati e si raccolgono in contenitori di
dolore e purificazione.
Plensa è considerato una delle personalità più significative nel panorama
artistico europeo.
Cresciuto in Spagna, dove la scultura era dominata dall'influenza di
Chillida e caratterizzata da un uso del ferro con tagli, pieghe e
assemblaggi, inizia ad aspirare a un linguaggio più emotivo e personale, a
''cercare qualcosa di più denso, più primitivo'' (Plensa).
I lavori del suo esordio (1983-84) si coniugano anche da un punto di vista
formale con gli eccezionali esiti della terracotta nigeriana del IX secolo.
L'artista stesso ha dichiarato il suo legame con il sud e l'appartenenza a
una sensibilità che ha nell'Africa una radice originaria. In seguito
ritrova questo carattere ancestrale, originario, nella tecnica della
fusione: ''Cio' che avviene è che se fai un foro nella terra e ci getti del
ferro dentro, quando si raffredda già si è formato un oggetto, e questo è
il principio di qualsiasi metallurgia e rappresenta ciò che di più
ancestrale riesco ad immaginare. Credo di aver trovato su questo punto la
via per realizzare le mie intenzioniî (Plensa, 1989). La solidificazione di
un magma diventa quindi metafora dell'idea di trasformazione e tutto il suo
lavoro seguente, pur nella sua difformità , ripensa la scultura come luogo
di trapasso, processo in cui è possibile cogliere un momento di transizione
a cui l'artista sembra particolarmente interessato.
All'inizio degli anni '90 Plensa assume anche l'elemento luminoso come
costitutivo della sua pratica stabilendo una sorta di continuità tra il
calore imprigionato nella memoria del ferro e quello aereo della luce
fisica. Nella sua prima mostra in Italia (Galleria Gentili, Firenze 1992)
si assiste chiaramente al passaggio da una fase in cui la scultura rimaneva
legata e vincolata alla materia a un esito di distacco e ascensione da
essa: la scultura diventa luce, calore, apparizione.
I lavori successivi privilegiano un ulteriore materiale, la vetroresina,
che permette un'esperienza ambigua, tra occlusione e trasparenza, tra
spazio architettonico chiuso e apparizione evanescente.
Negli ultimi anni Plensa ha saputo coniugare raffinate tecniche
tradizionali con esiti altamente tecnologici, elementi naturali primari con
materiali avanzati. Partendo dalla considerazione personale che la scultura
è il migliore veicolo verso l'invisibile e la memoria, perché permette di
riflettere le vibrazioni dei materiali, l'artista ha recuperato alle
proprie opere il ruolo di contenitori protettivi del vuoto, in un silenzio
alternativo al fracasso del presente, rifinendole spesso con testi o parole
e raggiungendo alti valori poetici.
La fortuna critica di Plensa è testimoniata dai numerosi premi conferitigli
nel corso degli anni '90: nel 1992 ha vinto il premio per le arti plastiche
della rivista spagnola ''Ojo Critico'', nel 1996 il premio della Fondation
Alexander Calder, nel 1997 il Premi Nacional d'Arts Plà stiques nell'ambito
dei ''Premis Nacionals de Cultura de la Generalitat de Catalunya 1997'', nel
1998 Ë stato premiato dall'Associacion espanola de Criticos de Arte
all'annuale fiera internazionale ARCO di Madrid e dal Museo d'arte
contemporanea di Palazzo Forti a Verona nell'ambito del Premio Koiné SEAT.
Teatro Fabbricone, Via Targetti 10/12 (Zona Viale Galilei) 59100 Prato
per informazione 0574-608501
Biglietto: Euro 15,00 (ridotto euro 12,00) posto unico
Ore: 21,00 (domenica ore 16,00)
Studio Torricelli
Via Tornabuoni 15 50123 Firenze Tel +39 055 211828 Fax +39 055 210906