...non dormire, Bella Addormentata! Un tentativo di catturare la condizione dell'essere umano attraverso lavori intrisi di spiritualita'.
a cura di Silvia Gervasoni
Mi chiedo spesso perché l’opera di Giovanni Bonaldi – così intrisa di altissima spiritualità – possa
emozionare un ateo come me. Su quest’ultimo termine vorrei fare una precisazione. Mi ritengo ateo
nel senso che Spinoza, nella sua Etica, dava a questa parola. Egli stabiliva che esiste soltanto una
Natura che, secondo le circostanze, è produttrice: “naturante” (naturans), oppure prodotta: “naturata”.
Per il filosofo di Amsterdam non si deve stabilire una dicotomia tra un Dio creatore (“naturante”) e
una creatura “naturata”. L’essere umano è sia “natura naturata”, cioè una manifestazione della
natura, sia “natura naturante” e cioè creatrice. Questa visione – olistica e trascendente – del cosmo
restituisce all’essere umano la sua grandezza.
Ed è questa condizione unitaria che mi permette di vedere nelle opere di Giovanni, un tentativo di
catturare la condizione sublime dell’essere umano – un binomio indivisibile Creatore-Creatura. In
questa ottica – che abolisce di colpo anche il Principio di autorità associato alla divinità – la filosofia
dell’anarchia affonda le sue radici. Per rendersene conto, basta tornare al significato etimologico
della parola: an-archia, riconducibile ad an-arcos, dove l’ablativo an nega il concetto di gerarchia
(arcos).
Poche opere d’arte di questo secolo raggiungono un grado di spiritualità talmente profonda e
struggente, come quelle di Giovanni Bonaldi. Anche perché la sua poetica non ha nulla in comune
con quella dell’arte così detta “sacra.” Quest’ultima è tutto fuorché un tentativo di esprimere il sacro,
anzi dissacra proprio la sacralità. Con la presunzione di essere didattica nega la funzione dell’arte
che deve ispirare e non certo educare. Mettere l’arte al servizio di un’idea, di una politica, di una
fede, è il mezzo più sicuro per uccidere sia la sua valenza illuminante sia la pulsione creativa.
Ricordo una frase di Duchamp, un giorno mi disse “non si può valutare a parole il contenuto o il
valore d’un quadro, Non si può trovare nessun linguaggio per parlare di pittura. La pittura è un
linguaggio a sé.”’ Quando l’arte è un momento creativo, un evento trascendentale, ineffabile (e
mi riferisco all’arte, non all’artigianato) diventiamo noi stessi parte dell’opera. Questo è il caso in
particolare anche per un dipinto o un oggetto di Giovanni Bonaldi. Guardare un suo lavoro con la
partecipazione che esigono le sue opere significa farne parte idealmente.
Questo mi ricorda un’altra frase di Duchamp che diceva: “sono gli spettatori a fare il quadro”. Anche
in questo caso è necessario abolire la dicotomia tra l’opera d’arte e chi l’osserva. Se vogliamo fruirla
pienamente dobbiamo imparare a guardare il lavoro con la stessa partecipazione di colui che l’ha
creata. L’importante è riuscire a sintonizzarsi. Allora diveniamo un diapason e vibriamo al suono
dell’opera come, in questo nostro caso, a quella di Giovanni Bonaldi.
Arturo Schwarz
Sabato 12 maggio alle ore 18:00 incontro con l’artista, la curatrice Silvia Gervasoni e intervento di Jean Blanchaert
Viamoronisedici / spazioarte
via moroni 16a Bergamo
orari d’apertura: giovedì e venerdì, ore 16.00 -19.00, sabato 10.30 - 12.30 e 16.00 - 19.00
ingresso libero