Palazzo Zenobio
Venezia
Fondamenta del Soccorso, Dorsoduro 2596
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WEB
Sei mostre
dal 10/5/2012 al 25/7/2012
11-17, chiuso lunedi
WEB
Segnalato da

Roberta Donato




 
calendario eventi  :: 




10/5/2012

Sei mostre

Palazzo Zenobio, Venezia

In "Undici allunaggi possibili", 11 artisti si appropriano di 11 stanze del Palazzo. I pittori Stefania Mileto e Fernando Zucchi in "Scoppia la coppia" riflettono sulle dinamiche della quotidianita'. Il progetto "A whisper in the sound of silence" vuole recuperare la dimensione vera dell'arte. Adolfina de Stefani con "Oh pun legs, Alice!" conclude il ciclo dedicato a Lewis Carroll; Luigi Milani presenta i suoi 'Ladri di Biciclette'. Infine, Cristina Maulini recupera l'analisi della visione attraverso la fotografia.


comunicato stampa

Stefania Mileto e Fernando Zucchi

Scoppia la coppia

a cura di Italo Bergantini e Alessandro Trabucco

La Storia ci ha abituati alle grandi coppie nei vari linguaggi creativo/espressivi, dalla letteratura alla musica dal mondo del cinema a quello della televisione sino all’arte visiva. Quando c’è la possibilità, e la fortuna, di poter condividere non solo la quotidianità, con tutte le problematiche di ordine pratico/caratteriale/esistenziale, ma anche la professione, svolgendo lo stesso lavoro, pare si verifichi la situazione ideale, quasi la perfezione assoluta. Si parla la stessa lingua, ci si capisce al volo, si frequentano gli stessi luoghi, si coltivano gli stessi interessi. Nel mondo delle arti visive esistono coppie di artisti, nel passato ma soprattutto nel presente, che hanno svolto la propria attività a quattro mani, oppure mantenendo le singole ricerche indipendenti, magari frutto anche di interazioni dialogiche o forse solo di piccole interferenze di tipo indicativo/opinionistico, ma comunque ben separate ed autonome.

Ma quando scoppia la coppia, quali conseguenze porta con se questa rottura? Con un gioco di parole ironico, ma che rivela anche una sottile disillusione, la frase comune “scoppia la coppia” manifesta le dinamiche che si attivano quando qualcosa comincia a non funzionare più, quando la fase idilliaca si conclude e cominciano a presentarsi stanchezza e incrinature. E’ logico immaginarsi una sorta di rovescio di una medaglia che non si era osservata in precedenza con la giusta attenzione, trovandosi all’improvviso a fare i conti con sentimenti prima quasi sconosciuti, o almeno non identificati in se stessi e nel partner: ripicca, vendetta, invidia, rivalità. In pratica ci si trova di fronte ad un’altra persona, quasi irriconoscibile, se non per le fattezze fisiognomiche. Si getta così alle ortiche ogni sforzo affrontato sino a quel momento, in una sorta di reset che comunque non è in grado di riportare la situazione allo stadio precedente l’esperienza vissuta. Ma non è il caso di approfondire l’argomento di fronte alle tante eccezioni che fortunatamente confermano la regola, come nel caso della coppia Mileto-Zucchi, ognuno con una propria ricerca pittorica autonoma ed identificativa, una coppia che “funziona”, termine che può comunque associare questo “sistema di condivisione esistenziale” ad un meccanismo di alta precisione, nel quale si è necessariamente sempre in due (la coppia) a muovere gli ingranaggi, simultaneamente e con la stessa buona volontà e decisione. In un’epoca di selvagge “condivisioni virtuali” di gusti musicali, artistici, sociali, politici, sessuali nei social network, è il caso di sostenere anche le condivisioni concrete di una vita di coppia che resiste alle intemperie e agli attacchi dell’individualismo incontrollato, dimostrando che con intelligenza e sensibilità ogni avvenimento vissuto insieme (positivo o negativo che sia) può essere un momento importante di analisi e di crescita reciproca, con tutti i vantaggi che ne conseguono poi nella normale vita di tutti i giorni. Alessandro Trabucco

Info: info@romberg.it

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Undici allunaggi possibili

a cura di Martina Cavallarin

AuroraMeccanica, Alessandro Bergonzoni, Francesco Bocchini, Mauro Ghiglione, Robert Gligorov, Gianni Moretti, Ester Maria Negretti, Ekaterina Panikanova, Tamara Repetto, Gino Sabatini Odoardi, Eric Winarto

undici allunaggi possibili, undici artisti che abitano undici stanze nello splendido Collegio Armeno di Cà Zenobio a Venezia. Undici passaggi per il visitatore della mostra, undici sensazioni ed equivalenze, narrazioni ed intercettazioni, undici ferite da aprire o suturare, undici possibilità per arginare o amplificare le distanze tra opera e fruitore dell’opera, tra artista e testimone, tra arte e vita. Nel 1969 l’Apollo 11 ha toccato la Luna. L’immagine in diretta della scoperta, della sua attesa, della sua rivelazione è in undici allunaggi possibili l’invito al contatto tra colui - lo spettatore - che transita distratto nel mondo e colei - l’arte - che lo accoglie tra sconcerto ed emozione, raccapriccio e fascino, timore ed aspettativa.

Se la creazione dell’artista nella sua fase germinale abita la stanza privata dell’arte, quando tale creazione è sviluppata si mette in relazione con il suo spettatore e la stanza diviene il luogo dello scambio e dell’ascolto, il luogo del possibile e dell’incantesimo reale. La stanza diviene, nell’inciampo tra sguardo a libellula dell’artista e sguardo solitamente orizzontale dell’astante, un allunaggio possibile, quindi un’epifania tra narrazione e comprensione che genera questo humus fertile, pallido, apparentemente lontano, ma appunto possibile come qualsiasi allunaggio inteso come bisogno di espansione del pensiero e del pensare, del fare arte e del nutrirsi d’arte. Ogni stanza di questa esposizione d’allunaggi possibili, è una stanza che mi piace pensare come un territorio di sospensione non silenzioso per forza, non chiassoso per forza.

Uno spazio confidenziale dell’opera che convive e dialoga con i singoli luoghi afferrando per mano il visitatore che condivide un percorso che lo porta dall’atmosfera felliniana dell’installazione di Francesco Bocchini, una grande giostra in ferro alta e larga 5 metri, ruotante e dal fascino spiazzante, allo scambio con l’interattiva "come bere un bicchiere d'acqua" degli AuroraMeccanica, installazione dalla forte connotazione politica e sociale incentrata sulla tragedia di Fukushima Daiichi, passando per le opere intrise di ricordi ed impure di Alessandro Bergonzoni che espande l’errore sul bilico dell’abbandono. Il lavoro di Robert Gligorov impasta denuncia sociale, sarcasmo, poesia ed invenzione, Mauro Ghiglione muove una stanza di pensiero e percezione in relazione tra spazio e memoria, Tamara Repetto ci fa galleggiare nella sperimentazione con un’installazione a temperatura fredda e calda, solcata da lirismo e impegno tecnologico in cui 600 bacchette di vetro e 45 cialde olfattive di erba ed edera, violette, margherite e muschi, coinvolgono udito, vista, tatto, olfatto. Il processo artistico di Gianni Moretti si spinge sul bilico del rapporto tra protezione e paura con “la seconda stanza”, un luogo in cui tessuti di plastica accolgono la persona in balia del suono frastornante di mille campanellini d’oro e una luce intensa; le mura di Eric Winarto sono un’immersione tra vuoti e pieni, bianco e nero, in cui il buio amplifica gli effetti di una pittura a parete invisibile alla luce. Ester Maria Negretti crea totem materici intrisi di pittura, suoni, luci, riflessi per un dialogo costante e profondo tra essenza dell’opera e spirito del luogo, Gino Sabatini Odoardi installa oggetti simbolici, 12 inginocchiatoi laccati bianchi che accolgono gamepad playstation in termoformatura bianca per un lavoro in equilibrio tra ludico e sacro e Ekaterina Panikanova porta disegno, forma e struttura a scambi continui tra opera di carta e lo svolgimento dinamico della loro proiezione incessante su un muro di libri.
martina cavallarin

Coordinamento culturale e scientifico:
scatolabianca www.scatolabianca.com
Centro progetti: progetti@scatolabianca.com
Art Director: Federico Arcuri, artdirector@scatolabianca.com
PR & Comunicazione: Roberta Donato, press@scatolabianca.com
Web Agency: www.immediatic.it

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A whisper in the sound of silence
11 / 30 Maggio 2012

a cura di Massimo Sgroi
Testi di Michela Di Stefano e Massimo Sgroi

Artisti : Franco Rasma, Ernesto Morales, Franco Viola, Daniele Pignatelli, Luca Pignatelli, Federico Lombardo, Svetlana Ostapovici, Marco Vinicio

La mostra è la sintesi di un progetto che, al di là delle mode, sopravvive all’interno del processo di un sistema sempre più votato alla comunicazione ossessiva ed alla forma linguistica esasperata. Questo evento vuole essere un momento di recupero della dimensione vera dell’arte, laddove essa sfugge al controllo delle leggi di mercato per essere ricerca di una verità che, nel suo essere silenziosa,
esplode come un boato assordante nella percezione intima dell’osservatore. Per questo motivo la scelta estetica e quella degli artisti è basata proprio su coloro che fanno arte a prescindere dalle logiche del sistema.

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Adolfina de Stefani
Oh pun legs, Alice! Trough the looking-glass, and what Alice found there

A cura di Roberta Semeraro

Con un gioco di parole, simboli e oggetti Adolfina de Stefani chiude il ciclo di mostre/performance dedicato alle opere di Lewis Carroll nelle quali l’artista veneta identificandosi con Alice, ripercorre in tre tappe espositive a Vicenza, Rovereto e Venezia, i suoi racconti.
Per entrare nel mondo fantastico di Alice comprendendone quelle enigmatiche verità nascoste bisognerebbe avere quelle stesse chiavi di lettura custodite nella città di Oxford e nella metalogica del reverendo Carroll. Non è un caso che alle avventure di Alice si siano interessati nel tempo molti intellettuali e uomini dotati d’ingegno, cercando di svelarne i suoi molteplici e possibili significati. Come afferma Martin Gardner , matematico, scienziato e scrittore statunitense “ il guaio è che ogni opera di non senso contiene una tale quantità di simboli allettanti, che una volta partiti da un assunto qualunque sull’autore mettere in piedi una convincente impalcatura di prove con cui suffragarlo è facilissimo. “

Ma Adolfina de Stefani aggirando la logica stessa, penetra nel cuore dei racconti di Alice attraverso l’arte. Ed ecco improvvisamente apparire minuscole scarpine, vestitini immacolati, alberi e torri antropomorfe come per avvertire lo spettatore che è appena approdato in una metarealtà dove non vale il senso comune delle cose quanto la loro immanente presenza. Questi oggetti, misteriosi riferimenti alle vicende del racconto che l’artista va lasciando, diventano il punto di partenza per un percorso catartico che nega il concetto del tempo come dello spazio. Alice dimostra che il tempo è una delle tante illusioni dell’uomo. Attraverso la memoria come attraverso lo specchio, è possibile ripercorrerlo a ritroso. Alcune cose che avvengono trovano le loro motivazioni solo dopo che sono accadute come il messo del Re che sconta la pena prima di aver commesso il delitto.

Così anche lo spazio e i corpi nel mondo immaginario di Alice sono soggetti a continue mutazioni che non dipendono da leggi fisiche bensì dalle necessità narrative del racconto ed è per questo che i cinque merli della torre di Adolfina, si trasformano in braccia che sorreggono i piccoli libri della fantasia. La bianca torre esposta nella sala a Venezia, evoca il cavaliere bianco del racconto che a sua volta gli studiosi carrolliani ritengono essere un autoritratto dello stesso Carroll. Tant’è vero che il Cavaliere Bianco era amante di ordigni strani, “bravissimo ad inventare cose” e il suo cervello funzionava al meglio quando vedeva le cose alla rovescia. Il Cavaliere Bianco poi è l’unico personaggio di tutto il racconto che sembra nutrire un qualche sentimento per Alice offrendole il suo valido aiuto. L’accostamento della torre bianca al Cavaliere Bianco si deve intendere come elevazione dell’intelletto e dello spirito all’assoluto per poi canalizzarlo sulla terra sotto forma di amore ed energia purificatrice.

La catarsi o purificazione della mente dell’uomo avviene sempre con un rituale d’iniziazione e per opera di un sacerdote o sacerdotessa. L’iniziazione presuppone sofferenza; le opere della de Stefani sono tormentate infatti da spilli di acciaio, chiodi e talvolta si tingono di rosso. Alice quasi piange dal dolore di essere stata abbandonata dal cerbiatto e di dover proseguire da sola il cammino o si mortifica per essere vista come un mostro leggendario dall’unicorno. La gestualità e la fisicità corporea nell’arte della de Stefani si integrano agli oggetti e l’artista tende così a fare del suo stesso corpo un medium tra il mondo sovrannaturale del simbolo e quello reale del segno stesso del simbolo. Nella prima tappa espositiva di “Oh pun legs, Alice!”, due bambine in carne e ossa giocavano su una grande scacchiera seguendo le mosse suggerite dall’artista in persona.

Quello che affascina del gioco degli scacchi è la moltitudine di possibili mosse strategiche per poter vincere la partita. Vincere la partita vuol dire fare scacco, quindi imprigionare il re avversario. Alice alla fine del racconto vince prendendo la Regina Rossa (che equivale alla Regina Nera nel gioco degli scacchi). Il colore nero è associato alle tenebre. La morte è rappresentata nel tredicesimo arcano dei tarocchi come uno scheletro in un’armatura nera su un cavallo bianco. Non è la prima volta che la de Stefani s’interessa ai simboli occulti e magici, come dimostrano i suoi precedenti lavori sui tarocchi. La scrittura automatica fu un aspetto primario della mania spiritualistica ottocentesca, Carroll fu per tutta la vita un membro convintissimo della Society for Psychical Research e la sua biblioteca conteneva dozzine di libri sull’occulto. Nel racconto di Alice, il Re Bianco si rendeva conto di stare scrivendo un sacco di cose che non aveva intenzione di scrivere…

I giochi di parole erano assai diffusi nei salotti dell’Inghilterra vittoriana e di questo ne è consapevole l’artista che infatti intitola Oh pun legs, Alice! l’intero progetto articolato in tre atti. Le parole come nella scrittura automatica restituiscono a loro volta formule magiche.
E così per richiamare il titolo della prima mostra/performance For a geography of everyone’s life, l’artista delinea un cerchio di luce rossa a neon. Nelle dottrine esoteriche questa forma geometrica senza inizio e né fine, rappresenta il ciclo continuo della vita.
In quanto circuito chiuso il cerchio diventa un simbolo magico di protezione dal male, una sorta di amuleto come lo sono l’anello o la corona. Alice alla fine del suo viaggio viene incoronata Regina come un guerriero che ha sconfitto il male. White Running titolo della seconda performance è rappresentato invece da un quadrato di luce a neon bianca.

Il quadrato è la corsa della Regina Bianca e di Alice nella scacchiera. Mentre il cerchio descrive il ciclo la vita, il quadrato delinea i confini entro i quali si manifesta la vita. I mandala tantrici o architettonici sono quadrati con quattro porte cardinali. I quadrati magici erano suddivisi come scacchiere in nove caselle alle quali erano associati caratteri alfanumerici proprio come nel gioco degli scacchi. La combinazione matematica di questi caratteri sulla scacchiera veniva associata a formule occulte che servivano a sconfiggere il male. Le chiese quadrate sono numerose soprattutto in Gran Bretagna ed un esempio è proprio la cattedrale di Oxford. Infine la terza ed ultima tappa di questo progetto dedicato ad Alice intitolato dall’artista Trough the looking-glass, and what ALICE found there
è raffigurato con un albero, soggetto ricorrente nell’arte della de Stefani. L’albero mette in comunicazione il mondo ctonio con quello uranio e riunisce tutti gli elementi acqua, terra, aria e fuoco .

Nel mondo oltre lo specchio di Alice la campagna disegnata a scacchiera e suddivisa da ruscelli e siepi, si alterna al bosco. Ed è ai piedi di un grande albero che la Regina Rossa lascia Alice riposare quando costei riprendendosi da quell’inverosimile corsa pensa: “Ehi ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest’albero! E’ tutto è esattamente come prima!” Non sorprende così che il volo pindarico della fantasia di Alice sul quale si basa l’intero racconto, sia avvenuta proprio ai piedi di un simbolo cosmico come l’albero. Solo quando l’umano entra in contatto con la natura il viaggio iniziatico può dirsi compiuto.

L’intero complesso delle opere presentate dall’artista a Vicenza, Rovereto e Venezia richiamano l’arte concettuale degli anni ’60 dove l’oggetto artistico si smaterializzava confluendo nel suo significato e componendo una semplice parola o un concetto. In particolare l’uso dei neon nella produzione artistica della de Stefani, ricorda Joseph Kosuth quando dichiarò di aver cominciato a lavorare con il neon perché gli piaceva l’idea di usare un materiale impiegato per la pubblicità ma che poi era finito ad usarlo per le sue qualità tecniche in quanto il neon “ ha una fragilità che lo rende più simile alla scrittura. Non è permanente. Ha una diversa dimensione della permanenza”.

Adolfina de Stefani seppur prendendo spunto dalle precedenti correnti artistiche (a partire dal surrealismo) che avevano riesumato la scrittura come espressione intima della psiche e dell’animo umani, se ne distanzia in quanto non è il contenuto della scrittura in sé che interessa l’artista, quanto le sue potenzialità plastiche ed estetiche. Non a caso fonte d’ispirazione per Adolfina diventa proprio un’opera di non senso come i racconti di Carroll che evidenziano come la scrittura, il linguaggio non siano forme d’espressione universali ed assolute ma mutevoli ed ingannevoli. Oltre lo specchio esistono infinite realtà diverse, dove l’impossibile diventa possibile svelando la vera natura delle cose. Tutte le convenzioni cessano di esistere e così è anche per la scrittura tant’è vero che il dialogo nei racconti di Carroll non avviene secondo un rapporto dialettico tra i rispettivi interlocutori.

Lo dimostra il fatto che le domande nel racconto spesso rimangono inevase e i personaggi sembrano parlare ognuno secondo la sua propria direzione e visione delle cose, le quali vanno prendendo le sembianze stesse delle parole. La scrittura così diviene come una materia plastica e incandescente capace di plasmare il mondo in assoluta libertà. L’artista è affascinata da questa nuova bellezza etica ed estetica che scaturisce dai racconti di Carroll, dal suo mondo misterioso dove ai fiori, agli animali come agli scacchi e a tutte le altre cose vengono riconosciute pari identità e dignità che agli esseri umani. L’arte nella de Stefani è in rapporto speculare con la vita e diviene lo specchio magico di Alice, nel quale si riflette l’umana realtà e attraverso il quale è possibile poi osservarla.

La conoscenza profonda della vita si ottiene con lo stesso meccanismo del libro dello Specchio, dove le parole invertite da destra a sinistra diventano comprensibili solo se lette attraverso lo specchio. Il viaggio della memoria che ripercorre nel verso contrario il tempo, sottintende l’artista, è un viaggio senza ritorno poiché il presente senza il passato non è nulla ed è solo nel passato che possiamo trovare il senso del presente, solo ingannando il rigore freddo e matematico della ragione c’è ancora speranza di salvezza per l’uomo.
L’artista nascondendosi dietro le lenti scure degli occhiali da sole appare assorta nei suoi pensieri, seduta su una panchina. Riflette sulle assurde superficialità della vita. Ma appena vede Alice il suo sguardo s’illumina e così alzandosi prende per mano la bambina e sorridendo si avvia con lei oltre lo specchio ripercorrendo le caselle della sua personale esistenza. “Mi hai svegliato da un sogno, oh! Così bello! E mi hai accompagnato… per tutto il mondo dello Specchio”
Roberta Semeraro

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Luigi Milani
Ladri di Biciclette

a cura di Silvia Prelz

11 Maggio-11 Giugno 2012

Nei prestigiosi spazi di Palazzo Zenobio – collegio Armeno, custodi di Tiepolo e Carlevarijs, Luigi Milani presenta i suoi “Ladri di Biciclette” che incantano per eleganza, armonia ed equilibrio cromatico, senza nessun intervento pittorico dell’Artista. L’Arte è cosa della mente, come ebbe a dire Leonardo da Vinci, e Milani, infatti, ancora una volta dimostra che è l’idea la vera protagonista del processo artistico.

Luigi Milani, 1957, di Rovigo, inizia a dipingere per hobby nel 90 dapprima eseguendo copie, in vari formati, delle opere di grandi artisti dell’arte moderna e contemporanea. Si appropria presto del colore di Depero, del gioco di Mirò e del ritratto di Lichtenstein, nella convinzione di poter assimilare da ciascuno non solo la tecnica pittorica, ma soprattutto un linguaggio emozionale indispensabile alla costruzione del proprio stile. Si ispira alla Pop Art storica e ai suoi rappresentanti, con diversi rimandi culturali: dal graffitismo urbano al mondo dell'underground, dall'uso di materiali diversi come plastica e resine, al mondo dei fumetti giapponesi, dall'urban art al web design, fino al concettuale. Ed è proprio attingendo al concettuale e all’”idea” quale protagonista principale del processo artistico, che Milani punta uno sguardo più attento all’Arte Povera. Attraverso la dimensione energetica e vitale dei materiali, soprattutto se di “scarto”, esprime la volontà di coinvolgere la sensibilità di una vasta gamma di fruitori, e di attivare in loro meccanismi mentali liberatori che consentano di accedere alla dimensione poetica dell’opera e al suo significato artistico intrinseco.

Partecipa a vari concorsi artistici: nel 2002 ad "Arte" è eletto tra i finalisti con un ritratto di donna, nel 2004, a "La Vela d'Argento" di Marina di Ravenna vince il primo premio con il ritratto di una ragazza seduta sulla spiaggia, adagiata su un asciugamano, dedicato ad Alighiero Boetti. Nel 2008 partecipa di nuovo ad "Arte" con l’opera intitolata "Ladri di Biciclette" e si qualifica tra i finalisti. Dal 2008 lavora infatti con “Ladri di Biciclette” ossia la serie di quadri creati applicando tessere, ritagliate da copertoni usati di biciclette, su legno e supporti vari, senza alcun intervento pittorico, e con le quali riesce a trasformare una materia semplice e di scarto in un merletto, in una tessitura che ricorda arazzi e tappeti persiani, dove armonia, equilibrio e senso del colore incantano. Finalmente trova in questo mosaico di tessere di gomma, che accosta per cromatismo, per forma, con tratti di sovrapposizione, la cosa che aveva tanto cercato nelle sue esperienze pittoriche precedenti: l’emozione.

Tocca con mano la storia di tanti percorsi di vita che si srotolano lungo strade, vie cittadine, viottoli di campagna, sentieri. Prova gioia nell’assemblarli dando loro un ordine diverso, fatto di colore e forma, quasi a intervenire su quei flussi di vita tanto casuali da poter essere riordinati in modo diverso. Gli sembra di poter raccogliere così esperienze, emozioni, vissuto di tante persone diverse ma accomunate dallo stesso denominatore: la casualità. Ha la sensazione di poter fare una mappa immaginaria di tutti i percorsi fatti da quelle tessere di gomma, quasi che ogni suo quadro possa coprire tutto il territorio essendo diventato la somma di tanti percorsi su strada, ma contemporaneamente anche il contenitore di tanti percorsi di vita, di tante emozioni, di tanti sentimenti, di tante storie.

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Cristina Maulini

11/05 al 17/06 2012

In Laguna, nel cuore storico del Sestiere Dorsoduro, lungo il pittoresco Rio dei Carmini, spira un vento di rinnovata fertilità artistica, che prende forza e consistenza nello stupendo scrigno barocco tardo seicentesco di Cà Zenobio, sede del Collegio armeno Moorat-Raphael, che presenta nella corrente stagione espositiva appuntamenti di assoluto prestigio e spicco culturale. Tra questi la personale dell’artista Cristina Maulini che vive e lavora a Roma.

Dalla ricerca con la fotografia di un linguaggio proprio, recupera l’analisi della visione che esplora la complessità del segno. Proprio la riconducibilità del suo segno ci guida verso un’attenzione materica che quasi ipnotizza, lasciando all’occhio la libertà di perdersi nelle sue opere pittoriche monocromatiche. Ad un certo punto, poi, sentiamo che lungo il percorso ogni sua opera decide in che direzione andare, scappa alla progettazione, ed il segno, si anima, si stratifica, diviene reale. E’ solo un’illusione di casualità, ed il meticoloso lavoro, la precisione, che rileviamo subito, ne è la prova. La scelta monocromatica delle sue tele nasce dalla volontà di focalizzare sul segno la percezione del movimento ritmico, pronto a cambiare direzione, quasi spinto da un vento.

Il punto di osservazione dei suoi quadri non è frontale, neanche possiamo girarci intorno, ma dobbiamo cercarlo di volta in volta, a seconda della luce, della direzione dei segni, di ciò che ci circonda, e questa ricerca visiva favorisce la nostra attenzione, così da assimilare meglio le forme finalmente trovate. Luce ombra vento colore danzano nello spazio, in una vertigine, in una caduta, e lasciano impressa nella nostra percezione anche la suggestione di un alito di musica che li accompagna, per concludersi infine in uno spettacolo leggero forse solo sognato.
Alessandra Franchina

Patrocini:
Comune di Venezia - Provincia di Venezia e della Regione Veneto

In collaborazione con:
Galleria L’Affiche, Milano - Barbarian Art Gallery, Zurich - Galerie Metropolis, Paris - Galerie Charlotte Moser, Geneva - Galleria Oredaria, Roma - Galleria Michela Rizzo, Venezia - Galleria Pack, Milano

Ringraziamenti:
Natasha Akhmerova - Costantino Bormioli - Bussetti e Mazza - Antonio Manca - Francesco Mantero - Guglielmo Melodia - OFFICINA MECCANICA BB RRL - Marie-Madeleine Opalka – OTTONOTE - TECHWOOD

Contatti:
Roberta Donato, PR & Comunicazione
press@scatolabianca.com
Ph: +39 340 1197 983

Inaugurazione 11 maggio ore 18

Palazzo Zenobio per l'Arte - Ca' Zenobio
Fondamenta del Soccorso, 2596 Dorsoduro - Venezia
Tutti giorni dalle 11 alle 17. Chiuso il lunedì
Ingresso libero

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Sergei Nazarov
dal 4/6/2013 al 30/8/2013

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