The exhibition comprising about 80 works, focuses on Hodler's late phase (1913-18) when he turned once again to the great themes of his life and activity, representing them in series and variations: his involvement with self-portraiture, his depictions of the Swiss Alps, his fascination with women, death...
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a cura di Ulf Küster e Jill Lloyd
Con «Ferdindand Hodler», la Fondation Beyeler è il primo museo svizzero a proporre l’opera
tarda dell’artista in una mostra di ampio respiro, che non solo raccoglie i maestosi paesaggi alpini
del pittore ma tocca anche le altre grandi tematiche della sua arte. Si pensi all’introspezione
attraverso l’autoritratto, alla fascinazione per la donna, la morte e l’eternità. La portata
internazionale di Hodler per l’arte moderna si evidenzia proprio in questo ultimo periodo della sua
attività, fra il 1913 e il 1918, quando le sue composizioni si fanno più radicali e astratte.
Sensibile interprete di se stesso e ribelle, con stretti legami a Monaco di Baviera, Vienna e Parigi,
Ferdinand Hodler ha caratterizzato come nessun altro artista il volto della Svizzera. Le sue opere
appartengono alla memoria culturale del paese. L’intento della rassegna è di mettere in luce la
rilevanza internazionale di Hodler quale precursore della pittura moderna.
La mostra
newyorchese «Ferdinand Hodler – View to Infinity», allestita nel 2012 alla Neue Galerie di New
York congiuntamente con la Fondation Beyeler di Riehen/Basilea e dedicata alle opere della
maturità di Hodler, ha costituito il più importante evento espositivo sul pittore svizzero negli Stati
Uniti: l’artista, che i secessionisti viennesi additarono a modello, vi è stato presentato come un
pioniere e antesignano della modernità.
I paesaggi hodleriani, le serie con le vedute del lago Lemano, delle cime, dei massici alpini e dei
torrenti di montagna, così come il ritmo quasi danzante dei ritratti, sono scaturiti dall’idea
dell’artista che il mondo reale e la sua rappresentazione creativa per mezzo dell’arte obbediscano
alle leggi del parallelismo: «Il parallelismo è un principio che va oltre l’arte, perché governa la
vita!», così C.A. Loosli cita il suo amico pittore.
Per «parallelismo» Hodler intendeva un
succedersi ripetitivo ma mai uguale di linee e movimenti, p.es. anche di vette e nubi, che
determinano sia il carattere di un paesaggio sia le emozioni che esso suscita nell’osservatore.
Parallelismo come percezione stilizzata, che tuttavia non nega l’individualità: analogamente a un
canto a più voci, a una sorta di corrispondenza ritmica della vita, linee e movimenti si combinano
armoniosamente tra loro, come nella grande versione di Sguardo sull’infinito conservata a
Basilea. Lo stesso Kandinskij riconosceva nel genere della «composizione melodica» hodleriana
un modo per eliminare il dato oggettivo e conferire autonomia alle linee e alle forme.
Il dipinto Sguardo sull’infinito testimonia anche l’interesse di Hodler per le riforme del ballo
introdotte fra gli altri da Isadora Duncan ed Emile Jaques-Dalcroze con la danza moderna.
La
predilezione per la naturalezza dei movimenti, per il libero utilizzo del corpo, che Jaques-Dalcroze
in quanto coreografo coltivava, affascinavano Hodler, cui non sfuggiva la carica erotica delle
movenze naturali, non codificate. In tali movimenti fluidi e ricorrenti, nel ritmo infinito con
variazioni di figure Hodler ravvisava la manifestazione del parallelismo nonché il bel flusso e
riflusso della vita e della morte, e in ciò anche quanto unisce tutti gli esseri umani. Intorno al 1911
Paul Klee, che di Hodler non accettava acriticamente il patos e l’abilità negli affari, espresse
tuttavia ammirazione per la sua capacità di «rappresentare l’anima attraverso il corpo».
La tecnica del pittore oscilla tra il figurativo e l’astratto. Grande amante di ausili tecnici (tra l’altro
usava il compasso), Hodler non esitava a servirsi del calco e impiegava il cosiddetto vetro di
Dürer, sulla cui lastra trasparente disegnava i contorni del soggetto che successivamente
riportava su altro supporto secondo un minuzioso procedimento di misurazione. In parte
riproduceva anche il profilo delle catene montuose nei suoi paesaggi, cosicché esistono
numerose opere in svariate versioni, talora replicate a distanza di anni dalla loro genesi.
La piacevole conseguenza di questa prassi era che il pittore poteva soddisfare la grande
richiesta di dipinti.
Qui il pensiero del parallelismo si fa seriale, un aspetto saliente nell’opera hodleriana. Come si
può osservare, soprattutto le figure monumentali sono composte da singole parti che ritornano in
varianti e combinazioni ogni volta nuove. La teoria del parallelismo di Hodler, non sempre
apprezzata dai colleghi artisti che deridevano quel metodo compositivo quasi pedantesco, trovò
espressione nella ricerca del pittore di corrispondenze formali e di simmetria, e in particolare nella
ripetizione di forme simili o rispettivamente nella ripetizione variata di forme simili per creare un
ordine. L’industrializzazione incalzante sortì effetti estetici oltre che economici: la riproduzione
meccanica di un modello ha strutturato la visione moderna e generato direttamente o
indirettamente l’evoluzione della forma. Ferdinand Hodler, però, coniugava la propria ricerca di un
ordine formale perfetto, di parallelismo e di simmetria, con un altro concetto, l’«unità», che
dichiarava la sua aspirazione ad un ordine superiore, ma implicava anche un numero industriale
di pezzi.
Allo stesso tempo Hodler era un appassionato della fotografia, che collezionava e utilizzava per
la preparazione e l’esecuzione delle sue opere. Non da ultimo alla sua ricettività verso il mezzo
fotografico, allora ancora relativamente giovane, si devono le straordinarie immagini lasciate
dall’amica e collezionista Gertrude Dübi-Müller, che ci svelano sia il modo di lavorare sia gli
aspetti più privati dell’artista, la sua indole e il suo ultimo giorno di vita. La mostra si apre con uno
spazio di documentazione, nel quale le testimonianze sulla vita e l’opera di Hodler si
accompagnano a numerose fotografie realizzate da Gertrude Dübi-Müller che ci restituiscono con
forza l’addio del maestro da Valentine Godé-Darel.
Hodler aveva a cuore «l’art pour la vie» e non «l’art pour l’art». Sconvolgenti per l’osservatore
sono i ritratti della sua compagna, Valentine Godé-Darel, colpita nella quarantina da un male
incurabile e raffigurata nella sua agonia fino alla morte nel 1915 in molti disegni e dipinti. In questi
lavori Hodler prova che la sua teoria del parallelismo si basa davvero sull’attenta osservazione
della vita, giacché il suo sguardo è lucido eppure amorevole, profondamente umano nella resa
del decadimento fisico di Valentine, senza concessioni allo «splendore delle sue linee». A
quattordici opere di questo ciclo la mostra riserva una sala intera. Nei loro contorni le effigi di
Valentine morente evocano paesaggi di sofferenza. D’altra parte le piccole vedute del Monte
Bianco e del Lemano schizzate da Hodler dopo la scomparsa di Valentine segnano il passaggio
verso una maggiore libertà nell’uso del colore.
Il focus della mostra è sulle famose e popolari pitture di paesaggio che celebrano la magnificenza
e maestosità delle montagne svizzere. Hodler mette in scena vedute alpine sia ravvicinate sia
panoramiche, con un effetto che porta le vette in primo piano come nello zoom di un obiettivo
fotografico e rapidamente le allontana quasi fossero apparizioni eteree. L’artista, che fin qui
aveva sempre privilegiato l’uso espressivo della linea e lavorato a partire dai contorni, in questi
paesaggi procede per campiture di colore.
Si preannuncia la pittura astratta a distese monocrome
di un Marc Rothko o di un Barnett Newman. Nelle sue «riprese ravvicinate» la qualità materica di
torrenti e formazioni rocciose è rivelata dalla luce chiara e abbagliante. Le vedute puristiche
rinunciano ai dettagli, tranne qualche particolare appena accennato e misterioso come le mucche
al pascolo in lontananza, i limiti della vegetazione arborea o i cigni sulla riva del lago. Tra
l’osservatore e le cime c’è una grande distanza, sottolineata da distese d’acqua, foschia e nuvole
che riassorbono le Alpi in un quadro meditativo, astratto. L’inquadratura è di primaria importanza
per il pittore: presiede all’ordine, alla simmetria, e rappresenta uno «scorcio dell’infinito».
L’approccio sperimentale alla ripetizione delle formazioni di nubi richiamano gli ovali con gli alberi
e i moli di Piet Mondrian.
Una sintesi analoga tra vicino e lontano si nota anche negli autoritratti di Hodler. Lo sguardo è
interrogativo, scettico, rivolto all’osservatore; il portamento denota sicurezza di sé. Personaggio
contradditorio – artista, seduttore, appassionato teorico ed esperto del parallelismo – al tempo
stesso sensibile, pragmatico e sanguigno, Hodler era un artista assai estroverso, perfettamente
in grado di gestire le critiche occasionali alla sua opera e, in gioventù, di ricercare quasi con
aggressività la partecipazione a concorsi e mostre pubbliche.
Hodler ha seguito un percorso evolutivo dalla figurazione a contorni netti degli anni giovanili alla
pittura per forme delineate con il colore. Se inizialmente nei suoi propri «dieci comandamenti»
egli menzionava soltanto la superficie quale punto di partenza geometricamente divisibile,
mediante i cui possibili contorni infine si arrivava alla linea, verso il tramonto della vita si espresse
in modo molto differenziato sul ruolo del colore nella sua opera. Giunse alla conclusione che la
forma vive attraverso il colore. L’azzurro, ricorrente nei paesaggi lacustri e alpestri come pure
nelle fluenti vesti delle figure femminili in Sguardo sull’infinito, era il suo colore preferito. Anche
nella mostra prevale l’azzurro tipico di Hodler.
A corollario dell’esposizione è prevista una serie di eventi, fra cui lo spettacolo «Drei Engel» del
noto cabarettista Emil Steinberger. Il prof. Oskar Bätschmann presenterà il secondo volume del
«Catalogo ragionato» sull’opera di Hodler, frutto della collaborazione con l’Istituto di studi d’arte,
Zurigo. Il medico e autore di successo Gian Domenico Borasio terrà una conferenza sul suo libro
«Über das Sterben» (Sul morire). Il curatore Ulf Küster introdurrà la nuova biografia «Ferdinand
Hodler», inoltre una tavola rotonda in collaborazione con «Das Magazin» e moderata dal
caporedattore Finn Canonica completerà il programma delle iniziative. Ulteriori informazioni si
trovano nel foglio allegato.
La mostra è curata da Ulf Küster (Fondation Beyeler) e Jill Lloyd (Neue Galerie).
I prestiti figurano nel novero delle opere cardinali dell’artista e provengono da prestigiose
collezioni private svizzere e statunitensi, nonché da importanti musei nazionali e internazionali,
come il Musée d’art et d’histoire, Ginevra, il Kunstmuseum Basel, il Kunsthaus Zürich, il Musée
d’Orsay e il Kunstmuseum Solothurn.
Accompagna la mostra un catalogo in tedesco e in inglese pubblicato dalla Fondation Beyeler.
L’edizione per le librerie esce per i tipi dello Hatje Cantz Verlag, Ostfildern. Il catalogo contiene
una prefazione di Sam Keller e Ulf Küster, saggi di Oskar Bätschmann, Sharon Hirsh, Ulf Küster,
Jill Lloyd e Paul Müller, come pure un excursus di Peter Pfrunder. La pubblicazione di 212
pagine, corredata da circa 200 illustrazioni, è ottenibile presso il museo al prezzo di 68 CHF
(ISBN 978-3-906053-05-9, tedesco; ISBN 978-3-906053-06-6, inglese).
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curated by Ulf Küster e Jill Lloyd
The Fondation Beyeler is the first Swiss museum to present a comprehensive exhibition of
Ferdinand Hodler's late work. His international significance for modern art becomes
especially apparent from these final years of his career.
Hodler, whose paintings shaped the self-image of Switzerland like no other artist's, was at
the same time one of the most important artists of the transition period from the 19th century
to Modernism. The Fondation Beyeler show, comprising about 80 works, focuses on Hodler's
late phase (1913-18). On view are works executed during the last five years of his life. By
this time the artist, who came from a socially deprived background, no longer needed to
prove anything, as he was prosperous and widely recognized. In his late paintings he turned
once again to the great themes of his life and activity, representing them in series and
variations: his involvement with self-portraiture, his legendary depictions of the Swiss Alps,
his fascination with women, death and eternal life. Hodler's works grew increasingly radical
and abstract.
The exhibition begins with a document room, in which not only Hodler's life and oeuvre are
reviewed but the photographs are displayed which his close friend and collector, Gertrud
Dübi-Müller, made of him and his family on the day before his death. The overall focus of the
exhibition lies on Hodler's landscapes, especially his close-up and distant depictions of the
Alps. During the final years of his life Hodler, suffering from consumption, was hardly able to
leave his Geneva apartment. From the balcony, usually in the early morning, he painted
version after version of the view over Lake Geneva to Mont Blanc. His concern was with the
essence of painting, color and form, and with the pantheistic unity of nature. Having to this
point always very strongly emphasized contours and proceeded from outlines, Hodler now
became a painter of color areas, foreshadowing the abstract color field painting of a Mark
Rothko or Barnett Newman.
Especially important and moving are his depictions of the suffering and death of his lover,
Valentine Godé-Darel, to which an entire exhibition room is devoted. Probably never before
had the transition from life to death been recorded so intensely and radically in art. In
parallel, based on countless sketches, Hodler's last composition with figures emerged, View
into Endlessness. The depiction shows five female figures in dancing poses whose
arrangement can be imaginatively continued into infinity. The Fondation Beyeler has
succeeded in obtaining on loan not only the largest version, the Basel version, but also the
variants of the composition that Hodler retained in his studio.
A special concern of the exhibition is to define Hodler's importance as a pioneer of modern
painting. The show was conceived in collaboration with the Neue Galerie, New York. After a
long intermission, the artist's work was previously displayed in the U.S., at one of the most
renowned of New York museums.
Exhibition curators are Ulf Küster (Fondation Beyeler) and Jill Lloyd (Neue Galerie).
The loans on view in the exhibition come from renowned Swiss and American private
collections and from distinguished national and international museums.
The exhibition will be accompanied by a Fondation Beyeler catalogue in German and
English. The trade edition is published by Hatje Cantz Verlag, Ostfildern. The catalogue
includes a foreword by Sam Keller and Ulf Küster, essays by Oskar Bätschmann, Sharon
Hirsh, Ulf Küster, Jill Lloyd and Paul Müller, as well as an appendix by Peter Pfrunder. The
publication comprises 212 pages with approx. 200 illustrations, and will be available at the
museum for 68 CHF (ISBN 978-3-906053-05-9, German; ISBN 978-3-906053-06-6, English).
Press information:
Elena DelCarlo, Head of Public Relations Tel. + 41 (0)61 645 97 21, presse@fondationbeyeler.ch
Per l‘Italia: Francesco Gattuso +39 335 678 69 74, gatmata@libero.it
Media Conference on Thursday, 24 January 2013, 10.30 / 11.30 am
Fondation Beyeler, Beyeler Museum AG
Baselstrasse 77, CH-4125 Riehen, Switzerland
Open every day, 10:00 a.m. – 6:00 p.m., Wednesdays, 10:00 a.m. – 8:00 p.m.
The museum is open on Sundays and on all public holidays.
Admission:
Adults CHF 25
Groups of at least 20 people and disabled visitors with ID CHF 20
Students, under 30 CHF 12
Family Pass (2 Adults and at least 1 child under 19) CHF 50
Children, aged between 11 to 19 CHF 6
Children under age 11, Art Club Members free admission