Ricordi. Maschere lontane da qualsiasi possibilita' di impiego funzionale, ma piuttosto simbolo e metafora di qualcosa d'altro rispetto a cio' che rappresentano.
Scrive Francesca Pensa:
Qualche opera di Fernando, negli anni, avevamo potuto verderla: sempre in una collettiva, mescolata ad altre, in
qualche caso proprio qui nello Spazio Hajech.
Tutti sapevamo che Sambati lavorava e produceva anche come artista e qualche collega, che aveva potuto vedere le
sue cose nel suo laboratorio, gli aveva chiesto quando avrebbe voluto esporle: Fernando era stato vago, ma aveva
affermato di non essere ancora pronto, di non avere ancora pezzi sufficienti per allestire quella rassegna che il
Liceo di Brera tributa ai suoi docenti appena pensionati.
Tutti sappiamo purtroppo come è andata: oggi apriamo la mostra dedicata alle opere di Fernando Sambati in sua
memoria, in una esposizione che, oltre a presentare il suo lavoro al pubblico, vuole essere un ricordo pieno di
affetto verso un collega che ha dedicato tutta la sua carriera scolastica a questo istituto.
La prima cosa che colpisce osservando i lavori di Fernando è la scelta iconografica: a parte qualche pezzo isolato di
soggetto diverso, la gran parte delle opere rappresenta volti e facce che possono essere ricondotti alla tipologia
della maschera, realizzati in una tridimensionalità plastica dalle dimensioni abbastanza importanti.
Maschere
comunque lontane da qualsiasi possibilità di impiego funzionale, ma piuttosto simbolo e metafora di qualcosa
d'altro rispetto a ciò che rappresentano, come è spesso avvenuto per questo tema nell'arte della modernità a partire
dal novecento; molti sono stati infatti gli artisti che hanno impiegato questa iconografia nella loro arte, da Klimt a
Schiele, da Picasso a Heckel, da Kirchner a Ensor, per il quale la maschera costituiva l'elemento fondante della
propria poetica espressiva; altrettanto numerosi sono stati anche gli artisti italiani che si sono ispirati a questo
soggetto, come Severini, Carrà, Casorati, Carpi.
Ma le maschere di Fernando sono diverse, non solo perchè alla base di esse vi è una scelta originale e individuale,
ma anche perchè da ciascuna di esse paiono emanare una storia e un'idea che si rivelano profondamente connesse
alla vicenda particolare del loro autore.
Innanzi tutto va considerato attentamente il fatto che le maschere sono realizzate utilizzando la cartapesta, tecnica
non frequentissima in arte, sebbene ricca di una lunga e significativa storia. La cartapesta è infatti la materia
scultorea dei poveri, capace di fingere materiali diversi, travestendosi camaleonticamente dei colori e della
consistenza di sostanze lapidee e metalliche: la cartapesta è poi protagonista, nella piena tradizione barocca
declinata nella celebre architettura in pietra dorata e solare, della scultura del territorio leccese, quello dove
Fernando era nato e al quale non aveva mai smesso di essere profondamente legato.
La scelta della cartapesta, nell'opera di Sambati, si rivela quindi non semplicemente estetica, ma legata a una
simbologia più profonda, che evoca la biografia dell'artista e anche le sue convinzioni, che lo hanno portato
naturalmente a preferire tra i materiali più diversi quello significativamente poverissimo ma anche
espressivamente ricchissimo.
Ma in queste opere non vi è solo il richiamo al territorio d'origine, da intendere come ricerca delle proprie radici in
una dimensione storica che sappia dialogare efficacemente con il presente, lontana e opposta (pare superfluo
chiarirlo ricordando la personalità di Fernando) a qualsiasi miope campanilismo rivendicativo di supposti e
immaginari primati; come appare chiaro dall'esame di alcune maschere realizzate dall'artista, anche l'arte africana
ha costituito per Sambati un altro importante riferimento, oltre che una grande passione, come capivano
immediatamente tutti quelli che entravano nella sua casa, magari per una di quelle memorabili cene di cui era
regista magistrale, trovandosi a condividere lo spazio con sculture africane dalle misure e dai soggetti più diversi.
Inutile anche in questo caso sottolineare quanto il riferimento all'arte africana costituisca fin dal novecento un
punto sostanziale e un motivo fondante nella produzione espressiva, come esemplarmente mostra Les demoiselles
d'Avignon di Pablo Picasso, tela caratterizzata da evidenti richiami alle forme e alle modalità compositive dell'arte
extraeuropea.
Ma anche in questo caso non penso si sia trattato solo di una scelta culturale o estetica: anche qui deve aver contato
la storia dei popoli del continente africano, ai quali è facile immaginare sia andata l'attenzione di Sambati, i cui
interessi vivevano equamente, come rivelano le sue opere, di slanci emotivi e di ragionamenti meditati.
E così si definisce l'arte di Fernando, che però non deve essere scambiata per semplice riproposizione di spunti
visivi colti di qua e di là del Mediterraneo: la forma che l'artista ha scelto per le sue opere è infatti assolutamente
moderna.
I colori sono quelli mediterranei, squillanti e coinvolgenti, ma la loro valenza comunicativa è volutamente
contemporanea, come veicoli di percezioni e sensazioni interiori. Il segno rivela poi una raffinatezza e una maestria
che derivano da una preparazione accademica e tradizionale, piegata e declinata nella definizione di forme e volumi
che determinano composizioni legate al presente.
E quelle immagini totemiche, che possono sembrare spaventose oppure grandiose e quasi eroiche, parlano alla
nostra coscienza di uomini contemporanei, che in quei volti arrivano a leggere storie personali trasformate in
mitologie e leggende della modernità o memorie collettive e individuali di eventi pervasi da timori profondi e
ancestrali.
Questo oggi ci lascia Fernando Sambati e questo oggi presentiamo nello Spazio Hajech, in una mostra che è, per
tutta la comunità del Liceo Artistico di Brera e per chi vorrà essere presente, un'occasione per ricordare questo
nostro grande amico, che tanto ha dato a questa scuola e a tutti noi.
Biografia dell’artista
Nato a Lecce nel 1950, ha studiato all'Accademia di Belle Arti della sua città.
Nel 1976 si trasferisce a Milano: comincia in questo anno l'insegnamento presso il Liceo Artistico di Brera,
inizialmente come assistente di Mimmo Paladino sulla cattedra di Ornato Disegnato e successivamente come
docente di Discipline Pittoriche.
Nell'istituto milanese l'artista conduce la sua intera carriera lavorativa, partecipando in modo attivo alla vita del
liceo dagli anni settanta fino al 2011, anno del suo pensionamento.
Nel 1978 è tra i promotori delle diverse iniziative che il Liceo intraprende dopo l'uccisione di Fausto Tinelli,
studente della scuola e allievo di Sambati: il suo impegno civile come docente è stato del resto un elemento
costantemente presente nel suo percorso lavorativo, come testimoniano la sua partecipazione a vari Consigli di
Istituto come rappresentante dei docenti e la sua presenza alla Commissione “Fausto e Iaio”, di cui è stato uno dei
promotori e fondatori. E' stato più volte eletto RSU (Rappresentante Sindacale), raccogliendo la fiducia dei
lavoratori del Liceo Artistico di Brera.
Sul fronte della produzione artistica, lo vediamo inizialmente impegnato nella ricerca di un'arte aperta alla
provocazione, i cui prodotti creativi, comprendenti anche forme e tecniche non accademiche, chiedevano allo
spettatore una partecipazione attenta e critica.
Successivamente si è avvicinato a modalità espressive più tradizionali almeno nella scelta dei materiali, elaborando
un proprio originale linguaggio visivo che ha trovato i suoi migliori risultati nella produzione in cartapesta.
L'artista è mancato a Lecce il 2 gennaio 2013.
Inaugurazione: Giovedì 7 marzo 2013, ore 18.00
Spazio Laboratorio Hajech
via Camillo Hajech, 27, Milano
Orari: Da lunedì a venerdì ore 9.30-14.30
Sabato ore 9.30-12.30
Ingresso libero