Morti Bianche. "Una pittura formata da continui passaggi di colore. Estenuanti stesure. Piccoli interventi grafici. La volonta' di raccontare..." (da un testo di Carla Colletti Vo).
“ … come possiamo decidere di rientrare, con questo freddo, al buio, con la testa avvolta nel pallone della confusione. Aspettiamo, qualcuno arriverà. Saranno già partiti... “
Con queste brevi parole, prese a prestito da un testo sconosciuto, ho deciso di cominciare l'avventura di dover presentare le opere di Gianluca Leva. Sconosciuto. Indolente.Scorbutico artista bergamasco che ha intrapreso il tentativo di rappresentare uno dei flagelli più anomali che la nostra società racconta con le parole dell'indifferenza.
“ Le Morti Bianche”.
Una carneficina. Ogni anno, in Italia, si consuma una battaglia, di una guerra infinita, che lascia sul terreno migliaia di morti. Un terreno non lontano, che rappresenta il quotidiano diognuno di noi, che si raffronta, nello specifico, con la speranza di poter e dover vivere.
Vivere. Verbo, invece, che si allontana rapidamente dal nostro essere. Lontano dal desiderio.
Lontano dalla capacità di chiedere e di attendere risposte. Quella conoscenza che viene indicata nell'indifferenza quotidiana. Perché è la quotidianità che avvolge e alimenta questa guerra, nascondendone i confini. Lembi di umanità strappati dall'essere tale.
Donne e uomini, che, al mattino, escono e non rientrano più.
Vanno a lavorare. Compiono quel gesto “eroico”, che nella società del benessere, dovrebbe conoscere la normalità della vita. Eppure, lasciano al suolo il proprio sangue e altro, nel tentativo di poter vivere. Invisibili. Persone che si muovono, vive o morte, attorno a noi. Attendono.
Declinano. Scivolano
Per questo motivo, l'artista, ha deciso di raccontarLe, attraverso lo strumento della pittura.
Drappi di pittura che incoraggiano il pensiero, rifiutando le cadenze della retorica. Le tele.
All'interno di questi perimetri, si scorgono campiture violente, tratti grafici che impongono l'osservatore a ricercarne l'origine. Un gesto che si esprime con la consuetudine dell'imbarazzo, nell'indugiare con la segretezza del rispetto. L'instabilità del colore. La consapevolezza del racconto, che si muove dietro velature di origine caotica. Colature continue, cancellate, maltrattate. Manipolazioni. Materiali che si sovrappongono e che rimangono attorcigliati attorno ad un gesto. Una pittura formata da continui passaggi di colore. Estenuanti stesure. Piccoli interventi grafici. La volontà di raccontare, usando i materiali che hanno caratterizzato i racconti stessi. Le Tele si possono toccare, annusare, sfiorare con la luce del dubbio. Immagini che raccontano. Avvinghiate all'estremo bordo, superiore-inferiore. Tutto rimane all'interno. Nulla sfugge. Gli odori, le impronte, gli umori, le ferite, le urla smorzate, i liquidi persi da corpi privi di vita.
Le Tele, lunghe e strette, vengono intese come delle lapidi. Pietre sepolcrali. In successione, come colonne che ritmano lo scandire dello spazio. Il tempo
L'artista accompagna la pittura con la scrittura.
Ci aiuta ad entrare all'interno delle Tele, con le parole dei protagonisti. Un monologo. Parole che divengono pietre, sopra cui incidere, con lo sguardo, lo stupore dell'innocenza. Difende le parole sbiadite di una realtà lontana. Determinazione. Ad un simbolo. Ad una immagine. In successione, come gli
accadimenti del nostro reale. Perché ci appartiene e ci costringe a vedere. A sentire le voci delle immagini che si raccontano.
Carla Colletti Vo
Inaugurazione 18 maggio ore 18:00
viamoronisedici / spazioarte
via g. b. moroni 167a -24122 bergamo