Atelier Blumer all'Accademia di architettura. Sono presentati i lavori degli studenti, chiamati a pensare a un'architettura che galleggia sul Lago Maggiore.
a cura di
Atelier Blumer, USI–Accademia di architettura di Mendrisio, atelier verticale: Mario Botta, docente: Riccardo Blumer, assistenti: Matteo Borghi, Adrian Freire Garcia, Donata Tomasina
L’architettura d’acqua è un’architettura
che cambia continuamente. Deve tener conto
della legge del galleggiamento o prima Legge
di Archimede -il peso del volume dell’acqua
spostata dall’oggetto progettato immerso
deve essere uguale a quello dell’oggetto
stesso per non affondare-, del baricentro
di una forma geometrica, del peso proprio,
dell’appoggio.
Il Lago Maggiore, luogo entro cui gli
studenti del corso sono stati idealmente
chiamati ad intervenire, si trasforma
in un giardino, superficie libera sulla
quale una serie di padiglioni “stanno”,
sospesi sull’elemento liquido,
raggiungibili in barca e ancorati
oltre che tra loro anche al fondale
per mantenere la propria posizione.
Non si tratta di oggetti che per
galleggiare sfruttano un piano zattera,
né possiedono fondazioni subacquee
o zavorre di alcuna sorta; l’essere
sull’acqua è la loro caratteristica
fondamentale che ne presuppone la tipologia
costruttiva, nella quale spostando
l’acqua stessa sopra e sotto il livello
“zero”, ovvero facendo scavi e riporti,
e usando anche la legge del sottovuoto
della pressione atmosferica, si ottengono
inaspettati equilibri.
Non sono solo
oggetti fluttuanti ma suggestioni di
spazi che presuppongono un interno ed
un esterno, che sono ottenuti scavando
e riportando l’acqua stessa. In essi ogni
studente ha riposto il proprio pensiero
inerente un’architettura che galleggia,
la cui verità di “costruzione che poggia
sull’acqua”, soglia tra un mondo immerso
ed uno emerso, è stata verificata
attraverso la realizzazione di modelli
in p-etg termoformato con la tecnica
del sottovuoto. La scelta di un materiale
trasparente pone un’assoluta visibilità
della forma in relazione all’assenza
di zavorre di sorta imposta; sono
la sola geometria e le sue leggi di
simmetria a garantirne l’equilibrio.
Spesso mi immagino i primi esercizi di
uno studente di architettura come l’antico
passaggio oltre le Colonne d’Ercole, il
cui mistero deve essere promessa della
meraviglia di quello che sara'. Questa
e' la condizione della quale mi sento
responsabile. Sarebbe interessante capire
quali sono le attese dei giovani, i fattori
che li spingono verso questo percorso
formativo, le informazioni che ne hanno
determinato le scelte e soprattutto
l’immagine che essi hanno del mestiere
di architetto, sebbene l’esperienza
insegni che molte volte neanche loro
ne hanno coscienza.
Formalmente gli Atelier del primo
anno si definiscono di “introduzione
all’architettura”, una formula che indica
un avvicinamento alla materia escludendone,
o quantomeno sospendendone, il significato
di una diretta appartenenza. Distinguere
quando si fa architettura e quando
no, ovvero quando si è ancora in
un campo introduttivo piuttosto che
applicativo, è rilevante perché chiede
di interrogarsi su cosa sia. Questo periodo
di avvicinamento gode quindi del lusso
di immaginare il limite (se esiste),
senza dover definire la disciplina nel
suo specifico. Imparare a porsi domande
senza trovare risposte precise è il primo
paradosso su cui costruire le certezze
del mestiere.
Questo percorso è però
tutt’altro che semplice, soprattutto
nel nostro momento storico, che vede la
cultura progettuale fortemente aggredita
dai dettami delle specializzazioni e dalla
pericolosa ideologia creativa che tutto
indifferentemente è giusto e bello.
Tra questi due limiti ho cercato,
attraverso esercizi sempre diversi,
di consolidare nel corso degli anni
dei parametri di “garanzia” che diano
un fondamento creativo alla didattica
introduttiva o, come preferisco dire, alla
cultura propedeutica di questa disciplina.
Tra i vari parametri che toccano
direttamente la pratica architettonica,
mi interessa in particolare il senso di
verita'. L’architettura è una forma di
espressione che modifica lo stato naturale
delle cose, ovvero la realta' fisica.
In tal senso essa è “vera” al pari
dei fenomeni della natura, come lo
possono essere un monte o un tramonto.
Nell’accostarsi al progetto come
modificazione degli stati di Natura,
diventa inevitabile incontrare la
bellezza. Per restare nell’esempio prima
citato del tramonto, mentre si manifesta,
l’osservatore collega in modo inconscio
ed inscindibile la verità fenomenica
all’estetica.
Il senso della meraviglia permette
allora di percepire la corrispondenza
tra vero e bello ed è per questo motivo
che è necessario.
Riccardo Blumer
Ufficio Stampa Electa
tel +39 02 71046441 electalibri@mondadori.it electaweb.it
Inaugurazione giovedi' 11 luglio 2013 alle ore 20:30, ingresso libero
Casabella laboratorio,
via Marco Polo 13, Milano
martedì-venerdì 16-20, sabato 12-20
ingresso libero