Walter Chappell
Sara Cavallini
Tiziano Rossano Mainieri
Francesco Mammarella
Silvia Mangosio
Luca Monaco
Paola Pasquaretta
Eleonora Quadri
Cristina Serra
Valentina Sommariva
"Modena e i suoi fotografi 1870-1945" e' il primo capitolo di un progetto espositivo in due tempi dedicato alla citta' e ai suoi fotografi. La mostra si propone di raccontare come a Modena la fotografia, nei suoi oltre 170 anni di vita, sia sempre stata praticata ad altissimi livelli. La visione unica di Walter Chappell e' presentata in anteprima mondiale attraverso un'ampia ricognizione con oltre 150 fotografie vintage. Fino al 13 ottobre in mostra anche la collettva sul tema dell'Amore "Principianti - Di cosa parliamo quando parliamo d'amore?".
Walter Chappell. Eternal Impermanence
Fino al 2 febbraio
Si inaugura venerdì 13 settembre 2013, negli spazi espositivi dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena, Walter Chappell. Eternal Impermanence, una retrospettiva dedicata al fotografo americano Walter Chappell, fra i protagonisti più controversi della fotografia americana del XX secolo, la cui opera, intensamente provocatoria così come la sua vita, è rimasta celata a lungo. La visione unica di Chappell, capace di trascendere il tempo e i soggetti ritratti, sarà presentata in anteprima mondiale attraverso un’ampia ricognizione: oltre 150 fotografie vintage, realizzate tra gli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta, e la maquette originale di World of Flesh, libro rifiutato da vari editori americani – e dunque mai pubblicato – perché ritenuto all’epoca troppo esplicito nella sua celebrazione della vita e della natura.
La mostra, prodotta da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, è a cura di Filippo Maggia. Il pensiero e la visione del mondo di Walter Chappell (1925-2000) muovono dalle ricerche spirituali ed intimiste sviluppate tra gli anni Cinquanta e Settanta da artisti come Minor White, di cui Chappell fu allievo, e Paul Caponigro, per poi approdare a un territorio personalissimo, in cui la fotografia diventa la narrazione di un’esperienza di vita a stretto contatto con la natura e il mondo, intesi come campo d’azione e specialmente d’interazione. Prototipo dell’artista hippie, Chappell ha sempre rifiutato il concetto di arte come business, tenendosi lontano da gallerie e circuiti commerciali. Ha condotto un’esistenza appartata, bohemien e primitiva, all’insegna della celebrazione dell’amore come energia che regola il cosmo e della vita come flusso ciclico, nella sua fattoria di Velarde, nel New Mexico, costante approdo di artisti e figli dei fiori. La carriera di Chappell nel campo della fotografia d’arte prende avvio dall’intuizione di una realtà più profonda combinata con una tecnica fotografica estremamente precisa, che culmina in ciò che lui stesso definisce camera vision. Spirito curioso e anticipatore dei tempi, Chappell ha fotografato numerosi soggetti, ma a stimolare più di ogni altra cosa la sua visione interiore è stata la natura evocativa del corpo umano, spesso in associazione alle forme del paesaggio e della vegetazione. Proseguendo nella sua ricerca, Chappell ha cercato di comprendere l’origine del flusso creativo, di quell’energia che scorre attraverso le cose e le collega come un filo sottile, dando loro senso. Parallelamente, i suoi soggetti fotografici divengono sempre più connessi fra loro e meno differenziati.
Le scoperte di Chappell possono esprimersi in un autoritratto riflesso sul vetro di una finestra o negli infiniti riflessi della luce che danza sulla superficie dell’acqua, nella carne palpitante del ventre di una donna che partorisce una nuova vita, o, ancora, nei movimenti aggraziati della terra erosa dal tempo. Benché le sue radici affondino nella tradizione degli equivalenti di Stieglitz, molti considerano Chappell un pioniere al di fuori di ogni convenzione, creatore di una visione unica del paesaggio naturale, quel mondo che per tutta la vita ha amato fotografare e abitare. L’oggetto principale dei suoi interessi, nella vita come nell’arte, è stato il rapporto fra realtà e creazione, insieme al desiderio di esprimere efficacemente l’essenza di questi fondamenti filosofici attraverso il mezzo fotografico. La retrospettiva Walter Chappell. Eternal Impermanence sarà inaugurata in occasione del Festivalfilosofia, che si svolgerà dal 13 al 15 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo e sarà dedicato al tema “amare”. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira, corredato da tutte le immagini delle opere in mostra e da testi critici di approfondimento. In occasione della mostra è stata inoltre pubblicata e tradotta in italiano, sempre da Skira, la lunga intervista a Walter Chappell realizzata dal figlio Aryan, che ne raccolse le memorie biografiche poco prima della morte.
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Modena e i suoi fotografi 1870-1945
Fino al 2 febbraio
Una mostra per raccontare gli artisti che hanno fatto di Modena la città della fotografia, attraverso un percorso di settanta immagini provenienti da importanti collezioni storiche cittadine.
Si inaugura venerdì 13 settembre 2013, negli spazi espositivi dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena, Modena e i suoi fotografi 1870-1945, primo capitolo di un progetto espositivo in due tempi dedicato alla città e ai suoi fotografi.
Prodotta da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, a cura di Chiara Dall’Olio, in collaborazione con il Museo Civico d’Arte di Modena, la mostra si propone di raccontare come a Modena la fotografia, nei suoi oltre 170 anni di vita, sia sempre stata praticata ad altissimi livelli, facendo di questo territorio uno dei luoghi maggiormente sensibili all’arte dei sali d’argento.
Dagli atelier Orlandini, Sorgato, Bandieri, Andreola, ai grandi fotoamatori come Ferruccio Testi e Francesco Carbonieri, le immagini selezionate non intendono semplicemente raccontare la storia della fotografia modenese o delle trasformazioni urbanistiche del territorio, quanto piuttosto offrire l’occasione di apprezzarne la qualità e il valore artistico. Per Modena, inoltre, sono state poche le occasioni in cui si è guardato ai fotografi della prima metà del XX secolo come autori, più che come narratori. Si è voluto quindi rendere omaggio all’arte fotografica che dalla fine dell’Ottocento è la vivace produttrice di una cultura visuale di cui Fondazione Fotografia Modena è l’ultimo prodotto in ordine di tempo.
Alcune premesse sono fondamentali per leggere il lavoro dei sei autori che sono stati scelti come i più rappresentativi della fotografia modenese fra il 1870 e il 1945: Sorgato, Orlandini, Bandieri, Andreola, Testi, Carbonieri. Innanzitutto, il gruppo di autori in realtà è più ampio rispetto ai nomi presentati, perché all’interno degli atelier lavoravano diversi fotografi che non sempre è possibile identificare. Lo studio di più antica tradizione è quello dei Sorgato, in cui si avvicendano il padre Gaetano e il figlio Ferruccio, e dove operano come apprendisti altri fotografi. Lo studio Orlandini, nato quasi contemporaneamente ai Sorgato, vede avvicendarsi negli oltre 100 anni di attività, almeno quattro componenti della famiglia alla direzione, da Pellegrino, ai figli Enrico e Umberto, al figlio di questi Carlo, oltre a numerosissimi apprendisti. Emblematico il caso dello studio Bandieri, in cui padre e figlio, Benvenuto e William, lavorano insieme per quasi trent’anni, al punto che è pressoché impossibile distinguere le due visioni.
Il legame fra i fotografi professionisti è molto forte, al di là dei vincoli di parentela, perché ognuno di loro ha appreso il mestiere dall’altro: Gaetano Sorgato (che a sua volta ha imparato dal fratello Antonio) è il maestro non solo del figlio Ferruccio, ma anche di Pellegrino Orlandini, che formerà il figlio Umberto, che a sua volta trasmetterà l’arte della fotografia al figlio Carlo e a Benvenuto Bandieri. É fin troppo evidente come, oltre alla pratica, siano stati tramandati anche gli schemi compositivi e l’iconografia di stampo primo Novecento per tutta la metà del XX secolo. Molto diverso invece il caso di Andreola, o dei fotoamatori Testi e Carbonieri che, imparando l’uso della macchina fotografica da autodidatti, sviluppano una visione autonoma e una personale interpretazione dell’arte fotografica.
Sicuramente le due figure più influenti e artisticamente più rilevanti, sono state quelle di Umberto Orlandini e Salvatore Andreola. Differenti per formazione e impostazione del lavoro - fotografo e direttore d’atelier, editore, sperimentatore con un’eccellente visione estetica il primo, ritrattista e teorico del valore artistico e psicologico della fotografia il secondo – hanno in comune la passione per la fotografia come espressione artistica. Prova ne è il fatto che entrambi pongono le basi della propria ricerca personale nella fotografia pittorialista, il primo movimento che a livello internazionale alla fine del XIX secolo si concentra sulla realizzazione di immagini ai sali d’argento simili per composizione e utilizzo della luce alle pitture. Lo scopo era quello di dimostrare come la fotografia potesse essere un linguaggio artistico, al di là della meccanicità insita nella sua realizzazione. Umberto realizzò diverse stampe di sapore pittorialista intorno al 1905 che ricevettero riconoscimenti nazionali. Andreola arrivò solo negli anni Venti, ma la sua ricerca, non condizionata come quella di Orlandini dalle esigenze della gestione commerciale di uno studio con più di 10 collaboratori, approfondì le tematiche della luce e della ricerca artistica in maniera più completa e con risultati davvero eccelsi. Anche Ferruccio Sorgato fece diversi lavori pittorialisti, ma sembra che quel tipo di spinta verso una fotografia più moderna non abbia trovato spazio nel lavoro di atelier.
I fotoamatori come Testi e Carbonieri, entrambi appartenenti alla fascia benestante della società modenese, scelgono di fotografare ciò che più li attira e attraverso il loro sguardo ci restituiscono la vita quotidiana, le persone e i loro hobby, come le competizioni sportive. Non è un caso che la figura umana sia protagonista nelle immagini di ricerca personale di Umberto Orlandini, quasi a testimoniare che, liberi dal giogo del dovere, anche i professionisti si dedicano alla rappresentazione più autentica della vita, realizzando al contempo i loro migliori risultati artistici.
La mostra Modena e i suoi fotografi 1870-1945 sarà inaugurata in occasione del Festivalfilosofia, che si svolgerà dal 13 al 15 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo e sarà dedicato al tema “amare”. Come emerge dalle opere in mostra, l’espressione dei sentimenti ha connotazioni estremamente formali nella fotografia modenese di inizio secolo, dovute al pudore e alla riservatezza dell’epoca. L’affettività si traduce in gesti minimali, come la mano femminile che sfiora il braccio del consorte, o nella dolcezza dello sguardo che trapela dai ritratti di famiglia.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo di grande formato, edito da Skira, che conterrà tutte le immagini riprodotte a piena pagina e testi esplicativi sulla fotografia a Modena e sui singoli autori. Il libro costituirà il primo volume di un cofanetto, da completare successivamente con il catalogo della mostra “Modena e i suoi fotografi 1950 – 2000”, che si terrà a partire dal mese di marzo 2014.
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Fino al 13 ottobre
PRINCIPIANTI Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?
In fatto d’amore “siamo tutti nient’altro che principianti”, scriveva Raymond Carver in un racconto pubblicato nel 1981. È a partire da questa riflessione che si sviluppano i lavori video-fotografici di nove studenti del master sull’immagine contemporanea di Fondazione Fotografia Modena, protagonisti della mostra Principianti. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? in programma dal 13 settembre al 13 ottobre 2013 nell’ex ospedale Sant’Agostino di Modena (Largo Porta Sant’Agostino 228). La rassegna sarà inaugurata venerdì 13 settembre, alle ore 19, in occasione del Festivalfilosofia, quest’anno dedicato al tema amare. Per l’occasione gli autori in mostra - Sara Cavallini, Tiziano Rossano Mainieri, Francesco Mammarella, Silvia Mangosio, Luca Monaco, Paola Pasquaretta, Eleonora Quadri, Cristina Serra, Valentina Sommariva – hanno prodotto una serie di esercizi visivi che esplorano le diverse definizioni del sentimento amoroso, senza mai giungere a una soluzione univoca e definitiva. Sara Cavallini (Carpi 1989), per esempio, indaga il sentimento dell’amore in relazione allo spazio e al paesaggio naturale, inteso come meta di vacanze e quindi come teatro ideale degli affetti, in cui coltivare le relazioni con la famiglia e gli amici. Tiziano Rossano Mainieri (Bologna 1982) ha realizzato un dittico sulle insanabili fratture che causano la fine di un amore: così come ogni organismo è destinato a dissolversi, anche l’amore ha un termine, ma il processo porta con sé anche un rinnovamento e una trasformazione.
Il lavoro di Francesco Mammarella (Lanciano 1984) muove invece da una riflessione del poeta Giacomo Leopardi, per il quale distrazione o letargo sono gli unici antidoti all’infelicità umana. Ma che succede quando alla consolazione della poesia si sostituiscono le derive psicoanalitiche della chimica farmaceutica? Silvia Mangosio (Torino 1988) ha realizzato una video-performance in cui un cuore tagliato e ricucito diventa simbolo dell’ambivalenza dell’amore, della volontà di ricostruire qualcosa anche se si è provato piacere nel distruggerla, mentre Luca Monaco (Lecco 1971), in seguito al ritrovamento di una lettera di un partigiano condannato a morte, ha ideato un progetto nel quale si impegna a condividere nel più alto senso del termine, come farebbe un vero amico, quelle pagine scritte dal giovane prima di morire e mai recapitate. Il trittico fotografico di Paola Pasquaretta (San Severino Marche 1987) restituisce l'immagine di un universo inesistente, quello delle stelle riflesse sulla superficie di un lago, indagando i rapporti tra due entità opposte e sondandone il ritmo. Il lavoro di Eleonora Quadri (Bergamo 1986) è costituito invece da un autoritratto realizzato in tre tempi diversi e associato a testi tratti dai film Casanova (Fellini 1976), Ciao maschio (Ferreri 1978) e Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pasolini 1975). Per Cristina Serra (Novara 1972) il tema dell’amore è uno spunto per riflettere sulle istituzioni del matrimonio e del divorzio, entrambe riconducibili a spazi simbolici – i luoghi della celebrazione e dello scioglimento -, così come a valori morali e precisi riferimenti culturali. Il progetto di Valentina Sommariva (Milano 1986), infine, consiste in un’indagine sull’amore nelle carceri e mostra come l’impossibilità di esprimere i propri sentimenti rappresenti per i detenuti una pena nella pena, vissuta in modo intenso e drammatico.
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Inaugurazione 13 settembre
Ex ospedale di Sant'Agostino
largo Porta Sant'Agostino, 228 - Modena
Orario: mercoledì-venerdì 11-13 e 15.30-19sabato, domenica e festivi 11-20
INgresso: € 5,00, ingresso gratuito tutti i mercoledìe durante i giorni del festivalfilosofia