Underconstruction. I progetti sono delineati dalla sensibilita' dell'artista e dalla sua volonta' an-estetizzante, sensoriale, e al contempo ricca di spunti intellettuali vividi e diretti.
Tre progetti portanti sono enucleati all’interno della mostra.
“Portraits”: Undici scatti scelti accuratamente che sanno donarci stupore e un senso di profonda curiosità intellettuale.
Gli uomini protagonisti interpretano se stessi tanto quanto personaggi onirici e a volte surreali; ipotizzati cavalieri d’arme, nobiluomini d’altri tempi ma adornati di materiali del nostro presente reti, cavi, tubi. Tutti i materiali vengono dunque decontestualizzati del loro primigenio utilizzo per essere ricontestualizzati in chiave quasi “metafisica”.
“Jewels” o “Pearls”; gioielli manufatti di altissima fattura. Qui emerge chiaramente la sofisticatezza evidente nella decisione di Heinz Schattner: il soggetto che “si veste” – o forse sarebbe più opportuno dire “si sveste” – delle ambre yemenite, berbere, afghane, dei coralli: I gioielli.
Il dinamismo sta nella scelta di narrare una storia etnica del passato e nel preciso gusto per la natura, quella che mescola la particella del DNA alla creatività artistica con grande eleganza scenica.
E infine quindici scatti poetici e potenti sul “Mali”.
E’ il viaggio durante il quale Heinz Schattner ha vissuto insieme alle popolazioni autoctone dei Peul, Tuareg e Bambara, nelle terre del Dogon.
L’artista osserva, incamera situazioni, luoghi, personaggi, dimensioni archeologiche e non. Col suo sapiente uso del bianco e nero (senza l’utilizzo del ritocco) veste le popolazioni locali (fotografate nei loro ambienti e nei loro paesaggi) ma con abiti di alta moda (contaminandole, appunto, ma con accezione positiva del significato). Quella moda che impera e globalizza il nostro mondo occidentale. Una sorta di “voluta ibridazione” che vuole destabilizzare il concetto di globalizzazione infrangendo l’idea stessa dello stereotipo che è ormai imperante nella nostra società.
Testo Critico:
Arte e moda hanno percorso spesso strade parallele, a volte si sono incontrate, ma sicuramente hanno trovato spesso un’ispirazione nell’altra.
Heinz Schattner, fotografo di fama internazionale, presenta la sua anteprima fotografica milanese presso la Galleria d’Arte Contemporanea STATUTO13, nel cuore di Brera e ci propone una selezione di scatti – molti dei quali del tutto inediti – che permeano l’essenza pura e vera dell’artista, contaminata sia in ambito contenutistico sia in quello estetico. L’ispirazione, definibile appunto - underconstruction - è proveniente dal suo background, il mondo della moda e da quello artistico.
La mostra si palesa di fronte agli occhi attenti dell’utente con un’attrazione che esterna la chiara matrice e gli intenti di ampia lettura internazionale. I progetti esposti sono chiaramente leggibili e delineati dalla sensibilità dell’artista Schattner e dalla profonda volontà an-estetizzante, sensoriale, e al contempo ricca di spunti intellettuali vividi e diretti.
All’ingresso della mostra ci accolgono gli sguardi trasognati ma arguti dei personaggi rifranti nella serie “Portraits”; a tratti ci fissano attoniti a tratti in modo folle. Undici scatti scelti accuratamente che sanno donarci stupore e un senso di profonda curiosità intellettuale.
Gli uomini protagonisti interpretano se stessi tanto quanto personaggi onirici e a volte surreali. Dotati di copricapo e acconciature che sembrano provenire da mondi trasversali, da dimensioni parallele, se non direttamente dal Monte Olimpo: (quasi assurgendo a) divinità altere che ci osservano, seppur inconsapevoli o noncuranti della nostra presenza. Ipotizzati cavalieri d’arme, nobiluomini d’altri tempi ma adornati di materiali del nostro presente. L’accurata scelta degli oggetti non è affatto casuale, bensì denota l’utilizzo di materiali trovati e di uso comune, quasi amplificando il concetto dadaista del “ready-made”. Gli ornamenti indossati dai protagonisti di questo originale progetto artistico sono composti da: reti, cavi, tubi. Tutti i materiali vengono dunque decontestualizzati del loro primigenio utilizzo per essere ricontestualizzati in chiave quasi “metafisica”. Osservando le Polaroid e le “Polaroid Impossible” si coglie un senso di unicità nell’opera. Tecniche e supporti che lasciano intravedere le trasparenze, le sedimentazioni delle fotografie; volutamente senza ritocchi ma eleggendo la peculiarità di ogni singolo scatto a immagine iconica per eccellenza. Heinz Schattner ci narra una storia di vite vissute ma forse anche di vite metafisiche, dove ogni personaggio ha una precisa personalità e ci lascia liberi di indovinarla o di percepirla a livello sensibile anche con una lettura del tutto personale.
Continuando il nostro percorso ci troviamo a osservare i “Jewels” o “Pearls”; gioielli manufatti di altissima fattura. Qui emerge chiaramente la sofisticatezza evidente nella decisione di Heinz Schattner: il soggetto che “si veste” – o forse sarebbe più opportuno dire “si sveste” – delle ambre yemenite, berbere, afghane, dei coralli: I gioielli. Le ombre e le luci accarezzano il corpo della donna donandoci una poesia dettata dall’abile percezione retinica dell’artista che si adopera per noi stando dietro l’obiettivo della sua macchina fotografica.
Il dinamismo sta nella scelta di narrare una storia etnica del passato e nel preciso gusto per la natura, quella che mescola la particella del DNA alla creatività artistica con grande eleganza scenica.
“La pietra è un dono della terra, che sia preziosa o no non fa differenza. Siamo noi a dare un valore aggiunto alle cose” (cit.)
Ecco l’inaspettato, l’unicità, la novità: Quindici scatti poetici e potenti, Il “Mali”.
E’ il viaggio durante il quale Heinz Schattner ha vissuto insieme alle popolazioni autoctone dei Peul, Tuareg e Bambara, in compagnia della sua guida Ibrahim, nelle terre del Dogon.
Antichità e fango, architetture d’argilla - delicate a vedersi, tanto quanto metaforicamente ci ricordano la cagionevolezza delle nostre vite - si fondono; come si fondono le etnie, le religioni (protestane, animista e islamica e non solo..) e la spiritualità. Dalla regina delle sabbie: Timbuctu, all’immensa Moschea di fango e paglia di Djenné, Heinz Schattner osserva, incamera situazioni, luoghi, personaggi, dimensioni archeologiche e non. Col suo sapiente uso del bianco e nero (senza l’utilizzo del ritocco) veste le popolazioni locali (fotografate nei loro ambienti e nei loro paesaggi) ma con abiti di alta moda (contaminandole, appunto, ma con accezione positiva del significato). Quella moda che impera e globalizza il nostro mondo occidentale. Una sorta di “voluta ibridazione” che vuole destabilizzare il concetto di globalizzazione infrangendo l’idea stessa dello stereotipo che è ormai imperante nella nostra società.
Un’azione concettuale forte e dunque studiata nei dettagli. Non solo un “riverbero” dovuto al concetto di moda. Tutt’altro. I “neofiti modelli” africani si vestono della nostra cultura ma ci raccontano la loro. Mai disperdono la propria connotazione o la propria personalità, semmai la trasmettono, in modo del tutto naturale, inconsciamente, senza sovrastrutture. Perdurano, quasi sospesi in quella dimensione di atemporalità direi mistica (quindi non magica ma che va oltre al semplice raziocinio..) che ammanta tutta la lirica e la poetica di questo insolito progetto fotografico africano dal carattere visionario. Un Grand Tour africano (Goethe docet) di cui tanto ha scritto il letterato/viaggiatore Bruce Chatwin che ha profondamente ispirato il nostro temerario Schattner, artista della novità che nasce dall’anima e guru dell’obiettivo.
Inaugurazione 13 Novembre dalle 18,30 alle 21
Galleria d’Arte Contemporanea Statuto13
Via Statuto, 13 (corte int.) - Milano
Orari: mar-sab 11-19
Ingresso libero