Amorphous - Il divenire della materia. Visioni e inquadrature macro in cui i materiali piu' svariati risultano assemblati in unico e impermanente stato fisico ed estetico.
Con la mostra Amorphous – il divenire della materia, Arianna Spizzico ci pone di fronte al progredire della vita universale attraverso visioni e inquadrature macro in cui i materiali più svariati risultano assemblati in unico e impermanente stato fisico ed estetico. Tali visioni non raccontano l’uomo per il tramite esclusivo della sua rappresentazione fisica ma attraverso la sua sostanza, che non è situata in uno spazio distante e inconoscibile, ma nelle radici e nelle proprietà della stessa realtà, nell’alchimia tra i suoi elementi, nelle sue leggi.
"Ancora una volta il rigoroso e personale percorso creativo di Arianna Spizzico ci pone di
fronte al rapporto/riscontro/conflitto tra scienza e creatività, confermando quanto aveva
sollecitato la nostra attenzione critica nei suoi confronti, in un non dimenticato incontro, sul
finire del secondo millennio, che guardava all’opera come messaggio, e al suo situarsi tra
tempo e spazio, tra certezze, riferimenti alchemici e pensieri profetici che portavano alla
comprensione dello scaturire gli eventi, anche quelli particolari e complessi, e al loro
evolversi.
Già in quell’occasione, a ben guardare, scrivevamo di magma cromatico solcato da
tracciati, ma anche di consapevolezze e di relazioni, oltre che di disorganico sistema di
riferimenti; e sempre, in quella doppia e contemporanea percezione del caos e dell’ ordine,
e nella conferma che la decodificazione/empatia è, essenzialmente, un procedimento
mentale. Così, riferendoci al percorso della conoscenza, e a quel suo logico/illogico
muoversi secondo infinite e possibili direzioni, guardando alla giovane artista quale mimesi
e citazione della mitica sposa di Dioniso, avevamo chiuso il nostro testo chiedendoci:
“Dove mai finirà l’altro capo del filo di Arianna?”
“Anamorphous”, ovvero questo nuovo incontro espositivo con la sua ricerca (una
selezione dei lavori degli ultimi due anni), prova a dare una risposta al quesito, e lo fa
proponendoci una sequenza di opere che rimandano all’origine di tutte le cose. A quell’atto
della creazione che, come afferma il paracelsiano Robert Fludd, in “Utriusque Cosmi I” del
1617, “si rappresenta con evidenza plastica alla stregua di un processo alchemico, in cui
Dio, come spagirico, suddivide il buio caos originario, la Prima materia, nei tre divini
elementi primari, ossia la luce, le tenebre e le acque spirituali, che sono alla radice dei
quattro elementi aristotelici”. Rammentando altresì, per dirla con Empedocle e ben oltre
Peter W. Higgs, che l’intera vita del cosmo è costituita dal movimento risultante dal
conflitto tra le due forze opposte dell’amore e dell’odio.
Questa volta i messaggi di Arianna Spizzico, pur provenendo ancora da un mitico futuro,
non hanno criptiche sequenze alfanumeriche identificanti, ma comprensibili termini
linguistici e altrettanto precisi riferimenti dimensionali e pittorici, che dalle bronzee piramidi
trigone trasmutano in superfici piane poligonali che si ripetono nel succedersi delle
sequenze o nella multipla unitarietà dei trittici, e che affondano nella enigmatica e caotica -
stratigraficamente sovrapposta- materia comune originaria. Quella proté hyle, cui
Aristotele nel IV secolo a.C. ricondusse tutti gli elementi, e che gli alchimisti definivano
come “caos nostro” o “massa oscura” derivante dalla caduta di Lucifero e Adamo, per poi
sublimarla nell’eterno lapis (costituito dall’unione tra ciò che è in alto e ciò che è in basso,
tra il fuoco -l’elemento artistico che, secondo Eraclito, pervade tutta la materia- e l’acqua),
riportando la creazione al suo stato paradisiaco originario. Ovvero, al significante del
buono (Genesi 1,25) e, quindi, del bello. Ovunque è Babilonia, abbiamo scritto da qualche
parte molti anni fa (ripetendolo anche in epoca più recente), riferendoci alla confusione e
alle configurazioni disordinate che in natura risultano essere le più probabili, non fosse
altro che quel crescendo spontaneo, che caratterizza e contraddistingue l’entropia, ovvero
lo svolgersi ordinario delle trasformazioni verso il maggior disordine osservato da Nicolas
Léonard Sadi Carnot nel 1824, altro non è, a nostro avviso, che lo stesso composito
percorso della conoscenza. “Amorphous” è tutto questo.
E’ il divenire della materia, l’opus
magnum che alterna i processi di soluzione e di coagulazione, ovvero, come dice Jakob
Bohme, il si e il no del mondo, passando per arcaiche connessioni, kosmos, respiro, deep,
sorgente e fuoco, in un continuo ritrovarsi e in un altrettanto continuo sovrapporsi di circuiti
elettrici, frammenti, schede, sabbie, meccanismi, schegge, rottami, ritagli, brandelli, moduli
elettronici, placche, scaglie, piastre, squame, pietre, sassi, terre, metalli che, alla fine,
identificano il centro della ricerca e del fare della giovane Arianna. Quel centro che è,
come si legge nel Paradoxa Emblemata il manoscritto del XVII sec. di Dionysius Andreas
Freher, “... l’eterno principio e l’eterna fine. Il primo e l’ultimo. Abisso insondabile senza
spazio né tempo. Caos. Occhio speculare dell’eternità”.
Toti Carpentieri
"Visioni
impermanenti
di
vita
indivisibile.
Il
divenire
della
sostanza
occupa
da
sempre
un
ruolo
centrale
nelle
sperimentazioni
multimateriche
di
Arianna
Spizzico,
i
cui
processi
creativi
partono
sempre
più
di
frequente
dal
recupero
di
un
dettaglio
visivo
relativo
alla
dimensione
mutevole
e
affascinante
della
natura.
Per
il
tramite
della
fotografia
macro,
l’artista
valorizza
quel
particolare
che
nella
visione
d’insieme
rischia
normalmente
di
perdere
vigore
e
apparire
secondario,
per
manifestarne
l’appartenenza
a
una
totalità
che
è
possibile
sperimentare
invece
in
ogni
cosa
esistente
al
mondo,
e
ribadire
che
frammento
ed
entità
globale,
elemento
naturale
e
paesaggio,
sono
fatti
della
stessa
sostanza.
Il
dettaglio
zoomato
relativo
a
una
data
e
specifica
realtà
si
trasforma
così
in
metafora
del
divenire
universale
che
dalle
viscere
della
terra
agisce
indisturbato
da
millenni,
si
aggira
nelle
pieghe
dello
spazio
ctonio
riaffiorando,
o,
talvolta,
irrompendo
come
traccia
magmatica
sulla
litosfera
della
vita
esterna,
per
raggiungere
infine
lo
stato
aereo
del
volo,
libero
da
qualunque
costrizione
che
possa
derivare
da
una
memoria
immagazzinata
preesistente
e
rigida.
E
la
coscienza
umana
coglie
il
racconto
della
materia
in
ogni
suo
stato,
che
è
a
sua
volta
la
storia
del
mondo,
la
storia
della
collettività
che
si
stratifica
nel
linguaggio
dell’arte,
divenendo
archivio,
emblema
della
libertà
potenziale
insita
in
ogni
stadio
iniziale
dell’esistenza,
di
quella
fase
incorruttibile
che
deriva
da
un
istinto
alla
vita
in
grado
di
mettere
in
moto
la
metamorfosi
dell’essere
alla
ricerca
della
sua
identità.
E
al
cambiamento,
che
è
poi
legge
imprescindibile
per
l’evoluzione
di
ogni
storia,
sembra
non
sfuggire
neanche
il
ciclo
di
vita
della
tecnologia
prodotta
dall’uomo
e
di
quello
che
definiamo
abitualmente
‘futuro’.
Nei
lavori
dell’artista,
infatti,
parti
di
schede
madri,
componenti
di
circuiti
elettronici
risalenti
a
un
decennio
fa
sono
l’archeologia
di
un
tempo
destinato
a
essere
continuamente
superato
da
innovazioni
e
scoperte
e
che
finisce
per
essere
trascinato
dal
magma
fluido
e
sfuggente
della
vita
che
scorre,
mentre
il
futuro
si
concede
a
una
dimensione
rituale
e
primigenia
attraverso
Connessioni
arcaiche
tracciate
dall’artista,
in
grado
di
porre
in
comunicazione
ciò
che
è
stato
con
ciò
che
sarà
ed
è
per
sua
natura
destinato
ad
essere.
Lo
scarto
tecnologico,
o
manufatto,
viene
così
assorbito
dagli
elementi
prettamente
naturali
come
sabbia,
frammenti
di
roccia,
o
dai
metalli
come
il
rame;
migra
all’interno
della
superficie
dei
lavori,
saldandosi
allo
stesso
destino
mutevole,
subendo
gli
effetti
delle
trasformazioni
prettamente
fisico-‐chimiche
dei
materiali
adoperati,
come
se
fosse
reperto,
rigorosa
testimonianza
che
riproduce
una
verità
che
esiste
da
sempre,
e
da
sempre
è
in
azione
nei
meandri
di
questo
mondo
parlandoci
di
un
assoluto
che
è
ovunque
e
sussiste
a
ogni
singola
vita,
rigenerando
costantemente
l’intero
universo.
L’arte
della
Spizzico
non
racconta
l’uomo
per
il
tramite
esclusivo
della
sua
rappresentazione
fisica
ma
attraverso
la
sua
sostanza,
che
non
è
situata
in
uno
spazio
distante
e
inconoscibile,
ma
nelle
radici
e
nelle
proprietà
della
stessa
realtà,
nell’alchimia
tra
i
suoi
elementi
e
nelle
sue
leggi,
nell’armoniosa
danza
dei
rizomata
di
empedocliana
memoria,
dalla
cui
aggregazione
e
disgregazione
deriverebbe
il
tutto,
spinto
da
forze
cosmiche
solo
in
apparenza
disgiunte
dalla
realtà
oggettiva,
e
in
cui
la
realtà
fenomenica
coi
suoi
processi
di
separazione
e
unione,
di
nascita
e
morte
sarebbe
un
fenomeno
meramente
apparente,
una
migrazione
da
uno
stadio
formale
a
un
altro,
nel
lento
e
progressivo
divenire
della
vita
universale.
Così,
lamine
metalliche,
conchiglie,
frammenti
di
roccia,
sabbia,
filamenti
di
plastica,
pezzi
di
mondo,
di
passato
e
futuro,
elementi
del
mito,
ingranaggi
e
scarti
della
tecnologia
possono
coesistere
sulla
stessa
superficie
spaziale,
integrate
dalla
gestualità
dell’artista
e
dai
suoi
pazienti
interventi
pittorici.
Essi
vengono
racchiusi
in
moduli
prevalentemente
quadrati,
i
cui
confini
sono
solo
in
apparenza
tali.
Limiti
che
accolgono,
infatti,
più
che
contenere
l’irruenza
della
materia,
e
la
sua
intrinseca
fluidità
non
subisce
né
conosce
alcuna
costrizione
o
frattura.
Si
generano
così
composizioni
da
leggere
in
sequenza
come
avviene
nel
caso
dei
trittici
multimaterici,
creazioni
su
tela
o
base
lignea,
in
cui
predomina
il
richiamo
al
mito,
ma
sempre
ben
integrato
con
gli
elementi
cosmologici
e
naturali,
o,
ancora,
piramidi
trigone,
ricettacoli
scultorei
di
energia
universale
in
grado
di
propagare
la
dimensione
dell’archetipo
verso
un
futuro
che
attende,
e
sulle
cui
superfici
bronzee
o
in
rame
si
dispiega
il
ricamo
narrativo
della
storia
del
mondo,
sia
essa
intesa
come
affermazione
di
un
passato
già
stratificato
da
cui
attingere
per
raggiungere
una
piena
consapevolezza
del
presente,
o
come
spiraglio
mutevole,
perennemente
in
movimento
e
sospeso
su
un
futuro
che
avanza.
Visioni
impermanenti
di
vita
indivisibile. "
Giuliana
Schiavone
Vernissage 6 dicembre ore 20
Galleria Formaquattro Bari
Via Argiro 73, Bari
Orario: Lun-Sab 10:00-13:00 / 16:00-20:00
Ingresso libero