Nuova Galleria Formaquattro
Bari
via Argiro, 73
080 5612271 FAX 080 2145926
WEB
Arianna Spizzico
dal 5/12/2013 al 18/12/2013
Lun-Sab 10-13 16-20

Segnalato da

Formaquattro



approfondimenti

Arianna Spizzico



 
calendario eventi  :: 




5/12/2013

Arianna Spizzico

Nuova Galleria Formaquattro, Bari

Amorphous - Il divenire della materia. Visioni e inquadrature macro in cui i materiali piu' svariati risultano assemblati in unico e impermanente stato fisico ed estetico.


comunicato stampa

Con la mostra Amorphous – il divenire della materia, Arianna Spizzico ci pone di fronte al progredire della vita universale attraverso visioni e inquadrature macro in cui i materiali più svariati risultano assemblati in unico e impermanente stato fisico ed estetico. Tali visioni non raccontano l’uomo per il tramite esclusivo della sua rappresentazione fisica ma attraverso la sua sostanza, che non è situata in uno spazio distante e inconoscibile, ma nelle radici e nelle proprietà della stessa realtà, nell’alchimia tra i suoi elementi, nelle sue leggi.

"Ancora una volta il rigoroso e personale percorso creativo di Arianna Spizzico ci pone di fronte al rapporto/riscontro/conflitto tra scienza e creatività, confermando quanto aveva sollecitato la nostra attenzione critica nei suoi confronti, in un non dimenticato incontro, sul finire del secondo millennio, che guardava all’opera come messaggio, e al suo situarsi tra tempo e spazio, tra certezze, riferimenti alchemici e pensieri profetici che portavano alla comprensione dello scaturire gli eventi, anche quelli particolari e complessi, e al loro evolversi.

Già in quell’occasione, a ben guardare, scrivevamo di magma cromatico solcato da tracciati, ma anche di consapevolezze e di relazioni, oltre che di disorganico sistema di riferimenti; e sempre, in quella doppia e contemporanea percezione del caos e dell’ ordine, e nella conferma che la decodificazione/empatia è, essenzialmente, un procedimento mentale. Così, riferendoci al percorso della conoscenza, e a quel suo logico/illogico muoversi secondo infinite e possibili direzioni, guardando alla giovane artista quale mimesi e citazione della mitica sposa di Dioniso, avevamo chiuso il nostro testo chiedendoci: “Dove mai finirà l’altro capo del filo di Arianna?”

“Anamorphous”, ovvero questo nuovo incontro espositivo con la sua ricerca (una selezione dei lavori degli ultimi due anni), prova a dare una risposta al quesito, e lo fa proponendoci una sequenza di opere che rimandano all’origine di tutte le cose. A quell’atto della creazione che, come afferma il paracelsiano Robert Fludd, in “Utriusque Cosmi I” del 1617, “si rappresenta con evidenza plastica alla stregua di un processo alchemico, in cui Dio, come spagirico, suddivide il buio caos originario, la Prima materia, nei tre divini elementi primari, ossia la luce, le tenebre e le acque spirituali, che sono alla radice dei quattro elementi aristotelici”. Rammentando altresì, per dirla con Empedocle e ben oltre Peter W. Higgs, che l’intera vita del cosmo è costituita dal movimento risultante dal conflitto tra le due forze opposte dell’amore e dell’odio.

Questa volta i messaggi di Arianna Spizzico, pur provenendo ancora da un mitico futuro, non hanno criptiche sequenze alfanumeriche identificanti, ma comprensibili termini linguistici e altrettanto precisi riferimenti dimensionali e pittorici, che dalle bronzee piramidi trigone trasmutano in superfici piane poligonali che si ripetono nel succedersi delle sequenze o nella multipla unitarietà dei trittici, e che affondano nella enigmatica e caotica - stratigraficamente sovrapposta- materia comune originaria. Quella proté hyle, cui Aristotele nel IV secolo a.C. ricondusse tutti gli elementi, e che gli alchimisti definivano come “caos nostro” o “massa oscura” derivante dalla caduta di Lucifero e Adamo, per poi sublimarla nell’eterno lapis (costituito dall’unione tra ciò che è in alto e ciò che è in basso, tra il fuoco -l’elemento artistico che, secondo Eraclito, pervade tutta la materia- e l’acqua), riportando la creazione al suo stato paradisiaco originario. Ovvero, al significante del buono (Genesi 1,25) e, quindi, del bello. Ovunque è Babilonia, abbiamo scritto da qualche parte molti anni fa (ripetendolo anche in epoca più recente), riferendoci alla confusione e alle configurazioni disordinate che in natura risultano essere le più probabili, non fosse altro che quel crescendo spontaneo, che caratterizza e contraddistingue l’entropia, ovvero lo svolgersi ordinario delle trasformazioni verso il maggior disordine osservato da Nicolas Léonard Sadi Carnot nel 1824, altro non è, a nostro avviso, che lo stesso composito percorso della conoscenza. “Amorphous” è tutto questo.

E’ il divenire della materia, l’opus magnum che alterna i processi di soluzione e di coagulazione, ovvero, come dice Jakob Bohme, il si e il no del mondo, passando per arcaiche connessioni, kosmos, respiro, deep, sorgente e fuoco, in un continuo ritrovarsi e in un altrettanto continuo sovrapporsi di circuiti elettrici, frammenti, schede, sabbie, meccanismi, schegge, rottami, ritagli, brandelli, moduli elettronici, placche, scaglie, piastre, squame, pietre, sassi, terre, metalli che, alla fine, identificano il centro della ricerca e del fare della giovane Arianna. Quel centro che è, come si legge nel Paradoxa Emblemata il manoscritto del XVII sec. di Dionysius Andreas Freher, “... l’eterno principio e l’eterna fine. Il primo e l’ultimo. Abisso insondabile senza spazio né tempo. Caos. Occhio speculare dell’eternità”.
Toti Carpentieri

"Visioni impermanenti di vita indivisibile. Il divenire della sostanza occupa da sempre un ruolo centrale nelle sperimentazioni multimateriche di Arianna Spizzico, i cui processi creativi partono sempre più di frequente dal recupero di un dettaglio visivo relativo alla dimensione mutevole e affascinante della natura. Per il tramite della fotografia macro, l’artista valorizza quel particolare che nella visione d’insieme rischia normalmente di perdere vigore e apparire secondario, per manifestarne l’appartenenza a una totalità che è possibile sperimentare invece in ogni cosa esistente al mondo, e ribadire che frammento ed entità globale, elemento naturale e paesaggio, sono fatti della stessa sostanza.

Il dettaglio zoomato relativo a una data e specifica realtà si trasforma così in metafora del divenire universale che dalle viscere della terra agisce indisturbato da millenni, si aggira nelle pieghe dello spazio ctonio riaffiorando, o, talvolta, irrompendo come traccia magmatica sulla litosfera della vita esterna, per raggiungere infine lo stato aereo del volo, libero da qualunque costrizione che possa derivare da una memoria immagazzinata preesistente e rigida. E la coscienza umana coglie il racconto della materia in ogni suo stato, che è a sua volta la storia del mondo, la storia della collettività che si stratifica nel linguaggio dell’arte, divenendo archivio, emblema della libertà potenziale insita in ogni stadio iniziale dell’esistenza, di quella fase incorruttibile che deriva da un istinto alla vita in grado di mettere in moto la metamorfosi dell’essere alla ricerca della sua identità.

E al cambiamento, che è poi legge imprescindibile per l’evoluzione di ogni storia, sembra non sfuggire neanche il ciclo di vita della tecnologia prodotta dall’uomo e di quello che definiamo abitualmente ‘futuro’. Nei lavori dell’artista, infatti, parti di schede madri, componenti di circuiti elettronici risalenti a un decennio fa sono l’archeologia di un tempo destinato a essere continuamente superato da innovazioni e scoperte e che finisce per essere trascinato dal magma fluido e sfuggente della vita che scorre, mentre il futuro si concede a una dimensione rituale e primigenia attraverso Connessioni arcaiche tracciate dall’artista, in grado di porre in comunicazione ciò che è stato con ciò che sarà ed è per sua natura destinato ad essere. Lo scarto tecnologico, o manufatto, viene così assorbito dagli elementi prettamente naturali come sabbia, frammenti di roccia, o dai metalli come il rame; migra all’interno della superficie dei lavori, saldandosi allo stesso destino mutevole, subendo gli effetti delle trasformazioni prettamente fisico-­‐chimiche dei materiali adoperati, come se fosse reperto, rigorosa testimonianza che riproduce una verità che esiste da sempre, e da sempre è in azione nei meandri di questo mondo parlandoci di un assoluto che è ovunque e sussiste a ogni singola vita, rigenerando costantemente l’intero universo. L’arte della Spizzico non racconta l’uomo per il tramite esclusivo della sua rappresentazione fisica ma attraverso la sua sostanza, che non è situata in uno spazio distante e inconoscibile, ma nelle radici e nelle proprietà della stessa realtà, nell’alchimia tra i suoi elementi e nelle sue leggi, nell’armoniosa danza dei rizomata di empedocliana memoria, dalla cui aggregazione e disgregazione deriverebbe il tutto, spinto da forze cosmiche solo in apparenza disgiunte dalla realtà oggettiva, e in cui la realtà fenomenica coi suoi processi di separazione e unione, di nascita e morte sarebbe un fenomeno meramente apparente, una migrazione da uno stadio formale a un altro, nel lento e progressivo divenire della vita universale. Così, lamine metalliche, conchiglie, frammenti di roccia, sabbia, filamenti di plastica, pezzi di mondo, di passato e futuro, elementi del mito, ingranaggi e scarti della tecnologia possono coesistere sulla stessa superficie spaziale, integrate dalla gestualità dell’artista e dai suoi pazienti interventi pittorici. Essi vengono racchiusi in moduli prevalentemente quadrati, i cui confini sono solo in apparenza tali. Limiti che accolgono, infatti, più che contenere l’irruenza della materia, e la sua intrinseca fluidità non subisce né conosce alcuna costrizione o frattura. Si generano così composizioni da leggere in sequenza come avviene nel caso dei trittici multimaterici, creazioni su tela o base lignea, in cui predomina il richiamo al mito, ma sempre ben integrato con gli elementi cosmologici e naturali, o, ancora, piramidi trigone, ricettacoli scultorei di energia universale in grado di propagare la dimensione dell’archetipo verso un futuro che attende, e sulle cui superfici bronzee o in rame si dispiega il ricamo narrativo della storia del mondo, sia essa intesa come affermazione di un passato già stratificato da cui attingere per raggiungere una piena consapevolezza del presente, o come spiraglio mutevole, perennemente in movimento e sospeso su un futuro che avanza. Visioni impermanenti di vita indivisibile. "
Giuliana Schiavone

Vernissage 6 dicembre ore 20

Galleria Formaquattro Bari
Via Argiro 73, Bari
Orario: Lun-Sab 10:00-13:00 / 16:00-20:00
Ingresso libero

IN ARCHIVIO [9]
Pep Marchegiani
dal 21/12/2015 al 14/1/2016

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede