Identita' periture. Il percorso di Crivellari parte da lontano, da una fotografia in bianco e nero che si puo' inserire nel solco del neorealismo tracciato dalla scuola spilimberghese.
Questa bellezza? – si pensa, – sì, va bene, ma è poi la mia? Questa verità che sto scoprendo, è davvero la mia verità? Gli scopi, le voci, la realtà, tutte queste cose seducenti che allettano e guidano, che noi seguiamo, in cui ci buttiamo, sono la vera verità, o invece non se ne coglie che un soffio inafferrabile, posatosi sulla realtà?
Robert Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino 1972, p. 123.
Il percorso di Amos Crivellari parte da lontano, da una fotografia in bianco e nero – parliamo degli anni ‘80 - che si può inserire nel solco del neorealismo tracciato con maestria dalla scuola spilimberghese, a cui il fotografo, originario di Spilimbergo, può essere accostato. E dunque è fotografia di figure, cose, case, oggetti, gente – di un mondo che esisteva concretamente, anche se ancora per poco, e di lì a poco sarebbe stato spazzato via dalla trasformazione epocale intervenuta nella società contemporanea.
Dal ‘93 prende avvio una sperimentazione che Crivellari stesso definisce dell’“astrattismo cromatico” e il cui tema fondamentale è la luce2. Concentrandosi su fonti luminose artificiali e colorate, fotografate sfruttando consapevolmente l’effetto del mosso, la fotografia disintegra la rappresentazione del reale e intesse un gioco di puro e astratto colore, approdando così a un risultato che è quasi agli antipodi della fase precedente.
La ricerca degli ultimi quattro anni circa torna a indirizzarsi verso la figura umana, il ritratto in particolare, ma affrontandolo con il linguaggio messo a punto nelle sperimentazioni astratte, e si pone quindi come una sintesi del percorso precedente e insieme un nuovo e maturo approdo3. In realtà la figura umana era presente anche all’inizio della fase astratta, ma con una funzione diversa e con una intenzionalità che è quasi all’opposto rispetto all’ultima ricerca. Quei volti che, agli inizi degli anni ‘90, erano un terreno di sperimentazione, e rimanevano tuttavia riconoscibili, riacquistano ora un’importanza semantica, ritornano ad essere, come nella prima fase in bianco e nero, oggetto di indagine per se stessi: volti di “persone”, con un loro portato di sentimenti, espressioni, stati d’animo… Su cui agisce però una fotografia che, resa esperta dalle sperimentazioni sul movimento e sulla luce, li rende “ir-riconoscibili”, li deforma fino a rivelare “ri(s)volti” (da cui il titolo della mostra) di realtà che portano oltre il ritratto.
La figura si sdoppia, si moltiplica, si liquefa in scie luminose, svapora in veli trasparenti, come spolpata da una forza superiore che risucchi la consistenza della materia e la riduca sul punto di dissolversi in un pulviscolo senza forma.
Del volto non rimane che il lampo di uno sguardo, la piega delle labbra; oppure è l’espressività di un gesto a perdurare, un po’ di più, nel flusso del colore. Anzi, nel flusso del tempo-colore: perché, concretamente, quel colore, quelle scie, quelle luminescenze sono frutto delle luci fotografate con tempi lunghi di esposizione; e nel contempo sono simbolo di un Tempo che involge e travolge ogni cosa e fa tutt’uno delle figure, degli oggetti e degli spazi attorno, compenetrando ogni esistenza in un flusso continuo, indistinto e, potremmo dire, “transgenico”.
Se accostiamo questa fase al primo periodo di Crivellari, in bianco e nero, dove la consistenza delle cose, della terra, delle pietre, degli esseri umani era indiscussa, cogliamo ancor meglio la frattura epocale che queste immagini vengono a rappresentare: nella sensazione di moto perpetuo che trascina con sé gli elementi dell’immagine, cancella l’identità individuale e, annullando ogni concreto riferimento spaziale, annulla la distinzione stessa tra l’ente e il mondo circostante, è la metafora della condition humaine contemporanea, condizione di provvisorietà, di rapina, di inconsistenza, che mina la compagine dell’io (la crisi “moderna” tematizzata emblematicamente da Musil) e ancor più rende arduo tener salda la persona, nella moltiplicazione e nella complessità della società “liquida” postmoderna.
Chiara Tavella
1 Per questa fase si veda: Dopo gli ultimi. Fotografie di Amos e Antonio Crivellari, testi di I. Zannier e A. Bertani, Pordenone, s.d. (ma 2013).
2 Si vedano: Amos Crivellari. Forme di luce, testi di D. Collovini, A. Bertani, A. Santin, E. Ciol, S. Aloisi, E. Di Grazia, Casarsa della Delizia (PN), 2005; Amos Crivellari. Oltre lo scatto, testo di C. Tavella, pieghevole della mostra presso il Salone Abbaziale di Sesto al Reghena (PN), 2008; Amos Crivellari. En plein noir, testi di M. Marangoni, C. Tavella, D. Collovini, S. Zannier, A. Bertani, E. Santese, C. Sala, T. Fragiacomo, R. Fiorini, G. Arciero, P. Venti, A. Crivellari, San Vito al Taliamento (PN), 2010.
3 Amos Crivellari. Mossi di/visi, testo di D. Collovini, San Vito al Tagliamento (PN), 2011.
Inaugurazione 15 marzo ore 18
Centro Culturale Aldo Moro
via Traversagna, 4Cordenons (PN)
lunedì,mercoledì,venerdì e sabato dalle 16 alle 19
ingresso libero